Nel suo partito c’è ormai chi si ribella. Marattin si candida, Boschi parla con Schlein

Matteo Renzi

(di Fabrizio Roncone – corriere.it) – E Matteo Renzi? Guardate: sarebbero state settimane pazzesche per uno come lui. Con la portentosa svolta laburista britannica e con la Francia che si ribella ai lepenisti e subito però inizia a friggere, nell’incertezza di un governo stabile. E poi qui, sul piano interno: Salvini che non ne azzecca mai una (s’era abbracciato alla Le Pen, vabbé) e Giorgia Meloni che, adesso, nessuno capisce bene se sia più forte o più debole. Sentiamo Renzi, no? Che pensa, che dice, che propone: questo sarebbe stato il riflesso condizionato nelle redazioni, sempre suggestionate dal talento di Renzi, dalla sua capacità di vedere l’invisibile e sparigliare, con scosse – talvolta – da vero fuoriclasse. E invece? No, stavolta nessuno di noi lo chiama. Qualche raro colloquio. Ma senza titolo, senza charme, senza luce. La verità, più o meno, comincia ad essere questa: Renzi, che tecnicamente resta il più bravo comparso sulla scena politica italiana dell’ultimo decennio, dopo spettacolari avventure nella pista delle “auto a scontro” è rimasto da solo sopra la piccola giostra che si è scelto e che gira lentamente, nel sottofondo una musichetta triste, con lui in groppa a un cavalluccio di legno, sempre rallegrato da feroci dosi di autostima e senza nemmeno troppi rimpianti per la sua enorme bravura bruciata. L’ultimo lampo, va detto, alla vigilia delle Europee: quando si candida perché intuisce con mossa rapace la nuova straordinaria centralità che avrebbe avuto Strasburgo. Ma gli va male, corre insieme alla Bonino e non supera la soglia del 4%. Forse – dico forse – è stata la sua ultima grande puntata. Adesso, quando scende dal cavalluccio, va a tenere conferenze in giro per il mondo e, ogni tanto, si ricorda d’essere senatore e di guidare Italia Viva. Solo c’è qualche dubbio che sia viva. Luigi Marattin, un fedelissimo, è addirittura insorto: «Mi candido per il dopo Renzi!». E un renziano tanto renziano d’essere soprannominato Bombacci, l’altra sera a una cena soffiava preoccupato che «Matteo, purtroppo, ha perso il tocco magico». Maria Elena Boschi, nell’incertezza, s’è messa a parlare con Elly Schlein. Parla anche a nome di Matteo? Boh, sì, no, però può darsi. Renzi pensa di rientrare in un partito che guidava al 41%? Questo, senatore, proprio no: non sarebbe un colpo alla sua altezza.

Renzi e l’arte del politico qui e ora che ama il lusso e i ribaltoni inseguendo l’eterno riscatto

Talentuoso, stufarello e furbacchione. Un giorno vuole il Terzo Polo, un altro litiga. Oggi guarda a Schlein e domani chissà

Renzi e l’arte del politico qui e ora che ama il lusso e i ribaltoni inseguendo l’eterno riscatto

(di Filippo Ceccarelli – repubblica.it) – Con la sua ultimissima offerta votiva ai suoi diversi ex nemici Matteo Renzi si sposta definitivamente al di là del bene e del male, lungo un orizzonte in cui tutto si combina con il contrario di tutto, in bilico fra la meraviglia del possibile e il baratro dell’insignificanza.

Si perdoni qui il tortuoso procedere oracolare, con tanto di smargiassa citazione di autore difficile fin dal nome, Evgenij Morozov, giornalista e scrittore bielorusso, ma la verità di Renzi, la condizione che garantisce la sua sopravvivenza socio-politica e giustifica in fondo anche questo traballante articolo è davvero “ciò che attira più occhi”. In questo senso la riprova sta nelle diverse immagini prodotte attorno a quell’evento, eminentemente onirico e cinicamente filantropico che è la Partita del Cuore e che l’ha visto mattatore, match-winner, king maker, comunque protagonista.

La maschera di Renzi è generalmente un sorriso assai accorto e denso di promesse. Con tale espressione lo si è visto sia in campo che negli spogliatoi; se non è un fake, ci sarebbe pure un’immagine in cui, a fine partita, porge impegnativamente un ghiacciolo al limone nella bocca di una senatrice d’area governativa (con sbarazzina prontezza la benemerita pagina Instagram The Journalai ha chiesto ai follower di “dare un titolo a questa foto”, prima che fosse rimossa).

Ma la visione decisiva è quella dopo il gol, poi annullato, che Renzi ha fatto segnare a Elly Schlein, e ciò che più impressiona — la verità di Morozov — è l’occhio rapito di lei mentre gli getta le braccia al collo. Se le chiacchiere stanno notoriamente a zero, è in questo fotogramma che ha preso a generarsi ogni plausibile alternativa al governo Meloni.

La scienza empirica dei precedenti dice che la partita del cuore è per Renzi una tigna e un riscatto. Dieci anni fa, quando da premier si vantava di essere “un rullo compressore”, veniva ritratto sulla copertina di Vanity nelle sembianze di Justin Bibier e stava per elargire 80 euro di bonus agli elettori, per via della par condicio gli fu impedito di partecipare a un incontro a favore di Emergency, in squadra con Baggio e Batistuta contro la nazionale cantanti su Rai1. “Grazie alla rabbia e alla paura dei grillini — commentò amaramente — per la prima volta si spreca un evento che da anni unisce gli italiani”. Tanto più significativa l’odierna apertura ai grillini.

Ma il bello è che la foto calcistica ha avuto anche il potere di far dimenticare un’altra sua magnifica istantanea scattata qualche giorno prima a Mumbai che lo ritraeva in costume tradizionale indiano accanto alla moglie Agnese e a un antico grammofono. La sua espressione emanava in quella circostanza una sorta di trionfale allegria per la partecipazione a un matrimonio di esotici ricconi. Detto senza superflui pauperismi, Renzi adora i segni del lusso e i miliardari. Era con lui quell’altro riformista che costituisce ormai il suo modello antropologico e comportamentale, Tony Blair, pure lui in tenuta esotica, da cui Renzi ha mutuato l’arte marpionesca delle conferenze, delle consulenze, delle mediazioni, dei lavoretti mediatici per rendere accettabili governi inaccettabili, del saper cogliere al volo qualsiasi occasione favorevole — ciò che gli è valso un reddito di 3 milioni e 334 mila bombi, e crepi l’avarizia.

Forse è anche per questo che ogni tanto torna alla politica. Difficile seguirlo, impossibile individuare un filo non si vorrebbe qui di coerenza, ma almeno di vaga continuità; per cui un giorno Renzi fa la stampella del governo di destradestra, un giorno punta all’eredità berlusconiana, un giorno vuole il Terzo Polo e si azzuffa con Calenda, un giorno riaccende le stelle della dodicesima Leopolda con il frate dell’IA e Francesca Pascale, un giorno s’improvvisa direttore del Riformista, quindi si scoccia e molla lì. Talentuoso, fantasmagorico, furbacchione e stufarello.

Con tali premesse, a partire da un fermo-immagine in tenuta calcistica, l’apertura a Schlein e agli odiati grillini. Oltre a nutrire qualche diffidenza, sia consentito chiedersi se tale imperio della cosmesi possa ancora interpretarsi alla luce del vecchio trasformismo, e non risponda invece a un’evoluta mutevolezza, quella permanente metamorfosi che spinge le celebrities a cambiare di continuo aspetto, costumi, linguaggio, parenti, pur di strappare l’attenzione del pubblico. Ma qui si torna alle astruse ipotesi di un eterno presente e assoluto di cui Renzi sarebbe l’esemplare più completo e impudente, brand e prodotto della società dell’istante, delle convenienze e delle necessità, dei sogni e dei desideri, delle visioni e un po’ anche delle allucinazioni. Senza passato e perciò senza futuro, hic et nunc, sospeso nel tempo, alla faccia della memoria.