ALLA CAMERA – Sulle tracce dell’ex ministro

(DI ILARIA PROIETTI – ilfattoquotidiano.it) – “Non lo vedo da un po’” dice Lorenzo Guerini. Mentre Virginio Merola è sicuro del fatto suo: “Settimana scorsa c’era. O forse era quella prima?”. Qualcun altro alza le mani: “Non saprei. Se non è qui, sicuramente è in missione all’estero dov’è il suo cuore”. A chiedere ai suoi colleghi del Pd su che fine abbia fatto Piero Fassino, si rischia di perdere la bussola: da che l’insegue il fantasma dello Chanel gate, il fattaccio del duty free di Fiumicino, in Transatlantico è apparso con il contagocce. E sì che, con sette legislature e molto altro alle spalle, la sua presenza è da sempre una garanzia: più di lui a Palazzo solo i busti dei suoi conterranei piemontesi Cavour e Vittorio Emanuele II che vigilano con sguardo austero sulle sorti della Patria sin dalla I legislatura. Ora però l’assenza di Fassino, che ha attraversato mille ere politiche riuscendo sempre nell’impresa di risultare irrinunciabile, fa vacillare ogni certezza: dov’è Piero?

L’ultima o forse penultima sua fugace apparizione alla Camera è stata alla riunione post Europee convocata da Elly Schlein per celebrare la vittoria o meglio lo scampato pericolo: inutile strappare una parola a Fassino che per quasi tutto il tempo si è tenuto silente le mani nei capelli. C’è chi dice di averlo avvistato anche per l’avvio in aula del ddl Autonomia ma è stata un’epifania rapidissima: ha fatto perdere subito le sue tracce, guadagnando l’uscita lungo il corridoio laterale, quello che serve quando non si vuole esser visti o non si ha tempo o voglia di dare chiacchiera tra i capannelli del Transatlantico. Come sta Piero? Isolato, in imbarazzo, affranto? Forse. Tra i suoi colleghi si rincorrono mille voci ma nulla di più: per il Pd non c’è un caso Fassino. “Per come conosco Piero, persona di riconosciuta statura, si può essere trattato solo di un fraintendimento” dice il tesoriere del gruppo dem a Montecitorio Andrea De Maria negando imbarazzi di sorta sulla “distrazione” al duty free. Ma la storia del profumo “appoggiato” in tasca da Fassino ha pure esposto il Pd oltre ad avere avuto un effetto micidiale per l’immagine dell’interessato. Ma guai a dire che Piero è un Soumahoro qualunque, passato da rockstar a reietto in un amen. Parentesi sugli stivali un tempo celebrati del deputato: a trascorrere intere giornate in Transatlantico non c’è verso che gli si avvicini un’anima pia nemmeno per sbaglio e ogni volta che prende la parola in aula fioccano fischi e commenti ben pochi amichevoli, un mormorio al limite del bullismo parlamentare. “Diciamo che Piero fa bene a farsi vedere poco” dice allora un altro dem che a taccuini chiusi ragiona in libertà. “Se pure fosse che ha rubato un profumo – mettiamo pure più di una volta – si tratterebbe di una patologia, comunque non un reato legato al ruolo. Certo, ci interroghiamo sulle sue condizioni… Dopo di che, come si fa a dire qualcosa? E soprattutto cosa?”. Nel dubbio meglio niente: c’è che nessuno ha osato chiedergli il passo indietro ma nemmeno le parole per difenderlo. Zitto tu e zitto io: ’adda passa ’a nuttata.

Epperò c’è pure chi si interroga. “Fassino ha dimostrato una certa sensibilità tenendosi il più possibile alla larga dalla Camera. E del resto è anche giustificato a non venire visto che è nella delegazione all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. Ma quanto può durare?” Due settimane fa è stato in missione in Israele per volare poi nei giorni successivi a Strasburgo. Per dire la verità, in quei lidi è stato il Fassino di sempre: sul pezzo che si tratti di Armenia, Macedonia o Palestina. Peccato si ostini a tenere aperti i profili social dove i commenti sul profumo lo riportano sempre a Fiumicino. Il Pd perdona, la piazza no.