Il 57% degli italiani pensa che all’estero si possano costruire una carriera e una vita migliori. In dieci anni più di un milione hanno lasciato il Paese

Generazione E: scappare in Europa è l’unico orizzonte

(Ilvo Diamanti – repubblica.it) – Viviamo tempi difficili. Soprattutto per i giovani. Perché il mondo intorno a loro – e a noi – è sempre più “critico”. Agitato da guerre e da “crisi” economiche ricorrenti. Così è difficile, per loro, pensare a progetti di vita (e lavoro) stabili oltre confine. Come in passato. Quando la “migrazione” dei giovani dall’Italia, per motivi di studio e lavoro, ha costituito un progetto ricorrente. Secondo le stime dell’Istat, infatti, gli italiani fra 20 e 34 anni emigrati verso i principali Paesi europei, dal 2011 al 2021, sarebbero circa 400 mila.

Ma la cifra, delineata da altri istituti statistici europei, è quasi tre volte superiore. Cioè, oltre un milione. E la differenza si spiega con la prudenza dei giovani espatriati nel segnalare la propria presenza all’estero, quando non si tratta di un trasferimento definitivo. Per non perdere alcuni benefici essenziali, come l’assistenza sanitaria italiana. Questi dati sono sufficienti a suggerire come le preoccupazioni sollevate da molte parti – politiche e non solo – di fronte al fenomeno migratorio siano inadeguate. Perché si riferiscono, principalmente, all’immigrazione “esterna”. Agli stranieri che provengono da altri Paesi. Mentre sottovalutano l’e-migrazione dei nostri giovani, che vanno altrove. Per motivi di studio e lavoro. E spesso non rientrano. Il problema, peraltro, è accentuato dal declino demografico che accentua il declino del nostro Paese. Il numero medio di figli per donna, infatti, in Italia è 1,2 mentre in Europa, dove pure risulta in calo, si attesta su 1,46.

È, quindi, significativo e inquietante osservare i dati del sondaggio condotto da Demos. Che rileva come quasi il 60% degli italiani (per la precisione, il 57%) intervistati sia d’accordo con l’affermazione: “per i giovani che vogliano fare carriera l’unica speranza è andare all’estero”. Si tratta di una misura in calo rispetto al decennio scorso, quando aveva superato il 70%. Ma appare comunque molto elevata. Troppo, per un Paese che invecchia. E non riesce a motivare i giovani, che continuano a (pre)vedere il proprio futuro altrove. Oltre i nostri confini.

Il grado più elevato di consenso all’idea migratoria, riferita ai nostri giovani, si osserva presso coloro che hanno più di 30 anni. Fra i quali supera il 70%. Circa tre persone su quattro, fra gli “adulti” (30-64 anni) pensano, infatti, che occorra lasciare l’Italia. Migrare altrove, per costruire un progetto professionale pro-positivo. Solo gli anziani, con 65 anni e oltre, esprimono un’idea diversa. Probabilmente, pensano a se stessi. Non tanto per motivi egoistici. Ma perché non sopportano l’idea di essere circondati da vecchi – come loro.

Anche il livello di istruzione influenza gli atteggiamenti sull’argomento. La vocazione migratoria, alla ricerca di percorsi di studio e lavoro che favoriscano le possibilità di carriera, cresce fra quanti dichiarano un livello di istruzione – e dunque un titolo di studio – più elevato. Tuttavia, non si osservano grandi differenze sulla base della professione svolta. È interessante, peraltro, osservare come la convinzione più ampia, al proposito, emerga fra gli operai e, in misura un po’ più ridotta, fra i tecnici e i lavoratori autonomi. Comunque, tra figure professionali con posizioni diverse, più e/o meno elevate, su base professionale. Appare significativo, invece, il sostegno limitato verso l’idea di spingere i giovani a studiare e fare esperienza professionale in altri Paesi, fra i liberi professionisti. E i disoccupati. Per ragioni, probabilmente, opposte. I liberi professionisti: perché pensano che il loro ambiente costituisca un luogo di formazione e di perfezionamento efficace. E utile. Senza ri-volgersi altrove. I disoccupati: perché vedono la migrazione dei giovani come una fuga da un Paese che dovrebbe affrontare la questione del “non lavoro”, anzitutto, in casa propria.

È, comunque, necessario valutare la questione del lavoro giovanile in relazione stretta con la questione europea. Perché i giovani sono una “generazione europea”. Che considera l’Europa la propria casa.

Più che una “generazione Z”, infatti, si tratta di una “generazione E”. Europea. Sulla quale investire le nostre speranze per un futuro diverso. E migliore. Perché i giovani sono “il nostro futuro”. Anzi. Sono “il futuro”. E senza di loro rischiamo di rassegnarci a “un eterno presente”. Che scivola indietro. Verso il passato.