Il governo promette 4,3 mln di auto elettriche circolanti al 2030: adesso siamo sotto le 300mila e gli acquisti sono fermi

(Di Marco Maroni – ilfattoquotidiano.it) – Il primo luglio scorso i ministri dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, e delle Infrastrutture e Trasporti, Matteo Salvini, hanno inviato a Bruxelles il Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec). “Uno strumento – ha detto Pichetto – che traccia con grande pragmatismo la nostra strada energetica e climatica, superando approcci velleitari del passato”. Tra i pezzi forti del Piano c’è la mobilità che, con quello che dovrebbe essere grande pragmatismo, fissa l’obiettivo di de carbonizzazione del parco auto nazionale: 4,3 milioni di auto elettriche circolanti in Italia entro il 2030. Un obiettivo che fa a pugni con la realtà.
“Se va bene alla fine di quest’anno il totale delle vendite di auto elettriche potrebbe raggiungere le 80 mila unità, portando il parco circolante a un totale di meno di 300 mila vetture”, spiega Antonio Sileo, program director presso la Fondazione Eni Enrico Mattei e autore di uno studio sulla mobilità elettrica che sarà presentato a Bologna in ottobre nell’ambito della manifestazione sulla trasformazione energetica Fueling tomorrow. Per arrivare alla cifra fissata nel Piano se ne dovrebbero immatricolare (stima inevitabilmente approssimativa, che non tiene conto delle vetture che escono dalla circolazione) 660 mila ogni anno da qui al 2030. E questo in un mercato dell’auto che si sta dimostrando sempre meno entusiasta delle vetture a batteria: prezzi alti, autonomia ridotta, complessità e costi delle ricariche, ma anche una resistenza a cambiare abitudini in termini di mobilità, stanno infatti frenando la transizione all’elettrico.
Il boom dopato di giugno.
Nei primi sei mesi di quest’anno in Italia sono state vendute 34.700 mila auto elettriche, il 6% in più dello stesso periodo 2023, risultato ottenuto più che altro grazie agli incentivi. Dopo le tranche del 2022 e del 2023, in gran parte inutilizzate, il governo ha infatti messo in campo quest’anno bonus più generosi, dai 6 mila ai 13.750 euro a vettura, a seconda della situazione economica Isee e della disponibilità a rottamare una vecchia auto. Per i tassisti sconti da 12 a 22 mila euro, senza vincoli Isee: quanto basta per comprare una Tesla al costo di una Panda. Il 3 giugno, click day dell’incentivo, i 240 milioni disponibili sono finiti nel giro di 9 ore, con 25 mila auto full electric prenotate, 14 mila sono state immatricolate già nel mese. Ma l’exploit di giugno non è bastato ad arrivare a neanche un terzo dell’obiettivo che fissa il Piano nazionale.
Chimere.
Per raggiungere quelle cifre bisognerebbe, infatti, immatricolare una media di 50 mila auto elettriche ogni mese fino al dicembre 2030, quasi dieci volte quel che accade nella realtà. Con l’attuale schema di incentivazione, secondo un’analisi pubblicata dal sito economico lavoce.info, andrebbero stanziati 400 milioni di euro al mese per i prossimi 80 mesi. Tanto più, nota l’articolo, che solo il 40% delle auto elettriche prenotate col bonus 2024 è stato legato alla rottamazione: per molti lo sconto è stata l’occasione per comprare una seconda auto. Parte delle vendite finanziate coi soldi pubblici non contribuiscono quindi alla riduzione delle emissioni e aumentano il parco macchine in circolazione.
Diffidenze.
“Una transazione all’elettrico richiede molto tempo”, dice ancora Sileo, “In Italia si vendono soprattutto auto dei segmenti A e B, city car e utilitarie, la più venduta dal 2012 è la Panda: costa poco e si può usare sia in città, sia sulle le lunghe distanze, cosa che con un’elettrica, soprattutto se non tratta dei modelli più potenti, è difficile. E comunque non si possono spingere gli automobilisti a cambiare approccio velocemente”.
Concorda Roberto Vavassori, presidente Anfia (Associazione nazionale filiera industria automobilistica): “È una transizione lunga. In Italia abbiamo raggiunto un plafond coi cosiddetti early adopters, coloro che hanno creduto nella novità tecnologica e che, in buona parte, si potevano permettere una seconda auto. Ora servirebbe un cambiamento culturale. E, naturalmente, proseguire la transizione energetica: se per alimentare le batterie si usa energia da fonti fossili, l’elettrico dal punto di vista ambientale ha poco senso”.
Cultura?
Se ci sono resistenze “culturali”, è anche evidente che l’elettrica, almeno oggi, non è per tutti, soprattutto non per chi deve fare bene i conti di fine mese.
Oltre all’autonomia ridotta (fanno 500 chilometri con una ricarica solo i modelli di punta) e la necessaria pianificazione delle ricariche, a frenare gli acquirenti è il prezzo medio superiore a quello delle endotermiche, il veloce deprezzamento (per via della perdita di capacità della batteria) e costi di ricarica in alcuni casi superiori a quelli di un pieno.
Ricariche costose.
L’associazione Altroconsumo ad aprile dell’anno scorso (prezzi dei carburanti e dell’energia simili agli attuali) ha pubblicato un dettagliato studio che confronta i costi per chilometro delle diverse opzioni: benzina, gasolio, elettricità. Ne viene fuori che, sia nel caso di un’utilitaria, sia nel caso di un’auto medio grande, l’alimentazione elettrica conviene solo se si ricarica a casa o alle colonnine a bassa potenza. In questi casi, però, i tempi medi di ricarica vanno dalle due (auto piccola alla colonnina) fino alle 30 e passa ore (auto grande nel box di casa). Se invece si vuole ricarica in un quarto d’ora, a un erogatore super fast, il costo è diverso, fino a 90 centesimi al kilowattora, e la musica cambia: per fare 20 mila chilometri l’anno con un auto medio grande alimentata a batteria si spendono 3.900 euro contro i 2.600 euro di un diesel.
Lo chiede l’Europa.
Considerato che i trasporti generano circa un quarto delle emissioni di CO2 in Europa e che il 71% viene dal trasporto su strada, si comprende l’enfasi sull’auto elettrica nella politica di de carbonizzazione dell’Unione Europea. Anche a Bruxelles, però, il regolamento che fissa al 2035 il termine per la produzione di auto che emettono CO2 sembra ben poco coerente con le dinamiche del settore. “Dopo lo scandalo dieselgate di Volkswagen (test sulle emissioni taroccati, ndr) la lobby tedesca dell’auto ha avuto le armi spuntate a Bruxelles, oltre a due esponenti dei verdi nel governo federale, e non è riuscita a contrastare i piani della Commissione a guida von der Leyen”, dice ancora Sileo. Una decisione politica più che economica, che ha costretto i produttori a investire molto nell’elettrico anche se il mercato non era pronto. Tanto che ora in molti fanno marcia indietro (vedi l’articolo a fianco).
A convincere qualche automobilista in più potrebbero essere le economiche auto elettriche made in China, ma le politiche protezionistiche stanno facendo da argine. In questo contesto, la strategia del governo Meloni – ormai in rotta di collisione con Stellantis, che sull’elettrico in Italia non sta investendo – è quella di portare i cinesi a produrre direttamente in Italia. La condizione posta dal governo, che è in trattative con il colosso Dongfeng (felice di assemblare in Italia evitando i dazi europei), è che la componentistica sia almeno per il 45% italiana. Sempre che ci sia un mercato.
La retromarcia è globale: vendite in calo ovunque
In Cina – Mercato in crescita: vale il 30% del totale
L’annuncio più ambizioso l’aveva fatto tre anni fa la Mercedes: nuovi modelli solo elettrici dal 2026 e stop alla produzione di auto a benzina e gasolio nel 2030. Ma ha dovuto fare marcia indietro. Per l’amministratore delegato Ola Källenius l’abbandono dei motori a combustione entro quella data non è più realistico. Nel principale mercato dell’auto europeo, finiti gli ecobonus del 2023, nei primi sei mesi di quest’anno le vendite di elettriche sono calate del 18% rispetto allo stesso semestre dell’anno scorso. A luglio il calo è del 37%. Nonostante i garage privati e oltre 120 mila stazioni di ricarica, quasi tre volte quelle dell’Italia, anche i clienti facoltosi, principale target di Mercedes, continuano a preferire di gran lunga le auto a benzina e gasolio. Per dirne una, mentre la Mercedes Classe S vende quasi 8 mila unità al mese, la sua controparte elettrica, la super pubblicizzata Eqs (130 mila euro il modello base) ne consegna poco più di mille.
A raffreddare l’entusiasmo dei tedeschi potrebbe anche essere il deprezzamento, una dinamica che riguarda tutte le elettriche ma che, secondo il sito americano iSeeCars (un database di 30 milioni di veicoli usati), per la Eqs è da record: meno 48,7% dopo un anno rispetto al prezzo di listino. La casa di Stoccarda ha quindi anche rinunciato alla piattaforma (il pianale) di nuova generazione per i modelli elettrici che avrebbe dovuto essere pronta nel 2028 per un investimento previsto tra i 4 e i 6 miliardi di euro.
Il motivo, ovviamente, è economico. Secondo la multinazionale della consulenza Pwc, nel secondo trimestre di quest’anno le consegne di prodotti a batteria nei primi 10 mercati europei sono state 410.000, in calo del 4% rispetto allo stesso periodo del 2023. In questo contesto, a fare marcia indietro sono un po’ tutte le case, con Renault che ha annullato la quotazione della sua divisione elettrica Ampere, Volkswagen che ha fatto lo stesso con la sua PowerCo, mentre Stellantis ha fermato la riconversione a “gigafactory” per batterie dello stabilimento Fiat di Termoli.
Non molto diversa la storia negli Stati Uniti. Nel secondo trimestre 2024 si sono venduti 289.000 veicoli elettrici, un modesto 1% di incremento, contro la crescita del 67% registrata l’anno prima. Ford, primo costruttore del paese, nella relazione finanziaria di metà anno registrava un calo del 22% delle consegne, con una perdite per 2,4 miliari nella divisione Model-e, di cui ha annunciato un ridimensionamento: addio al progetto del Suv a tre linee totalmente elettrico, punterà invece all’ibrido. Anche perché se la domanda rallenta, i costi di produzione corrono. Il marchio Usa perde 132.000 dollari per ogni veicolo elettrico prodotto e prevede che il settore chiuderà il 2024 con un rosso di 5 miliardi. Anche Tesla, primo costruttore di auto elettriche mondiale, nonostante la posizione dominante, con la Model Y che resta l’auto più venduta al mondo, rallenta. Nel primo semestre del 2024, le vendite del marchio di Elon Musk sono scese negli Stati Uniti a 299.200 unità rispetto alle 324.900 dell’anno precedente e a 161.600, rispetto a 185.500 in Europa. Un trend che se confermato renderebbe poco giustificato il prezzo del titolo, che in Borsa capitalizza 677 miliardi dollari, più del valore sommato delle azioni Toyota, Volkswagen, Ford, Hyundai e Honda messe assieme, salvo che queste vendono 25 milioni di auto l’anno, contro i meno di due milioni di Tesla.
È invece florido il mercato cinese, con le auto a batteria che ormai rappresentano il 30% delle vendite (il 50% se si includono anche le ibride plug-in, motore a scoppio più batteria con ricarica esterna). Il perché lo spiega almeno in parte una ricerca del centro studi britannico Jato Dynamics: mentre i prezzi in Europa e America negli ultimi 10 anni sono aumentati, in Cina, già bassi, sono diminuiti. Risultato, un’auto elettrica in Cina costa in media meno della metà: 31 mila euro (listini 2023) contro i 67 mila dell’Europa e i 68 mila degli Usa.
E non si tratta solo di maggiore capacità industriale e di minori costi del lavoro e dell’energia, c’entra anche il fatto che mentre in Cina si è perseguita la diversificazione, in Europa e Usa l’auto verde resta una faccenda d’élite. Nel Paese asiatico meno di un quarto delle vetture elettriche costa più di 40 mila euro, in Europa sono il 77%, in Usa l’82%.
Una dinamica dei prezzi a cui non gioveranno i nuovi dazi europei, introdotti dalla Commissione lo scorso 4 luglio: tra il 9% (per le Tesla prodotte in Cina) e il 36% da sommare alla tariffa del 10% già in vigore. Iniziativa che sembra un autogol nella già difficile partita della mobilità verde.
costano troppo
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Eh beh……..
Sostituire il motore termico in quanto senza futuro per carenza di combustibile fossile con un motore elettrico anche lui senza futuro per carenza di minerali necessari a costruire le batterie è stata veramente una genialata.
Con buona pace degli allocchi che ci sono cascati.
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Del resto come potete pensare che un problema possa essere risolto da una Kapò che ha il cervello fatto di lacca per capelli al 98%?
Ma l’avete vista quando l’hanno (purtroppo) rieletta, che ghigno che aveva?
La Meloni lì ha capito che non conta niente anche se si fa le vacanze da 8.000 euro al giorno.
Ma perché i clienti delle elettriche NON sono soddisfatti? Chiediamolo a chi ha più esperienza di motori che di lacche per capelli:
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La Tesla S ha una batteria che pesa 500 kg (CINQUECENTO CHILI).
Riempita di materiali rari.
Una Mercedes S costa 130.000 euro e dopo 1 anno (UN ANNO) la rivendi con un deprezzamento del 48%! Sono oltre 50.000 euro in meno.
Ma chi volete che davvero voglia queste vetture?
Eppure, a proposito delle vetture elettriche, una soluzione ci sarebbe, almeno parziale: come mai non le fanno con i pannelli fotovoltaici?
Sapete che vetture del genere (World Solar Challenge) dagli anni ’80 viaggiano in una gara attraverso l’Australia? 3.000 km ad una media di circa 90 km/h.
350 kg di peso, solo 63 per la batteria. Ecco come si possono risolvere le problematiche delle auto elettriche.
Ma se non usi la Tesla facendo 80 euro per ricarica cosa potresti fare? Essere indipendente! GIAMMAI. A me sembra evidente che vogliano farci passare da ENI ad ENEL, ma sempre dipendenze sono.
Piccolo appunto personale. Ho una calcolatrice T.I. degli anni ’80 che funziona ancora. A celle solari. Quanta elettricità ha consentito di risparmiare in questi decenni?
Con un’auto FV almeno parziale, il problema delle ricariche sarebbe risolto da un pezzo. Invece bisogna aspettare la diffusione delle colonnine. E pagare 100.000 euro per una Tesla, già che ci siamo.
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