
(di Marzio Breda – corriere.it) – Le piattaforme digitali e i social media hanno rivoluzionato il cosiddetto «quarto potere», dunque il modo in cui le notizie sono prodotte e arrivano al pubblico. Il problema è che, «certi nuovi protagonisti globali pretendono di definire standard di accesso e linee guida». Con «spregiudicatezza». Senza farsi vincolare dalle legislazioni poste «a tutela dell’integrità del settore». Sono insidie pericolose, ma non le uniche. Quei rischi, infatti, «si aggiungono alle mai abbandonate tentazioni di poteri pubblici di fissare a loro volta limiti agli spazi di libertà d’informazione», invece di garantire e sostenere «doverosamente quegli stessi spazi di libertà». E tra i parecchi modelli negativi ai quali pensare, viene subito in mente quello ungherese di Orbán, già in progress .
Insomma: è una stagione carica di difficoltà, per il giornalismo. Una questione che preoccupa da tempo Sergio Mattarella, perché tocca il rispetto dell’articolo 21 della Carta costituzionale. Tema cruciale, che ha riproposto ieri con allarme, rivolgendosi ai delegati della European alliance of News agencies, cioè le agenzie di stampa del continente dalle quali si alimentano tutti i media, e pertanto «fonti di informazione primaria di qualità». E siccome anche i piccoli gesti hanno un valore simbolico, sceglie di parlarne in piedi, «perché le istituzioni devono avere rispetto per la stampa».
Su questa partita è in gioco la tenuta di ogni sistema democratico. Compreso il nostro. Non a caso, dice il presidente, «la libertà e il pluralismo dei media garantiscono il pieno dispiegarsi di alcuni dei diritti irrinunciabili per la democrazia e la misurazione della sua qualità: il diritto alla libertà di espressione e di informazione». Definirla «libera, indipendente e plurale è un diritto dei cittadini, un dovere per tutti esigerla… È l’antidoto per contrastare fenomeni manipolativi».
E aggiunge poi, alludendo all’affanno (finanziario e non solo) del settore: tutto ciò «comporta un prezzo, sia per i giornalisti sia per gli editori. La sostenibilità delle imprese editoriali è essa stessa garanzia di libertà. Poter operare in un ambiente che consente pari opportunità di mercato e adeguate tutele contribuisce a tale obiettivo».
Non sono riflessioni da passatista. Quando accenna alla trasformazione digitale, non ha dubbi sul fatto che offra «straordinarie opportunità». Tuttavia, rimarca anche le possibili distorsioni, come le vediamo nei conflitti in corso. A partire dall’Ucraina, dove le fake news sono usate come «armi ibride dirette alle opinioni pubbliche dei Paesi democratici per manipolarle».
LA RIVOLUZIONE CULTURALE – Vviana Vivarelli
Se la libertà e la democrazia si misurano sul metro della libertà di espressione e dunque anche di stampa, gli attuali tempi europei sono temporaleschi e minacciano climi da dittatura.
Il caso ASSANGE è il più vistoso ma lo scorrere quotidiano di una informazione a senso unico, “embedded”, con giornalisti incorporati col regime e proni a propagare menzogne di Stato peggio dell’Istituto Luce di mussoliniana memoria non dà certo l’idea di un Paese libero. Del resto in un anno siamo scesi di 5 posizioni nella classifica della libertà di stampa a causa soprattutto dell’impero giornalistico di Agelucci ma la Rai non mostra un panorama migliore. L’Italia è oggi al 46° posto su 180 Paesi. Peggio di noi in Europa solo l’Ungheria, Malta e la Grecia.
In questi giorni di Finanziaria la Meloni non fa che piangere miseria e parlare di necessarie ristrettezze per i cittadini (e immagino la goduria di un Giorgetti super bocconiano e superliberista che non vede l’ora di estirpare lo Stato sociale e svendere gli ultimi beni dello Stato per mandare totalomente a picco la nostra economia, sulla linea Draghi), eppure fino a ieri abbiamo visto il Governo largheggiare con mance sontuose alla stampa, all’editoria, ai direttori Rai, moltiplicando i posti di potere distribuiti a piene mani ad amici e parenti e largheggiando nella rediviva Società del Ponte che ha già rubato quasi un miliardo senza che una sola pietra sia stata posta. Nel frattempo, mentre tutti si spartiscono la mangiatoia e nessuno governa, il Paese va a rotoli, con disfunzioni crescenti nella difesa del territorio, nei trasporti, nella distribuzione dell’acqua, nella sanità, nella scuola, nella ricerca… Di tutto questo solo pochi parlano, sotto l’egida di un pensiero unico totalmente falso, da bieca propaganda, che trasforma chi lavora due ore in un anno in lavoratore da conteggiare, o i frutti del Bonus edilizio di Conte in ricavi della Meloni o mette nel Pil i dianni delle alluvioni in Romagna. Ormai l’unico scopo della cosiddetta informazione consiste nell’abbagliare i telutenti con balle smisurate, come faceva Mussolini che trasferiva le vacche da un capo all’altro dell’Italia per aumentarne il conto.
E non solo abbiamo visto un’informazione a senso unico su carta o su video e il mantenimento per i giornalisti di benefit in contrasto coi diritti dei cittadini, ma sono aumentati i bavagli, le censure, le plateali menzogne. E continua ad esistere quella vergogna a cielo aperto che è l’Ordine dei giornalisti, altra inutile mangiatoia di Stato, per propria scelta assolutamente inetta a sospendere o denunciare i giornalisti più faziosi o infami o le menzogne più spregiudicate. E di questo centro di succubi non sentiremmo proprio la mancanza.
Il nuovo problema di chi domanda è purtroppo (purtroppo per loro), l’allargamento dei social, che è come il latte che trabocca da un recipiente troppo stretto, per cui sempre più cittadini disertano l’informazione di regime (vedi il calo di tiratura del giornali e dell’audienze dei tg) e cercano una informazione alternativa. Su questo punto ci sono serie preoccupazioni nella stessa Europa di Bruxelles che vede scapparsi di mano il favore alla guerra e l’Atlantismo esasperato o la difesa di Netanyahu, perché un numero crescente di Europei misura la distanza della propaganda da una realtà che ci minaccia ormai tutti in modo apocalittico.
Insomma quello che un tempo si chiamava “quarto potere”, cioè la la capacità della stampa di orientare l’opinione pubblica, sta perdendo colpi, mentre si afferma sempre più una informazione digitale alternativa. La verità non la trovi più sotto il trono del re, ma negli angoli nascosti della gente comune.
Se siamo arrivati alla fine dell’era elettrica o tecnologica, ora il potere deve fare i conti con qualcosa di nuovo che delineerà la civiltà quantististica o digitale, con l’aumento di impiego dell’Intelligenza artificiale di cui non sono ancora ben chiaro gli esiti sia positivi (per es. sulla ricerca scientifica) che negativi (per es. sulla manipolazione dei cervelli umani).
Come dice giustamente il fisico quantistico Guido Tonelli, “Ogni civiltà corrisponde a una visione che dal microcosmo va al macrocosmo. Quando cambia la visione del mondo, cambia la visione di una parte dell’umanità. Si entra in un’era nuova, dominata da altri paradigmi. Nasce una nuova visione culturale”. Si pensi al mutamento radicale della visione del mondo nel passaggio dalla visione egeocentrica a quella eliocentrica, e, dopo, al passaggio dalle politiche nazionalistiche a quella planetarie e alla scoperta che non esiste solo la nostra galassia ma miliardi di miliardi di galassie.
Quando cambiano i paradigmi di un’era, nasce una visione nuova del mondo, si passa ad un’altra era e, come dice spranzoso Tonelli, “Cambiano anche le relazioni personali”.
Possiamo misurare l’entità di questi cambiamenti dai nuovi ‘eidola’ (come li chiamava Bacone), i pregiudizi che ci impediscono di pensare correttamente: la guerra al posto della pace, il ritorno ai confini nazionalistici contro il federalismo europeista e, di riscontro, l’idea di una cittadinanza planetaria, il crollo delle grandi religioni sostituite prima dal materialismo, poi, nei soggetti migliori, da un panteismo che legge il sacro nell’organicità del Tutto. Si pensi solo alle conseguenze psicologiche sulle giovani generazioni dell’uso della tecnologia informatica, il mondo virtuale, la pandemie reali o costruite che hanno spinto a relazioni sociali nuove che fanno a meno della fisicità e sviluppano altre connessioni più sottili che la fisicità in qualche modo impediva. Si pensi, su scala mondiale, alle implicazioni che deriveranno da associazioni di Paesi su larga scala: i BRICCS, la federazione dei Paesi arabi, gli Stati del Sudamerica, la nascente Africa…
Sia che guardiamo nel dato minimo o ci spostiamo a livello politico planetario o sforiamo nel macrocosmo, siamo colpiti dalla rapidità dei mutamenti, nelle cose che conosciamo, in ciò che potremmo fare, in ciò che sta nascendo o potrebbe svilupparsi. Il mondo sta mutando vertiginosamente anche se pochi se ne rendono conto ma presto nulla sarà come prima.
Tutto va in fretta, troppo in fretta, e restare attaccati ai piccoli gossip, alle frantumaglie da cortile, non fa che tarpare una nuova umanità nascente che potrebbe essere molto migliore delle squallide forme di adesso.
La domanda è: se il futuro è ora, chi dominerà la storia?
Forse, mettersi dalla parte della speranza è l’unico modo per rispondere bene domani a questa domanda.
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