In vista della composizione della nuova commissione europea, le chance maggiori sono quelle del ministro degli Affari Ue: anche perché altri candidati sono meno «solidi» sulle lingue straniere. Il disappunto dell’ad di Amazon dopo l’incontro con il ministro Urso, che aveva bisogno di un traduttore

Campi flegrei, il ministro Fitto: «Il Governo anticipa 1,8 miliardi per interventi puntuali»

(di Marco Galluzzo – corriere.it) – Di sicuro per l’Italia la partita è più complessa che per altri Paesi. Sia per le scelte recenti di Giorgia Meloni, sia per la penuria di candidati validi che il governo può avanzare di fronte alle offerte che Ursula von der Leyen farà nei prossimi giorni. C’è un dato che si sta rafforzando, nelle analisi e nelle dinamiche che si svolgono nell’asse fra Roma e Bruxelles, in queste ore: se si toglie Raffaele Fitto, che resta il nostro candidato di punta, sembra che a Palazzo Chigi al momento non abbiamo altri nomi di pari peso.

Un peso politico, che però deve avere anche delle precise competenze tecniche, oltre che linguistiche (parlare bene l’inglese), che non è stato individuato per altri esponenti. Nella partita che si svolgerà sino al 18 luglio, il giorno in cui von der Leyen dovrà essere riconfermata, a meno di sorprese e franchi tiratori, dal Parlamento dell’Ue, un dato appare non marginale: il governo sembra non avere una rosa di nomi alternativi a Fitto, nel caso in cui le deleghe richiedessero dei know how particolari.

Non è meno facile la partita che Meloni giocherà in vista del voto che dovrà confermare o meno il bis di Ursula. Le variabili sono tantissime, ed esiste anche la possibilità che i tedeschi del Ppe non siano così compatti, che si possano spaccare nel segreto dell’urna, cosa che moltiplicherebbe il valore di un sostegno eventuale di FdI alla conferma della politica tedesca. Potrebbe essere un’arma in più per Meloni, in sede di negoziati per la formazione della Commissione, ma anche un bel rebus, visto che in Italia un vicepremier come Salvini parla della von der Leyen come se fosse il diavolo, più o meno come Orban, mentre Tajani non può che sostenere un candidato che rappresenta la famiglia politica del Ppe. In ogni caso la premier dispone di una delegazione italiana di 24 deputati e di una europea, quella dell’Ecr, che supera ad oggi gli 80 deputati: possono essere numeri ininfluenti, ma anche strategici e da far pesare, visto che von der Leyen ha bisogno di garanzie parlamentari.

Tornando ai posti nella Commissione non è un segreto che nel governo ci sia un deficit abbastanza diffuso rispetto alla lingua inglese, che a Bruxelles è indispensabile per lavorare: lo stesso Guido Crosetto, che pure è circolato come candidato nel caso in cui le deleghe offerte a Roma fossero la Difesa e lo sviluppo di un’industria militare della Ue sembra che non sia proprio fluente nella prima lingua che viene utilizzata nei palazzi della Ue. Lui in ogni caso dice di non essere interessato, come del resto Giancarlo Giorgetti, che però da alcuni mesi sta facendo, come Fitto, una full immersion di lezioni della prima lingua parlata al mondo. Sono considerazioni che possono apparire marginali, ma che non lo sono se si sommano alle esperienze professionali pregresse e al fatto che dovranno superare un esame meticoloso di fronte al Parlamento di Strasburgo. Un aneddoto di qualche mese fa, inedito, racconta che l’ad di Amazon, in visita a Palazzo Chigi, ne uscì un’ora dopo insoddisfatto, perché Meloni aveva accanto a sé il ministro Urso, che a sua volta aveva bisogno di un traduttore, cosa che dimezzò i tempi del confronto.