INAMMISSIBILE – La Corte d’appello di Brescia chiude il caso: le famose “nuove prove” non sono inedite e non sono mai state realmente vere

(DI SELVAGGIA LUCARELLI – ilfattoquotidiano.it) – Il presidente della Corte d’Appello di Brescia Antonio Minervini entra in aula con un’ora di ritardo. È una storia che si trascina da 18 anni, sessanta minuti in più in fondo sono un’inezia. Ci pensano il procuratore generale, l’avvocato generale e le parti civili a dare un’accelerata all’udienza. In una manciata di secondi tutti spiegano che non hanno nulla da dire. Un silenzio che in realtà, forse, è “qualcosa da dire”.

L’assenza di parole è probabilmente un messaggio preciso, l’espressione non verbale dell’esigenza di mettere la parola fine a questa infinita agonia di falsi scoop, dubbi acrobatici, consulenze magiche e insinuazioni fantascientifiche che da anni alimentano il fuoco innocentista. La decisione arriva dopo quasi cinque ore di camera di consiglio durante le quali i giornalisti presenti in sala stampa cercano di prevedere il futuro. C’è chi interpreta queste lunghe ore di attesa come “il segnale inequivocabile che forse qualcosa ammetteranno”, c’è chi ricorda che “sarebbe inutile ammettere solo qualche prova, tanto il castello accusatorio non viene giù”, c’è chi dice ai colleghi giornalisti “qualunque cosa succeda oggi, basta usare nei pezzi su Erba l’espressione “battitacco”, è insopportabile!”.

Insomma, c’è spazio anche per qualche battuta, poi arriva la sentenza: la richiesta di revisione del processo non viene accolta. Le famose “nuove prove” non sono nuove e non sono mai state neppure prove. Sono servite però a “seminare dubbi, caos, incertezze”, come scriveva profeticamente Olindo Romano nella sua Bibbia in carcere, quando anticipava la futura strategia difensiva dei suoi nuovi avvocati.

E in effetti la difesa di Bazzi e Romano, in quasi 18 anni, è stata tenace, creativa e capace di trovare le sponde più spregiudicate del panorama mediatico italiano. Ha potuto contare su libri, improbabili documentari innocentisti, visite in carcere ai due assassini da parte dell’inviato delle Iene Monteleone che arrivò perfino a mandare in onda la frase disgustosa di Rosa “A noi colpevoli non ce lo possono dire. Pietro deve sedersi a tavola con me e vedere chi è colpevole tra noi due. Non lo tagliare questo pezzettino”.

Insomma, pur di arrivare fin qui gli innocentisti si sono spinti ben oltre il tentativo di far passare per vittime due killer spietati. Hanno adombrato il sospetto che il killer della sua famiglia potesse essere perfino Pietro Castagna. Inutile ricordare quanto dolore sia costato ai figli dei coniugi Frigerio e ai sopravvissuti della famiglia Castagna tutto l’iter feroce e sgangherato che ha portato fino alla richiesta di revisione.

È invece utile ricordare quanto spazio abbia occupato sui media questo delirio innocentista, quanto la macchina della giustizia sia stata condizionata dalla pressione mediatica, quanti pozzi siano stati inquinati da strampalate teorie complottiste e quanti soldi pubblici siano stati spesi per arrivare fin qui. Perché il prezzo dei processi mediatici con i giornalisti che inseguono per strada le vittime e portano le arance in carcere agli assassini inizia a essere un po’ troppo costoso. E pericoloso.

Il principale artefice di questo inutile e dispendioso circo mediatico (Antonino Monteleone) che tanto ha condizionato questa brutta vicenda, lascia (da sconfitto) Le Iene e viene premiato da Tele Meloni con un programma Rai tutto suo che si intitola “L’altra Italia”. Chissà a quale “altra Italia” si riferisce, se a quella dei terrapiattisti, delle vittime dei rapimenti alieni o a quella di coloro convinti che i coniugi Romano siano due agnellini incastrati dai poteri forti.

Comunque, un grande risultato professionale: Monteleone oggi potrà brindare con il collega Bruno Vespa (perché no, aprendo uno dei suoi vini), magari in carcere con Rosy e Chico. In attesa della nuova vittima da riabilitare: Vlad l’impalatore, probabilmente.