L’indagine della Fondazione Nazionale Commercialisti: oltre il 10% è o è stato in crisi. Al Sud e nei centri piccoli va peggio. Stretto collegamento tra la bassa capacità di riscuotere tributi di alcune Regioni e gli stati di crisi

(di Rosaria Amato – repubblica.it) – ROMA – Da quando in Italia è entrata in vigore la legge sul dissesto finanziario dei Comuni, gli enti che sono entrati in una situazione di crisi sono 761, mentre dal 2012 sono state introdotte 556 procedure di riequilibrio finanziario. Si può dire che nel complesso ben oltre un Comune italiano su dieci è stato, o è ancora, in crisi. Crisi dalle quali spesso è difficile risollevarsi, non sempre nei cinque anni previsti dalla legge, visto che ci sono enti che non riescono a far quadrare i conti neanche a dieci anni dall’apertura della procedura.

A lanciare l’allarme la Fondazione nazionale dei Commercialisti, che nello studio diffuso ieri attesta anche come siano attualmente 470 i Comuni in crisi, di cui 257 in predissesto e 213 in dissesto, concentrati prevalentemente al Sud, e tra i borghi piccoli, con meno di 5.000 abitanti.

L’evasione porta i Comuni alla crisi

Dalla ricerca emerge l’esistenza di uno stretto legame tra dissesto finanziario e incapacità di riscossione dei Comuni. Tre delle Regioni meridionali che presentano le situazioni peggiori di bancarotta comunale sono anche quelle che più faticano a riscuotere i tributi. La capacità di riscossione della Sicilia si ferma al 44% nel 2022, e la Regione ha il record del tasso di dissesto, il 28%. La Calabria ha un tasso di riscossione del 34% e di dissesto del 27%; la Campania rispettivamente del 38% e 23%. Vale a dire, se i Comuni del Sud riuscissero a far pagare tutte le tasse ai loro cittadini, forse non finirebbero in crisi.

Circa l’84% dei dissesti, 633, si concentrano nell’area geografica “Sud” con 515 dissesti pari al 68% e concentrati nelle regioni Campania (188), Calabria (209) e in Sicilia (120 dissesti pari al 16%).

Nei Comuni attualmente in dissesto o predissesto vivono circa 2,7 milioni di abitanti (pari a quasi il 5% della popolazione italiana); tra questi, quattro dissesti sono attivi da quasi 10 anni. Tra i 761 enti dissestati nei 24 anni che vanno dal 1989 al 2023 ci sono capoluoghi di Provincia. Vi sono casi di enti (70) che hanno dichiarato il doppio dissesto.

Le proposte dei commercialisti

«Il quadro delineato da questa ricerca – afferma il presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti, Elbano de Nuccio – mostra l’importanza strategica di individuare procedure operative in grado di garantire la continuità dell’attività dell’organizzazione o dell’ente. Urgenza che, nel caso dei Comuni, è accresciuta dal fatto che il dissesto, oltre a ostacolare la ordinata estinzione dei debiti e, dunque, la salute economica dei fornitori a vario titolo, interrompe il funzionamento democratico dell’ente locale e la continuità degli organi eletti».

«È ormai nota – aggiunge – l’inadeguatezza a farvi fronte da parte delle regole attuali del predissesto: i vari interventi normativi che sono stati introdotti in maniera disomogenea negli ultimi anni hanno creato ancor più confusione in una materia che richiede un intervento armonico e strutturale necessario a porre rimedio ad un funzionamento imperfetto di tutta la catena di regole che dovrebbero prevenire il manifestarsi del default».

In vista della riforma su cui sta lavorando il Parlamento, i commercialisti propongono una revisione dei parametri che servono a individuare le situazioni di squilibrio, e l’introduzione di un “rating della salute finanziaria”, oltre a un rafforzamento dei controlli nei Comuni con meno di 15.000 abitanti.