PROSSIMI ORIZZONTI – Non sono questioni di propaganda, ma una rottura rifondativa che cambierebbe radicalmente l’impianto della democrazia parlamentare, azzerando in primis le Camere e il Colle
(DI PIER LUIGI BERSANI – ilfattoquotidiano.it) – Sin dalla definizione del programma per le elezioni del 2022, i partiti della coalizione di centrodestra a sostegno del governo Meloni, in particolare Fratelli d’Italia e la Lega, hanno puntato a realizzare modifiche sostanziali alla nostra impalcatura costituzionale, quindi al funzionamento e alla qualità della nostra democrazia.
Da un lato, il cosiddetto “presidenzialismo”, declinato poi in “premierato” attraverso modifiche apparentemente circoscritte alla nostra Carta fondamentale, ma di impatto profondo e radicale sui suoi complessi equilibri. Dall’altro lato, l’interpretazione estrema, dirompente, dell’autonomia differenziata attraverso l’approvazione di leggi ordinarie. Qui si procede, in primo luogo, con l’approvazione del “disegno di legge Calderoli”, una sorta di cornice, di legge-quadro, ma limitata in realtà a fissare soltanto procedure e sequenze, senza alcun principio guida per delimitare le materie trasferibili. Si arriva all’approvazione di tale decisivo testo con passaggi sostanzialmente blindati al Senato e alla Camera, nell’indifferenza dei gruppi politici della maggioranza (…). Poi, approvata la “legge Calderoli”, arrivano le leggi di approvazione delle “Intese”, scritte, in un rapporto bilaterale al chiuso dei palazzi, dal presidente del Consiglio e dal presidente della Regione richiedente “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”. Insomma, con il Parlamento confinato a “ratificare”, si attribuiscono competenze legislative esclusive alle Regioni, fino a 23 materie, con il corredo di risorse crescenti tratte dal gettito fiscale erariale.
Sarebbe sbagliato sottovalutare le iniziative in corso su entrambi gli ambiti, forma di governo e forma di Stato, quasi fossero una bandiera di propaganda destinata a fermarsi sugli scogli della realtà. Si tratta, invece, dell’intenzione vera, sancita da un patto politico, di creare una cesura nella vicenda dell’Italia repubblicana. Una rottura rifondativa. Infatti, cambierebbe radicalmente l’impianto della Repubblica parlamentare, fino a stravolgerlo. Si marginalizzerebbe la funzione del Parlamento e delle istituzioni di garanzia, in primis quella del presidente della Repubblica. A cascata, verrebbe anche compromessa la praticabilità degli obiettivi programmatici essenziali: la liberazione effettiva della persona dagli ostacoli che ne compromettono la realizzazione piena; la dignità del lavoro; la giustizia sociale. Insomma, la posta in gioco è altissima. Il lavoro di Stefano Fassina ci aiuta a prenderne consapevolezza.
Prima di venire alle conseguenze dell’autonomia differenziata, è utile ricordare, almeno a grandi linee, il contesto nel quale si arrivò alle modifiche del Titolo V della Costituzione. È un fatto che nel 2001 ci fosse anche nel centrosinistra una confusa suggestione federalista e il tentativo di assorbire le pulsioni dissociative espresse dalla “Lega Nord per l’indipendenza della Padania”. Tuttavia, ricondurre tutto a questa origine e a un’operazione strumentale non è corretto. Una discussione più precisa e matura potrebbe consentire di cogliere meglio le intenzioni del legislatore costituzionale e riconoscere il senso politico ed economico di differenziare le competenze legislative regionali su alcune materie in ragione delle condizioni specifiche, oggettive e riconoscibili di ciascun territorio. Per capirci, aveva e continua ad avere senso una normativa finalizzata a disegnare e attribuire potestà ulteriori e connesse risorse statali alla Sardegna sul trasporto marittimo. È evidente, invece, che non aveva e non ha senso mettere il governo nazionale nella condizione di dover attribuire la medesima funzione anche all’Umbria!
Il riconoscimento della finalità autentica dell’innovazione costituzionale del 2001 avrebbe potuto, anzi dovuto, portare il legislatore ordinario, nelle legislature precedenti e ora, a predisporre una normativa-quadro equilibrata per la scrittura delle “Intese”, nel rispetto della centralità costituzionale del Parlamento. In altri termini, i vuoti lasciati aperti dalla legge Calderoli si sarebbero dovuti riempire attraverso criteri e principi attuativi del modificato dettato costituzionale. Così, le richieste di differenziazione delle Regioni avrebbero incontrato limiti invalicabili e sarebbero state prese in considerazione soltanto quelle conseguenti a specificità oggettive e motivate in termini di maggior efficienza. È il punto più rilevante sollevato nelle audizioni parlamentari sul disegno di legge Calderoli da Banca d’Italia e dall’Ufficio parlamentare di Bilancio, citate da Fassina (…).
Non è un caso che il disegno dell’autonomia differenziata à la Calderoli non abbia nessun paragone possibile con esperienze federali o autonomistiche o di regionalismo asimmetrico costruite in altri Stati, in Europa e altrove. Qui, da noi, siamo al disegno di uno “Stato Arlecchino” in cui ciascuna Regione contratta competenze e funzioni à la carte, senza peraltro alcun controllo parlamentare nella fase di attribuzione di poteri e risorse e senza un presidio istituzionale centripeto nei rami alti, ossia senza una Camera delle autonomie territoriali, presente invece in ogni Stato ad assetto federale di qualsivoglia intensità. (…)
In tale quadro normativo, è agevole per Fassina documentare le conseguenze paradossali dell’autonomia differenziata in termini di maggiori oneri amministrativi e indebolimento competitivo che ne deriverebbero, non solo per l’Italia nel suo insieme, ma per ogni singola impresa, per i lavoratori e le lavoratrici, per le famiglie, tanto del Nord quanto del Sud. Oggetto dell’analisi esposta nel libro non sono posizioni caricaturali o intenzioni inventate, ma gli atti approvati negli ultimi anni dal Consiglio regionale di Veneto, Lombardia e, sia pure in dimensioni diverse, Emilia-Romagna, oltre che i pre-accordi sottoscritti dai presidenti delle Regioni di “avanguardia” con il governo Gentiloni e la “bozza concordata” da ciascuno dei tre con la ministra Stefani. Le conseguenze di tali atti, interamente praticabili nello spazio politico senza confini predisposto dalla “legge Calderoli”, sarebbero davvero pesanti, innanzitutto sulle imprese. Si genererebbero su vari piani: sia là dove le politiche pubbliche pretendono una proiezione internazionale; sia là dove si alzerebbero confini di fatto insormontabili per necessarie operazioni di acquisti, produzioni e vendite ultra-regionali; sia per gli effetti dumping fra le Regioni; sia per l’aggravamento del groviglio normativo e burocratico; sia per l’impatto sul nostro elevato debito pubblico e, inevitabilmente, sul costo del credito e quindi sui redditi di lavoratori, lavoratrici e famiglie, oltre che delle imprese.
Tali valutazioni, come riporta l’autore, sono presenti anche nelle audizioni sul disegno di legge Calderoli lasciate agli atti dalle principali associazioni di datori di lavoro, piccole imprese, lavoratori autonomi e sindacati. Dovrebbero far aprire gli occhi a quanti sono rimasti finora indifferenti o addirittura speranzosi di raccogliere benefici in termini di migliori servizi o minore imposizione fiscale.
A fronte della deriva che ho appena ricordato, si invoca ritualmente l’arrivo, dopo due decenni di vana ricerca, dei cosiddetti “LEP”, i Livelli Essenziali delle Prestazioni. È importante che Fassina, anche qui con il supporto delle osservazioni della Banca d’Italia e dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, oltre che delle analisi più tecniche e semiclandestine della stessa Commissione Cassese, ne documenti la vera funzione: fare da foglia di fico alla reale natura dell’operazione autonomia differenziata. Del resto, chiunque abbia un po’ d’esperienza in queste materie e non sia quindi un acchiappanuvole sa bene che i LEP, così come vengono descritti dalla propaganda, sono una missione impossibile, tanto dal punto di vista concettuale, quanto da quello finanziario.
vogliono giocare senza arbitro, comprare la partite costa troppo
"Mi piace"Piace a 1 persona
Se ho afferrato i concetti, gli “costerebbe” troppo, in termini di casini, anche giocare da soli…pensa se una ditta o impresa ha rapporti con quelle di altre regioni… o, comunque, con le stesse clientele extraregionali…
Stanno costruendo steccati e labirinti burocratici, col miraggio di comandare e avere le mani in pasta.
Un castello di carta, un diabolico calderone. 🙆♀️
"Mi piace"Piace a 2 people
Perché di tutto questo no ne parla con Bonaccini??? Bersani La volpe .Fa finta di uscire dal PD e due anni dopo vi rientra.LaDitta è sempre la Ditta.Come i. Mafiosi lo si è a vita.
"Mi piace""Mi piace"
L’animale spirituale del Bersa è l’anguilla 😄
"Mi piace"Piace a 1 persona
È andato via per Renzi.
È tornato con Schlein.
"Mi piace"Piace a 2 people
Mica stiamo tutti aspettando lui, peró, Anail 😄
"Mi piace""Mi piace"
Rispondevo a chi ha scritto :
” Fa finta di uscire dal PD e due anni dopo vi rientra.”
Non è così e io odio le menzogne e le mistificazioni.
Bersani è andato via dal Pd nel 2017, dopo anni di sopportazione per via di Renzi, ed è tornato nel 2023 perché ha intravisto la possibilità del superamento del renzismo nel pd, forse illudendosi.
Chi lo aspetta? Io non ho votato Pd neanche quando c’era lui, pur stimandolo, figurati…
E ricordiamoci che, senza Crimi e Lombardi a fare gli splendidi, in quello streaming, nel 2013, Giuda d’Arabia non sarebbe mai arrivato.
"Mi piace"Piace a 1 persona
Piú che volpe, volpino
"Mi piace""Mi piace"
Che fai Mariuolina, cambi genere adesso?
"Mi piace""Mi piace"
Correva l’anno 2001:e la riforma del titolo V della Costituzione mandò in soffitta ogni residuo di competenza tecnica
Non poteva esservi, con la riforma attuata dalla legge costituzionale n.3 del 2001 e l’abolizione della previsione costituzionale del controllo sugli atti degli enti locali, occasione più ghiotta per i gruppi di pressione di ogni tipo.
La riforma del titolo V della Costituzione, effettuata nel 2001 dal Governo Amato, con la legge costituzionale n.3, con quale si sono dilatate a dismisura le competenze regionali e degli enti locali minori , viene oggi considerata dagli stessi uomini e giornali di sinistra, diciamo maggiormente provveduti o illuminati, una riforma sbagliata, che non ha in niente migliorato i servizi che fino ad allora erano stati svolti dallo Stato, anzi semmai si è verificata una maggiore appesantimento ammnistrativo. E neppure è stato possibile avvertire un miglioramento della qualità della legislazione in relazione alle materie trasferite alle Regioni. In compenso si è registrato un deciso aumento della spesa pubblica rispetto al passato, alla quale lo Stato ha dovuto far fronte con nuove tasse e imposte andando incontro ad una erosione di fiducia dei cittadini.
La riforma viene però giustificata dal fatto che la sinistra dovette, in quella circostanza storica ,frenare le spinte federaliste portate avanti dalla Lega e quindi combatterla sul suo stesso terreno per poterla emarginare.
In realtà le cose non sono andate in questo modo, nonostante che tale sia la vulgata divenuta di pubblica opinione. Quella riforma costituzionale fu fortemente voluta dall’allora Ministro della Funzione Pubblica Franco Bassanini- convinto autonomista- che negli anni immediatamente precedenti a tale riforma , e cioè nel 1997 con la legge di delegazione e nel 1998 con il decreto attuativo, aveva disposto, sotto la presidenza Prodi, un accentuato decentramento amministrativo di funzioni statali alle Regioni ed agli Enti locali, nella convinzione di ridurre in tal modo il peso burocratico.
Questa la spiegazione che venne data dal Ministro, ma , dobbiamo dire, priva di ogni fondamento, poichè si sarebbero, con certezza, aumentati i centri di potere, dovendo considerare che il modo ordinario di gestire le funzioni da parte delle Regioni, secondo la previsione costituzionale vigente, era la delega agli enti locali ossia alle Provincie, alle Comunità montane e agli ottomila Comuni presenti nel nostro Paese.
Tale frantumazione di competenze, disposta con legge ordinaria verrà, di lì a poco, sublimata , per così dire, con la legge costituzionale n.3 del 2001, che, d’altra parte, si rese necessaria- anche se approdò ad ulteriori versanti autonomistici – per dare certezza alla nuova riorganizzazione del sistema autonomistico ; ma non davvero per contrastare la cosiddetta “devolution” cara alla Lega , cui interessava solo la competenza esclusiva nelle materie che potessero caratterizzare le cosiddette Regioni padane in ragione della loro tipicità storico-territoriale, come l’istruzione e la polizia regionale, oltre alla tutela della salute. In questo senso la riforma Bassanini non poteva non deludere la Lega che la avversò con una propria proposta costituzionale coinvolgendo, in una più ampia prospettiva di riforma delle istituzioni, l’ intero schieramento di centro-destra.
Ma tornando all’iniziale decentramento amministrativo di fine secolo, c’è da chiedersi quale sia stata la motivazione a decidere il Ministro della Funzione Pubblica a farsi promotore di tale decentramento di funzioni dallo Stato alle Regioni dopo 20 anni dal completamento dell’ordinamento regionale che aveva assecondato in ” toto” le richieste regionaliste con il decreto n.616 del 1977, ma soprattutto, dopo che i rapporti fra i due Enti si erano ormai stabilizzati, non risulta chiaro.
In un Paese dove l’interesse particolare prevale per lo più, per dirla con il Guicciardini, sull’interesse generale, non poteva esservi, con la riforma attuata dalla legge costituzionale n.3 del 2001 e l’abolizione della previsione costituzionale del controllo sugli atti degli enti locali, occasione più ghiotta per i gruppi di pressione di ogni tipo, per infiltrarsi nei gangli del potere, approfittando della fragilità e instabilità insita in un sistema dominato dalla vicenda politica contingente : come del resto , ogni giorno possiamo constatare.………………..
https://www.pensalibero.it/correva-lanno-2001e-la-riforma-del-titolo-v-della-costituzione-mando-in-soffitta-ogni-residuo-di-competenza-tecnica/
"Mi piace"Piace a 2 people
Bravissima Tracia a postare un articolo del Prof. Abrami, che i media (se sapessero fare il loro mestiere) dovrebbero pubblicare ogni volta che si parla di “decentramento regionale” o di “autonomia differenziata”
maledetti loro
"Mi piace"Piace a 2 people
Non basta però che il Professore si fermi a dire che non gli è chiaro ciò che ha indotto un ministro come Bassanini ad adottare quella decisione in favore di ulteriore decentramento di funzioni statali alle Regioni.
Non si sarebbe dovuto assoggettarsi alle contingenze politiche del periodo?
Più facile dirlo che farlo.
Ricordiamo che in quel periodo storico eravamo all’indomani di un cambiamento epocale con la dissoluzione dell’Urss, le pulsioni disgregatrici di Stati come la Jugoslavia, Cecoslovacchia, la nascita di sentimenti nazionalistici (fomentati dagli Usa per i loro interessi geopolitici dal Caucaso all’Europa -Georgia, Ucraina, la nascita di nuovi stati nei Balcani) ricordo a tutti che ci fu addirittura un feeling degli americani (ai quali non fregava più niente neppure dell’Unità d’Italia essendo venuto meno il comunismo sovietico) la Lega di Bossi.
Il PCI chiudeva bottega e trasformava se stesso in un partito qualunque certificando una crisi identitaria che ancora oggi non è risolta.
Chi poteva arginare le pulsioni secessioniste che imperversavano in quegli anni?
La pseudosinistra cercò di arginare alla maniera dei Bassanini, cioè mascherandosi da autonomista.
E trovando sponda nell’ astro nascente Berlusconi, che, lui si, poi, fece un sol boccone di Bossi e dei suoi cerchi magici.
Si vuole gettare la croce addosso al Bassanini? Ok. Ma col senno di poi capaci tutti…
Non è meglio, forse, cercare di rimediare?
Ammesso di esserne capaci, però…
"Mi piace""Mi piace"