ALL’ITALIANA – Le schede “ballerine”, i defunti ai seggi, i favori e i classici 50 euro per elettore: l’antica abitudine della corruzione elettorale non passa mai di moda

(DI VINCENZO BISBIGLIA, SAUL CAIA, MARCO GRASSO, VINCENZO IURILLO E LUCIO MUSOLINO – ilfattoquotidiano.it) – Qualcuno è riuscito a far votare perfino i morti pur di truccare le elezioni. Altri invece hanno offerto licenze commerciali, servizi di bodyguard e attacchinaggi abusivi pur di racimolare voti e battere la concorrenza. I più fantasiosi si sono inventati la tecnica della “scheda ballerina”. Anche se la “banconota”, grande classico anche più del pacco di pasta di lauriana memoria, quella non passa mai di moda. L’impressione, a sfogliare le cronache più recenti e a consultare le inchieste e i processi in essere, è che ancora oggi, nel 2024, l’Italia sia un paese di “scambisti elettorali”. E per quanto coperto da un velo di indignazione pubblica, il rapporto simbiotico con la politica resta intatto: “Tu dai una mano a me, io do una mano a te”, il motto mai sopito. In qualsiasi direzione la si voglia guardare. Ecco alcuni dei casi più noti e recenti di inchieste sul voto di scambio.

Piemonte Il ras del Pd e la licenza del tabaccaio
A Torino, i favori spaziavano dalla pratica per aprire un tabacchino a quella per spostare una fermata del bus o dei cassonetti, da una raccomandazione per un posto di lavoro o un trasferimento nella sanità a una coda saltata per un’operazione chirurgica. A quasi 84 anni Salvatore Gallo, detto Sasà, era ancora attivissimo, sia nel compilare uffici pubblici che nel raccogliere voti. Ex socialista, oggi uno dei signori delle tessere del Pd piemontese, è finito in un’inchiesta della Procura di Torino, che lo ha indagato per promesse elettorali. Nella stessa indagine sono coinvolti anche clan della ’ndrangheta che avevano infiltrato i lavori dell’A32 Torino-Bardonecchia, serbatoio elettorale di Gallo, che agli amici riservava tessere autostradali gratis.

Liguria I riesini in trasferta e i posti di lavoro
A Genova invece i metodi scoperchiati dall’inchiesta che ha portato all’arresto di Toti riguardavano lo scambio fra posti di lavoro e voti. Ma tra i passaggi più curiosi c’è una strana triangolazione. I procacciatori di voti, Arturo e Italo Testa, esponenti della comunità riesina, vengono ospitati durante la campagna elettorale da una società sportiva, Pontedecimo, che li ospita in hotel facendoli passare per ex ciclisti (nonostante un fisico piuttosto massiccio). A saldare il conto alla fine è Stefano Anzalone, consigliere regionale indagato per averne preso i voti, allora assessore allo Sport. Dettaglio agli atti dell’inchiesta: la società sportiva prendeva per organizzare quella manifestazione sportiva, il Giro dell’appennino, un lauto contributo erogato dalla Regione Liguria, guidata da Toti. Sempre in Liguria è ancora aperta un’altra vicenda, quella che ha portato alla condanna in primo grado dell’ex consigliere del Pdl Alessio Saso. Secondo l’accusa, promessa elettorale aggravata dal metodo mafioso, si sarebbe messo a disposizione di esponenti vicini al boss della ’ndrangheta Mimmo Gangemi.

Lazio La gara dei manifesti tra i clan degli “zingari”
Nel sud del Lazio, e in particolare in provincia di Latina, il business elettorale per anni è stato gestito con le affissioni dei manifesti elettorali. Un’attività che sembra essere molto cara al clan “zingaro” dei Di Silvio, imparentati con i più noti “romani” Spada e Casamonica. Per una decina d’anni, le inchieste “Arpalo”, “Reset” e “Scheggia” hanno rischiato di terremotare la politica nazionale. Lo schema era sempre lo stesso: in occasione delle elezioni amministrative e nazionali, i partiti locali – citati via via Fratelli d’Italia, Lega e Cambiamo – si rivolgevano alla manovalanza dei clan per le affissioni abusive e per servizi di bodyguard e trattavano i pacchetti di voti. Ad esempio, l’ex consigliera regionale Gina Cetrone – che faceva riferimento a Cambiamo di Toti – e suo marito Umberto Pagliaroli nel 2022 sono stati condannati a 6 anni e mezzo: erano imputati insieme al boss Armando Di Silvio e al figlio Gianluca Di Silvio. “Si è comprata (Cetrone, ndr) voti da tutti: ha speso 300 mila euro per la sua campagna elettorale” disse il pentito Agostino Riccardo. Riccardo è il pentito che nel 2021 fece anche il nome dell’attuale premier, Giorgia Meloni, sostenendo che durante la campagna elettorale del 2013 consegnò 35 mila euro in contanti al clan Travali per attaccare i manifesti del partito e di Pasquale Maietta, poi divenuto capogruppo alla Camera nel neonato FdI. Una vicenda sempre smentita con forza da Meloni e mai riscontrata dai pm. “Abbiamo fatto anche la campagna di Noi con Salvini che ci pagava… Perché se avessero vinto le elezioni l’appalto sui rifiuti sarebbe andato tutto alla sua impresa”, diceva invece Renato Pugliese, l’altro pentito chiave dei Di Silvio, nell’indagine dove finì indagato (e poi archiviato) l’europarlamentare Mario Adinolfi ed è tuttora imputato Emanuele Forzan (che respinge le accuse), assunto nel gruppo di Forza Italia in Regione Lazio.

Calabria Così hanno fatto votare anche i morti
“Ma a te ti ha dato una sola scheda?”. “Tre”. “Tre?” “Eh… e che nomi hai scritto?”. “Sera”. “Tutti e tre? “Più la femmina”. “E la femmina chi è?”. “Non mi ricordo come si chiamava…”. A parlare sono due scrutatori della sezione 88, coinvolti nell’inchiesta “Ducale” della Dda di Reggio Calabria. Poche righe di intercettazione sono sufficienti per spiegare come funzionava il voto a Sambatello, frazione nord della città dello Stretto, regno incontrastato della cosca Araniti che alle elezioni amministrative del 2020, secondo i pm, ha sostenuto il consigliere comunale Giuseppe Sera (Pd).
Erano “modalità più sofisticate e sicure” rispetto a quelle emerse nella operazione ‘Democrazia Sovrana’ spiega lo stesso giudice che, nell’ambito di quel processo, ha rinviato a giudizio il consigliere comunale Nino Castorina, l’ex capogruppo del Pd che alle stesse elezioni amministrative del 2020 sarebbe riuscito a far votare anche i morti oltre agli anziani ultranovantenni dei quali risulta il voto senza che gli stessi siano mai andati al seggio.
In quell’occasione i brogli sarebbero stati messi in atto grazie ai duplicati delle tessere elettorali ritirati negli uffici comunali dal consigliere Castorina e dal suo entourage, gli altri indagati ai quali l’ex esponente del Pd avrebbe dato “personalmente direttive in ordine al modus operandi da porre in essere per la materiale contraffazione dei registri e delle schede”.

Campania Il trucco della scheda ballerina
La tecnica della “scheda ballerina” fu resa celebre da un’indagine su camorra e voto di scambio a Casal di Principe, che coinvolse nei primi anni 10 l’allora potente parlamentare di Forza Italia, Nicola Cosentino. Collegando la vicenda del progetto del centro commerciale “Il principe”, con quella del controllo del clan dei Casalesi sul voto alle amministrative di Casal di Principe. Funzionava così: attraverso un verbale di seggio attestante falsamente l’arrivo di qualche scheda elettorale in meno di quelle inviate dalla Prefettura, due o tre schede intonse venivano fatte arrivare in piazza ai “controllori” del voto. Questi la compilavano col nome del candidato da sostenere, e poi la consegnavano all’elettore controllato, e retribuito con i 50 euro di rito. A sua volta l’elettore, recatosi al seggio, dopo aver nascosto la scheda già votata in tasca, riceveva la scheda bianca dal presidente di seggio, entrava in cabina, nascondeva in tasca la scheda bianca, ne usciva e poi riponeva nell’urna la scheda già votata dal “controllore”. Al quale dopo, all’uscita, consegnava la scheda bianca ricevuta, e ricompilabile. E così via, in teoria all’infinito.

Sicilia “Se ti do il voto tu quanto mi dai?”
Posti di lavoro, soldi, buoni pasto, buste della spesa sono tra le richieste più disparate per il voto in Sicilia. Ismaele La Vardera, oggi vice presidente della commissione antimafia siciliana, ha raccontato nel suo videodocumentario “Il sindaco, Italian politics for dummies”, girato a Palermo durante le comunali 2017, dove si era candidato, che il pregiudicato “Antonino Abbate gli aveva proposto un pacchetto di 300 voti del quartiere la Kalsa a 30 euro l’uno”. Ma ci sono anche proposte più creative. Come quella di Girolamo Brancato, già condannato per mafia, che mettendosi a disposizione dell’allora candidato dem alle Regionali 2017, Luca Sammartino, oggi alla Lega, in cambio dei voti faceva una richiesta non usuale: “Mi devi far togliere questa cabina… questa cabina telefonica”. Una cabina posizionata davanti la sua pizzeria, che non poteva sopportare. “Non ti preoccupare, è fatta; come se già fosse fatto!”, sarebbero state le parole di Sammartino.