SECONDO MANDATO – Consiglieri, falchi, avvocati e anche la sorella: è questo il cerchio magico che guida Potus. Lo stesso che ora sta decidendo se farlo ritirare

(DI ROBERTO FESTA – ilfattoquotidiano.it) – Vecchi amici. Collaboratori storici. Familiari. È la old school che circonda Joe Biden. È il cerchio magico che Biden consulta, quando deve prendere qualche decisione importante. Come candidarsi di nuovo alle presidenziali. Come (forse) ritirarsi dalle presidenziali. È tutta gente piuttosto in là con gli anni. È tutta gente che ha libero accesso al presidente e che ne condiziona le scelte. Godono di un raro privilegio: dire ciò che pensano in faccia a Biden, noto per non aver mai mostrato grande tolleranza per il dissenso. Alcuni di questi, Biden se li è portati a Camp David per prepararsi al dibattito con Donald Trump. Con i risultati che sappiamo.

Il cerchio più ristretto, quello su cui Biden ripone la più assoluta fiducia, è composto di cinque persone. Due sono familiari. C’è anzitutto Jill Biden, sua moglie da 47 anni, la donna che Joe ama con passione, con cui ha diviso gioie e tragedie – dai successi elettorali a due aneurismi, alla morte per un cancro al cervello del figlio Beau – e con cui ha messo in piedi una vera e propria “ditta politica” (insegnante a un community college, è particolarmente ascoltata sulle questioni che riguardano l’istruzione). È stato il suo sguardo che Biden ha cercato subito, al termine del disastroso confronto con Trump. Lei lo ha raggiunto e rassicurato. “Sei stato bravissimo. Hai risposto a tutte le domande”. Jill si è quindi messa in viaggio, tre eventi nelle dodici ore post-dibattito, per rassicurare i finanziatori democratici che va tutto bene.

“Gli ho detto: Joe, non sarà un’ora e mezza in Tv a definire i tuoi quattro anni da presidente”, ha raccontato a un evento di raccolta fondi a Manhattan. È Jill che molti tra gli stessi leader democratici sentono in queste ore. Per capire le intenzioni del presidente. Per alludere, forse, al suo possibile ritiro.

L’altra donna su cui Biden conta è Valerie, la sorella più giovane: 78 anni, anche lei di formazione insegnante, Valerie ha gestito in prima persona tutte le campagne di Biden per il Senato, a partire dal 1972, oltre a quelle presidenziali del 1988 e del 2008. Molte delle strategie volte a conquistare il voto femminile portano la sua firma, ed è lei che ha in mano le leve di comando della “Biden Foundation”. Il ruolo di Valerie nella vita del fratello va però molto al di là della politica. Fu Valerie a trasferirsi a casa di Joe, per prendersi cura di lui e dei due figli piccoli Hunter e Beau, quando il presidente perse la prima moglie Neilia e la figlia di un anno in un incidente stradale. Valerie è stata in questi anni una delle figure più influenti della politica democratica – nel 2016 Barack Obama l’ha nominata sua rappresentante alla 71esima sessione dell’Assemblea Generale dell’Onu – pur senza mai ricoprire alcuna carica ufficiale. La rivista Forbes l’ha inserita tra le 50 donne sopra i 50 anni più potenti d’America. Insieme a Jill e Valerie, ci sono tre uomini che si sono guadagnati negli anni la fiducia di Biden.

Si tratta di Mike DonilonTed KaufmanRon Klain. Nessuno tra questi è un ragazzino. Kaufman è il più anziano, 85 anni. Poi c’è Donilon, 65. Quindi Klain, 62. Gravitano da sempre nella politica democratica e ci sono sempre stati nei momenti più difficili della vita politica di Joe. Kaufman, nativo di Philadelphia, ha costruito la sua carriera in Delaware, che Biden ha rappresentato da senatore. È stato proprio Kaufman il primo chief of staff di Biden al Senato. È stato Kaufman a costruire la sua prima candidatura alla presidenza, nel 1988, ed è stato Kaufman a dirgli che era meglio ritirarsi, quando venne fuori che Biden aveva copiato un articolo accademico nel suo primo anno di Law School. Kaufman era lì quando Biden venne accusato di aver interrogato con toni rudi e maschilisti Anita Hill, la donna che accusava il giudice Clarence Thomas di violenza sessuale. Kaufman era l’unico non membro della famiglia Biden presente nel salotto di casa quando Joe decise di ritentare la scommessa presidenziale nel 2008. È Kaufman, in tutti questi anni, che ha mantenuto i legami con la miriade di imprese con base in Delaware, paradiso fiscale del business Usa.

Mike Donilon è invece lo stratega del cerchio magico bideniano, quello che definisce il messaggio politico, quello che indica al presidente di cosa parlare, come parlare, quando parlare. Donilon è parte di una delle famiglie più introdotte nei gangli dell’amministrazione statale Usa: il fratello Tom è stato consigliere alla sicurezza nazionale di Obama (ma anche chair di BlackRock, la società di gestione fondi col maggior portafoglio al mondo). Non c’è politico democratico per cui Mike non abbia lavorato, da John Edwards ad Al Gore a John Kerry. Il rapporto con Biden è però speciale. È stato Donilon a decidere che, nel 2020, il messaggio della campagna presidenziale di Biden doveva essere: “Trump è una minaccia per la democrazia”. È stato Donilon a decidere come Biden doveva reagire nel 2022 alla cancellazione del diritto all’aborto da parte della Corte Suprema. Donilon sa molto bene che Biden, cattolico, non si è mai trovato a suo agio a parlare di aborto, e gli cucì quindi addosso un discorso a due valori piuttosto neutri: libertà personale e privacy. Come il presidente racconta nel suo mémoirPromise Me, Dad, fu uno sguardo di Donilon a fargli decidere di non candidarsi alla Casa Bianca nel 2016 (Biden era distrutto dopo la morte di Beau). Manco a dirlo, Donilon era a Camp David per preparare Biden al dibattito Tv.

A Camp David c’era anche Ron Klain, che insieme a Julie Chávez RodríguezJen O’Malley DillonAnita Dunn (tutte a Camp David, tutte ora impegnate nella cosa più importante, rassicurare i finanziatori) fa parte dell’ultima generazione dei confidants di Biden. Lui però occupa un posto del tutto speciale. Klain è anzitutto l’incarnazione vivente della teoria washingtoniana delle “porte girevoli”, il passaggio vertiginoso, e senza molti scrupoli, dal pubblico al privato. È stato lobbista per Fannie Mae, vicepresidente di Revolution LLT, società di venture capital, oggi è capo dei legali di Airbnb.

Nel frattempo, ha lavorato praticamente per tutti, da Bill e Hillary Clinton a Gore a Obama. Sono giri di valzer che hanno sempre lasciato perplessa Jill Biden, ma che comunque non gli hanno impedito di diventare uno degli uomini più noti e potenti del clan Biden (Kevin Spacey lo ha impersonato in un film, Recount), suo chief of staff fino al 2023, soprattutto l’uomo che ha sempre curato la preparazione dei dibattiti di Biden. Klain è anche autore di un pezzo per la rivista Third Way, in cui fissa i 21 punti per vincere un confronto Tv. Il 10° recita: “Una battuta in attacco è buona. Una battuta in contrattacco è ancora meglio”. La lezione, questa volta, non deve essere però entrata in testa a Biden che, più che ha passato buona parte del confronto con Trump in una confusa, desolante difesa.