70mila euro per “blindare” Sissi, chissene degli immigrati. Nella piazza davanti alla stazione vandali distruggono bagni chimici usati dai migranti. Invece di ripararli, sigillano per evitare che si possano fare i bisogni lì dietro

(DI TOMASO MONTANARI – ilfattoquotidiano.it) – Non fa una piega: chi ha il cuore di pietra ama più le statue che le persone in carne ed ossa. Così, a Trieste si è deciso di transennare la statua di Sissi che nel 1997 si pensò bene di rimettere nella piazza prospiciente alla Stazione ferroviaria (si sentiva proprio la mancanza dei graziosi sovrani dell’antico regime…). L’assessore comunale alla pianificazione territoriale (Forza Italia) ha deciso di investire 70.000 euro per difendere il monumento all’austriaca sovrana non dagli irredentisti, ma da poveri migranti che, non avendo altra scelta, potrebbero tornare a fare i loro bisogni alle sue spalle. Era accaduto in passato, e dopo un confronto con le associazioni che si prendono cura dei migranti, si era deciso di porre in piazza alcuni bagni chimici. Ma oggi, di fronte a ripetuti danneggiamenti, si è deciso di darla vinta ai vandali razzisti, rimuovendoli (i cessi, non i vandali). Così, ecco la geniale soluzione: non altri bagni, altri servizi, altra cura per le persone vive, ma una recinzione a protezione delle morte statue.

È un simbolo potente di questo nostro Paese: che non è buono, come ha detto la vedova di Satnam Singh, bracciante a cui abbiamo prima preso il braccio, poi la vita. “Poveri cristi, seehhh”, aveva sibilato la cristiana Giorgia.

Trieste è il punto di arrivo della rotta balcanica: per i pochi che arrivano, certo. E la piazza della Stazione è il non-luogo in cui fingiamo di non vederli. “Dietro la stazione ferroviaria, nascosti tra le sterpaglie che divorano dei vecchi e stupendi magazzini dai muri in pietra si alzano dei piccoli fuochi, intorno ai quali sono seduti due ragazzi … Sono afgani e sono quelli che ce l’hanno fatta, i salvati. …Non hanno uno zaino, una busta, una valigia: niente. Non parlano una parola di italiano e con l’inglese arrancano; mi guardano, mi fissano sospettosi e spaventati mentre entro nel magazzino abbandonato. Le reti sono state piazzate mesi fa, per impedire ai migranti di venire a nascondersi in questo squallido degrado. Hanno diciotto anni, ne dimostrano quattordici, uno ha appena un po’ di peluria sopra il labbro superiore. Non ci scambiamo che qualche parola mentre loro, una volta che gli giungo vicino, si alzano in piedi, non so se pronti alla fuga o in segno di rispetto verso un maschio bianco ricco, categoria questa che chi ha fatto la rotta ha imparato a temere”. Il racconto di Maurizio Pagliassotti (in La guerra invisibile. Un viaggio sul fronte dell’odio contro i migranti, Einaudi 2023) è capace di misurare la distanza tra noi e questi invisibili, questi poveri Cristi di carne dai quali la Sissi di pietra va difesa con le cancellate. E ora, per ospitare la Settimana Sociale dei Cattolici con papa Francesco e Mattarella, si è sgomberato il Silos, e cioè il luogo in cui, seppur in condizioni drammatiche, i migranti trovavano rifugio: e lo si è fatto non per dar loro alternative migliori, ma per non far vedere a quei potenti cristianissimi la sofferenza di questi poveri Cristi. E, titola pronto un giornale: “Normalità ripristinata al Silos di Trieste: un immobile con 44 arcate in pietra e 290 metri di lunghezza attende delle complesse pulizie per essere messo sul mercato: le trattative sono avviate e c’è già una disponibilità preliminare”. L’atroce normalità del mercato e della morte. Una piccola parte di Trieste reagisce, da tempo e nel modo più profondo ed umano. L’associazione “Linea d’ombra”, raccolta intorno alle figure straordinarie di Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi, riesce a mostrare ai migranti sopravvissuti alla rotta che anche qua esistono degli umani: che un incontro tra persone è ancora, nonostante tutto, possibile. La politica dei cancelli, quella delle persone: è qua, e non è nei confronti televisivi tra leader, che passa la faglia tra chi vuole il mondo com’è, e chi lo vorrebbe umano.

Di recente, Franchi ha connesso con la sua consueta, pacata, lucidità la violenza inaudita di Gaza e quella contro i migranti: “Noi cerchiamo di rompere l’indifferenza che è nelle società europee, che si rendono complici dei massacri che avvengono ogni giorno: quello che è avvenuto nel Mediterraneo, che sta avvenendo continuamente, le decine e migliaia di morti, sono la stessa cosa che sta avvenendo a Gaza cioè questa violenza senza nome che si chiama civiltà del mercato che si chiama capitalismo, che appare in tutte le manifestazioni, nei femminicidi e nelle morti sul lavoro che in Italia sono altissime: per cui il nostro venire tutti i giorni qui nella piazza ad accogliere i migranti in transito ed aiutarli a manifestare il loro diritto di andare dove vogliono è una piccola parte di questa lotta, di questa lotta contro la violenza che sta impossessandosi del mondo in maniere che ricordano l’ultima guerra, che ricordano il nazismo”. C’è tutta questa enormità in una banale vicenda di provincia di monumenti, cancelli e piscio. C’è tutta la politica che non troviamo altrove. C’è tutto intero il senso della nostra esistenza, a saperlo vedere.