L’accordo è stato chiuso con il Dipartimento di Giustizia e permetterà al fondatore di Wikileaks di evitare la prigione negli Stati Uniti. Per Joe Biden un problema in meno a pochi mesi dal voto: l’attivista aveva sostenitori anche in una parte della base progressista americana

Assange patteggia con gli Usa, è libero e ha lasciato il Regno Unito. Tornerà in Australia

(di Massimo Basile – repubblica.it) – New York – Alla fine Julian Assange ne uscirà da uomo libero e come un eroe, almeno per i suoi sostenitori. Dopo una battaglia legale durata anni per contrastare la richiesta di estradizione degli Stati Uniti, il fondatore di WikiLeaks, il nome che ha segnato uno dei più grossi scandali del nuovo millennio, ha raggiunto un accordo con il dipartimento di Giustizia americano: Assange, 52 anni, editore, giornalista, programmatore e attivista, ha patteggiato con gli Stati Uniti.

Ammetterà le sue responsabilità in cambio della libertà. Riconoscerà di aver compiuto un reato in relazione alla divulgazione di segreti militari e diplomatici che avevano messo a rischio la vita di molte persone, e ottenuto di potersene tornare in Australia, la terra dove è nato. L’annuncio è arrivato a sorpresa in serata. Per Joe Biden un problema in meno a pochi mesi dal voto: l’attivista era considerato un paladino della libertà di informazione e aveva sostenitori anche in una parte della base progressista americana. L’ombra della carcerazione poteva rappresentare un peso sull’immagine dell’amministrazione Democratica.

L’accordo
L’accordo verrà approvato da un giudice federale di uno dei posti più remoti dell’amministrazione giudiziaria statunitense: la corte di Saipan, capitale delle Isole Marianne Settentrionali, in mezzo al Pacifico, sopra la Papua Nuova Guinea, in un’area molto più vicina all’Australia che agli Usa. Assange si presenterà davanti al giudice mercoledì mattina alle 9. Poi volerà verso casa.

Le accuse

E’ la fine di una saga che ha reso questo programmatore una celebrità mondiale. Negli anni Assange è stato accusato anche di reati sessuali, abusi e spionaggio, ma alla fine non è mai affondato, e non è impazzito dopo aver passato anni prima come recluso straordinario all’interno di un’ambasciata, poi in un carcere di massima sicurezza a Londra da dove ha portato avanti la sua battaglia legale in nome della libertà d’informazione. Per molti è stato il paladino della libertà d’informazione, per altri un furbo che alla fine si è venduto al Cremlino. La vicinanza con la Russia di Vladimir Putin ha avuto il peso su tutta la storia.

Chi è Assange

Prima che scoppiasse lo scandalo Wikileaks, di Assange il mondo sapeva niente. Nato il 3 luglio del ’71 a Queensland, in Australia, figlio di un’artista visuale, Christine Anne Hawkins, e di John Shipton, pacifista che aveva sfilato per strada contro la guerra in Vietnam. La coppia si era separata poco prima che nascesse Julian. Da adolescente Assange ha cominciato ad armeggiare con il Commodore 64 e ad imparare codici e algoritmi. Poi è diventato un hacker. Nel ’96 si era dichiarato colpevole di ventiquattro tentativi legati all’hackeraggio di un tribunale australiano, ma allora il giudice stabilì che Assange si muoveva mosso da una “spiccata curiosità intellettuale”, più che per fini poco leciti. Dieci anni dopo, nel 2006, Assange aveva compiuto il passaggio che gli ha dato la svolta: aveva co-fondato Wikileaks, una piattaforma con l’obiettivo di rivelare al mondo i segreti delle grandi potenze.

Le rivelazioni

Nel 2010 i primi documenti resi pubblici furono quelli legati alle guerra in Iraq e in Afghanistan. Uno degli scoop mostrava le immagini di un’operazione militare americana, avvenuta nel 2007, in cui si vedeva un elicottero militare uccidere una dozzina di persone, tra cui due dipendenti dell’agenzia di stampa della Reuters. Quello stesso anno era stato arrestato Chelsea Manning, ex soldato che aveva passato a Wikileaks centinaia di migliaia di file. Manning verrà condannato da una corte marziale a 35 anni di carcere, e poi graziato dal presidente Barack Obama nel 2017. Sempre nel 2010, a novembre, le autorità svedesi avevano emesso un ordine di arresto internazionale nei confronti di Assange, in relazione a presunte violenze sessuali denunciate da due donne. Le accusatrici avevano parlato di relazioni consensuali finite poi male. L’attivista si era difeso, sostenendo che le accuse fossero, in realtà, un pretesto per permettere agli Stati Uniti di ottenerne l’estradizione e processarlo per la rivelazione di segreti. Da quel momento è cominciata una lunga battaglia legale, arrivata anche alla Corte Suprema britannica. Per sfuggire all’arresto, Assange si era rifugiato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra. Gli era stato accordato l’asilo, ma era una gabbia diplomatica: gli sarebbe bastato uscire un attimo dall’edificio per essere arrestato. Lì Assange è rimasto per anni, creando anche disagi pratici all’ambasciata. Gli ecuadoriani lo hanno accusato di essere andato in giro con lo skate e aver giocato a pallone all’interno dell’edificio. Aveva anche preso un gatto, ma l’ambasciata gli aveva revocato il diritto a tenersi l’animale, accusandolo di non essersene preso troppo cura.

Le elezioni Usa

Nel 2016 le rivelazioni di WikiLeaks hanno travolto le elezioni presidenziali americane: vennero rivelate migliaia di email rubate dai computer della commissione elettorale Democratica e di quello del capo della campagna di Hillary Clinton, John Podesta. Seppure le email non rivelarono nessuno scandalo, danneggiarono la candidata Democratica a favore di Donald Trump, che in un comizio dichiarò ”amo WikiLeaks”. Ne aveva motivo. Pochi mesi dopo venne eletto. “Si parlò di interferenza russa. Lo stesso Cremlino si era dichiarato pronto ad accogliere Assange. Nel 2019 la Svezia fece cadere le accuse, poco dopo l’Ecuador aveva ritirato lo status di asilo all’attivista, subito dopo arrestato dalla polizia inglese “per conto degli Stati Uniti”.

La battaglia

Da quel momento è cominciata una battaglia legale. Nel 2021 una corte britannica aveva deciso che Assange aveva diritto a non essere estradato, ma gli Stati Uniti avevano fatto appello. A maggio di quest’anno un’altra corte aveva stabilito che l’attivista ed editore poteva fare ricorso contro l’ordine di estradizione. Il resto è cronaca di questi giorni. Le trattative tra l’australiano e il dipartimento americano sono andate avanti sottotraccia. I procuratori hanno accettato di chiedere una condanna simbolica di 62 mesi, cioè il periodo passato in carcere a Londra da Assange, per cui la sentenza verrà considerata esaurita. Se il fondatore di WikeLeaks fosse stato ritenuto colpevole di tutti e 18 i capi di accusa che gli erano stati contestati dagli Stati Uniti, avrebbe rischiato una condanna fino a 175 anni di carcere. Invece, il grande rischio evapora. Assange potrà tornare in Australia e non dovrà neanche fare un viaggio così lungo.