La mala gestione dell’inchiesta giornalistica di Fanpage che ha mostrato numerose manifestazioni di fascismo e razzismo all’interno del movimento giovanile del partito di Giorgia Meloni

(LUCIANO CAPONE – ilfoglio.it) – In Fratelli d’Italia potevano scegliere tra il disonore e la richiesta di dimissioni: hanno scelto il disonore e hanno ottenuto le dimissioni. La gestione dell’inchiesta giornalistica di Fanpage, che ha mostrato numerose manifestazioni di fascismo e razzismo all’interno del movimento giovanile del partito di Giorgia Meloni, può essere sintetizzata con la celebre frase di Winston Churchill sulla guerra. Perché, nonostante la linea difensiva di negazione dell’evidenza tracciata dal partito, alla fine si sono dimesse due dirigenti di Gioventù nazionale (Gn): Flaminia Pace, presidente di un circolo, ed Elisa Segnini Bocchia, caposegreteria dell’on. Ylenja Lucaselli.

La seconda puntata dell’inchiesta “Gioventù meloniana” è stata determinante, sebbene non abbia aggiunto molto di più grave a quanto già era emerso. I dirigenti di FdI avevano reagito alle prime immagini, raccolte da una giornalista infiltrata in Gn, in maniera infantile oppure mettendo la testa sotto la sabbia. Alle immagini che mostravano alcuni giovani militanti inneggiare al Duce, evocare il terrorismo nero e fare il saluto nazista “Sieg Heil!”, FdI ha risposto attaccando i metodi dell’inchiesta, discettando sulla deontologia dell’infiltrazione, mettendo in dubbio il montaggio del servizio… fino a ipotizzare, come ha fatto il senatore Maurizio Gasparri di FI (ma proveniente dal Msi-An), che le immagini potessero riferirsi a “tifosi della Casertana” invece che a militanti di FdI.

La negazione è stata anche la linea del governo che, con il ministro Luca Ciriani, ha difeso in Parlamento i giovani del partito accusando l’inchiesta giornalistica di “strumentalizzazione” per aver usato immagini “frammentate decontestualizzate e riprese in un ambito privato”. Una linea difensiva troppo penosa per poter reggere alla seconda puntata. In questo senso, una posizione doppiamente stupida, perché debole rispetto a immagini eloquenti e perché era del tutto prevedibile che ci sarebbe stato un sequel, dato che la giornalista aveva lavorato sotto copertura per diversi mesi.

Non manca quindi solo l’antifascismo in FdI, ma anche un po’ di intelligenza nella gestione di crisi politiche e mediatiche che ormai si ripetono simili da tempo. C’è stato prima il caso di Marcello De Angelis, ex deputato del Pdl, portavoce del presidente della regione Lazio Francesco Rocca, costretto alle dimissioni dopo uno stillicidio mediatico prima per le dichiarazioni con cui negava la matrice neofascista della strage di Bologna, poi con il riemergere della sua nota storia personale di militante di Terza posizione e di rocker autore di canzoni antisemite (da cui aveva da tempo preso le distanze). Il partito ha alzato un muro, che però è crollato dopo poche settimane. Eppure De Angelis avrebbe potuto essere difeso, non fosse altro perché segnato dalla morte in carcere poco chiara del fratello Nanni ingiustamente accusato di aver partecipato alla strage di Bologna. Poi è stata la volta di Paolo Signorelli, portavoce del ministro Francesco Lollobrigida, costretto alle dimissioni dopo la pubblicazione delle chat private con il capo ultrà e narcotrafficante “Diabolik” (morto ammazzato in un parco a Roma) in cui si lasciava andare a frasi antisemite ed elogi al Duce. L’imbarazzo è stato sciolto dalla decisione di Signorelli di farsi da parte. E così si arriva all’inchiesta di Fanpage, gestita in maniera a dir poco dilettantesca. I dirigenti di FdI sono stati in silenzio per giorni. Incapaci di articolare un pensiero autonomo

. Tutti in attesa di sapere da “Giorgia”, in quei giorni impegnata nel G7, cosa pensare: se difendere i giovani militanti violati nei loro momenti di privata goliardia, oppure se condannare con fermezza i rigurgiti neofascisti e bonificare il movimento giovanile. Inizialmente ha prevalso la prima strategia, ma poi è arrivata la svolta. Subìta più che decisa, come in tutti i casi. Il fattore determinante sono state le parole della dirigente di Gn Flaminia Pace, divertita dal fatto che, mentre lei discuteva con i camerati di “svastiche”, aveva scritto “il comunicato in solidarietà a Ester Mieli”.

Ester Mieli è una senatrice di FdI, ex portavoce della comunità ebraica di Roma, nipote di un deportato ad Auschwitz. E il comunicato della Pace era un attacco a Giorgio Zanchini, conduttore di “Radio anch’io”, travolto da pretestuose accuse di “antisemitismo” per aver chiesto a Mieli in un’intervista su Israele, in maniera innocente e al solo scopo di inquadrare il punto di vista dell’interlocutrice, se fosse ebrea. Il fatto che a trattare da SS un equilibrato e colto giornalista sia chi inneggia al Duce e fa veri commenti antisemiti, rende l’idea della spaventosa doppiezza che c’è a destra su questi temi. Quando il 13 giugno Fanpage ha scoperchiato questa fogna, nessuno in FdI ha preso posizione, preteso il pugno duro, neppure chi aveva l’autorevolezza morale e politica per farlo come Mieli, che ha diffuso un comunicato dopo due settimane e solo quando è stata vittima di commenti antisemiti. Così funziona una struttura verticistica, dove sotto “Giorgia” c’è il nulla, o meglio: Giovanni Donzelli. Il responsabile dell’organizzazione di FdI è l’emblema dello sbando culturale e politico del partito: prima ha attaccato Fanpage, dopo il caso Mieli ha detto che non c’è “nessuno spazio in FdI per razzisti, estremisti e antisemiti”, infine ha accusato la giornalista infiltrata di aver “tradito” la fiducia e la presunta amicizia di quegli stessi razzisti, estremisti e antisemiti. Due colpi ai giornalisti e uno ai fascisti.

E’ chiaro che la distanza della destra dal neofascismo è un problema che Meloni deve affrontare e risolvere personalmente, tracciando un solco chiaro. Non basta dire che tutto è stato già fatto a Fiuggi. Cosa succederà al prossimo caso? La linea finora adottata: “Non ci facciamo dire cosa fare dalla sinistra o dai giornali” si è dimostrata del tutto inefficace: da un anno è proprio il tiro al piccione neofascista dei giornali e della sinistra che sta facendo cadere gli esponenti di FdI, senza grosse possibilità di distinzioni. Meloni deve scegliere tra il disonore e il fare pulizia, sapendo che se sceglie il disonore saranno gli avversari a dettare tempi e modi della pulizia.