È vero che non esiste più il cinema civile dei Francesco Rosi ed Elio Petri? E neppure la televisione d’inchiesta modello Enzo Biagi e Sergio Zavoli? E invece sopravvivono, anche se non se ne parla abbastanza, essendo […]

(di Antonio Padellaro – ilfattoquotidiano.it) – “Ma voi vi chiedete maiperché vicino alla più grande acciaieria d’Europa non ci sta manco una fabbrica di forchette? Mi sa che la ricchezza va tutta da un’altra parte. A noi ci resta solo la munnezza”. “Palazzina LAF”, Regia di Michele Riondino (Sky Cinema)

È vero c he non esiste piùil cinema civile dei Francesco Rosi ed Elio Petri? E neppure la televisione d’inchiesta modello Enzo Biagi e Sergio Zavoli? E invece sopravvivono, anche se non se ne parla abbastanza, essendo molto più piccante occupare ogni giorno paginate sul teatrino delle nomine nel Servizio pubblico, corredate dai flop imbarazzanti dell’amichettismo targato destra sovranista in fregola da egemonia culturale. Più divertente ancora pubblicare le tabelle delle pellicole finanziate con i soldi di tutti, davvero incredibili quando si apprende che un film con dicasi 29 presenze in sala ha ricevuto 700 milioni di contributi nazionali alla produzione. Mentre un altro capolavoro che di presenze al botteghino ne ha fatte ben 128 ha incamerato un superenalotto: 1.343.295,91 euro (e se davvero ha cercato di porre rimedio a un tale obbrobrio, beh, allora il ministro Sangiuliano qualcosa di buono lo ha fatto). Ciò detto, Palazzina Laf è l’esempio di un cinema capace di raccontare con una scrittura solida e i giusti interpreti (lo stesso Michele Riondino ed Elio Germano) la triste istoria dell’Ilva di Taranto. Dei veleni iniettati da una dirigenza rapace e occhiuta: le polveri nocive che hanno intossicato la città e i Giuda prezzolati al fine di spezzare la resistenza della classe operaia. A inquadrare il contesto storico, che nel film per esigenze narrative è solo accennato, ci pensa una Rai di qualità in una staffetta espressiva certo non casuale, visto che proprio in queste ore sono piovute 15 offerte d’acquisto per l’ex Ilva. Domani, lunedì 23 settembre, su Rai1 e nella notte più profonda (ore 23:45, non si può avere tutto dalla vita) per la serie “Cose Nostre” di Emilia Brandi, si racconta la storia di Giovanni Tedesco, ucciso dalla mafia tarantina perché indagava sui furti impuniti di rame e alluminio nel polo siderurgico. Delitto commesso nell’ottobre 1989 ma che consente di ricostruire il quadro sociale e politico di un colosso industriale sorto per modernizzare e riscattare il Sud da una atavica arretratezza. Al taglio del nastro l’entusiasmo dello statista pugliese Aldo Moro, siamo nel 1964 in pieno miracolo economico, certifica quella speranza poi tradita. Uno sviluppo compromesso dai fallimenti della politica, dallo strapotere criminale, dalla inettitudine imprenditoriale che rischia di finire nel nulla. Dirà Giovanni Paolo II nel confortare i familiari di Tedesco che la dignità dell’uomo vince la violenza. Parole alte anche se purtroppo i mandanti di quel vile fatto di sangue, e dello sfacelo di una città ingannata dalle false promesse, restano tuttora impuniti.