(Giancarlo Selmi) – Un sindaco che compra terreni per 5 milioni in una zona contaminata dalla vicinanza con Marghera. Una zona denominata “dei Pili”. Una zona considerata off limits da decine di studi e che necessitava di ingenti opere di bonifica. Il terreno è all’origine dell’accusa di concorso in corruzione, per il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, per il suo capo di gabinetto Morris Ceron e per il vice capo di gabinetto Derek Donadini.

I tre, secondo il provvedimento degli inquirenti, avrebbero concordato con Ching, potenziale acquirente, il pagamento di euro 150 milioni in cambio della promessa di fare raddoppiare, grazie al loro ruolo all’interno dell’ente comunale, il raddoppio dell’indice di edificabilità sui terreni del “Pili” di proprietà del sindaco e dell’adozione di tutte le varianti urbanistiche che si sarebbero rese necessarie per l’approvazione del progetto edilizio ad uso anche commerciale e residenziale della volumetria di 348mila metri quadri che sarebbe stato approntato e presentato da una società di Ching.

Ma qui viene il bello. Per invogliare Ching a chiudere l’affare, viene offerto allo stesso un immobile storico di pregio, Palazzo Boerio Papadopoli, situato al centro di Venezia, di proprietà comunale, valutato anni prima quasi 15 milioni di euro, a un prezzo molto minore, dopo una svalutazione operata dagli stessi indagati. Della cosa si sarebbe occupato l’assessore Boraso. L’immobile viene venduto a Ching, con una strana gara, a 10,8 milioni, quattro milioni meno di quanto era stato valutato molti anni prima. L’assessore riceverà sul c/c di una sua società, da una società immobiliare legata a Ching, la somma di complessivi 72.000 euro, in due tranche di 36.000 ognuna. Boraso ha ricevuto un mandato di arresto.

Insomma affari. Buoni per Brugnaro, per i suoi compari, per l’assessore, per Ching. Pessimi per i veneziani, per le casse del comune, per la collettività. Casi di ordinaria corruzione, di disponibilità, o il “lasciamoli lavorare” di meloniano incipit? Chi lo sa? Lo stabiliranno i giudici. Balza all’attenzione però una cosa: la stranezza della gestione della cosa pubblica da parte della destra italiana. Non “cosa nostra” per l’amor di Dio, ma certamente “cosa loro”. I voti, se ciò che si sospetta verrà confermato, si tramutano in soldi. Sonanti. Dopo Toti e tutto l’intorno, a essere travolta è Venezia. Certo a meno che Nordio non corra ai ripari.

E, da come stanno le cose, non è tanto peregrino immaginare che il ministro dei gingilli e dei mezzi litri possa riformare la giustizia abolendo, non un reato, ma l’intero codice penale. Sarebbe invero l’unica forma per mantenere fuori dalle patrie galere, andando avanti così, tre quarti degli amministratori destri