La premier in Puglia nella location che ospiterà il summit dei grandi. Previsti bilaterali con Scholz e Macron per trattare sulla nuova Commissione: “L’Italia non sarà spettatrice”

(di Lorenzo De Cicco e Emanuele Lauria – repubblica.it) – Subito in volo per la Puglia. Un gesto non casuale: Giorgia Meloni stacca la spina dopo aver festeggiato le Europee e anticipa il suo viaggio verso la sede del G7, con tre giorni d’anticipo rispetto all’apertura dei lavori. Nell’appartamento all’interno della Masseria Egnazia, la premier prepara una presenza al summit dei Grandi che, nel post-elezioni, assume per lei un significato particolare: è l’unico esponente di governo a rappresentare la crescita delle destre continentali, la sola fra i leader Ue a potersi dire più solida dopo il voto: «In Europa tutti i partiti di governo hanno sofferto e l’Italia va totalmente in controtendenza con il risultato di FdI». Una premessa che la presidente del Consiglio vuole utilizzare non solo per dare forza ai dossier del vertice (in primis intelligenza artificiale e immigrazione) ma anche per tentare di condizionare le politiche di Bruxelles. E non restare esclusa dalle scelte sugli assetti. Parlerà con Olaf Scholz ed Emmanuel Macron, usciti più deboli dalle elezioni ma esponenti di di un’alleanza rosso-bianco-verde che resta maggioranza in Ue, sapendo che il nome da cui si parte per la guida della commissione rimane quello della spitzenkandidatin del Ppe, Ursula von der Leyen. E i popolari hanno già fatto sapere che «non cercheranno un accordo con Ecr». Insomma, su questa candidatura Meloni non può chiudere: «Quando la proposta sarà formalizzata la valuteremo», dice la premier, conscia che, prima di arrivare davanti al Parlamento europeo, il nome prescelto deve avere il gradimento del Consiglio.

L’inquilina di Chigi sa che non può restare fuori dall’accordo per la nuova presidenza della Commissione. Ma è pure consapevole del fatto che dare un appoggio pieno a von der Leyen, al Consiglio e al Parlamento europeo, la farebbe scoprire troppo a destra. La metterebbe in difficoltà con alleati come Le Pen e Salvini. E allora, la scommessa di Meloni è quella di “congelare” il negoziato in attesa del voto francese di fine giugno. E nel frattempo, magari, vedere se può emergere qualche altro nome su cui trovare una convergenza. D’altronde, lo stesso Antonio Tajani, che rappresenta il Ppe in Italia, ha sottolineato come quella di von der Leyen sia per ora «un’indicazione politica, non un vincolo giuridico». Ancora troppo presto, insomma, per parlare di un bis.

Non chiudere su von der Leyen, d’altronde, significa poter trattare nella logica di pacchetto, perché «nel negoziato ci sono diverse questioni che riguardano tutti i ruoli apicali, le deleghe dei commissari e quindi – dice Meloni – anche il commissario italiano. E io decido con un unico metro, l’interesse nazionale». Tajani, da Berlino per la conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina, intanto prova a prenotare per l’Italia una poltrona da vice-presidente della Commissione. «Non possiamo farne a meno. E non credo ai vicepresidenti ad honorem, deve esserci un ruolo, un portafogli importante». Il vicepremier azzurro, che assicura di non avere «frenato su von der Leyen», commenta anche un paio di nomi circolati in queste settimane: il titolare del Mef, «Giorgetti, che è bravissimo, come lo è Fitto», il ministro del Pnrr. Con Meloni, aggiunge, «però non ne abbiamo mai parlato». Il profilo intanto comincia a tratteggiarlo: «Consiglierò a Meloni una persona che sappia come muoversi nei palazzi di Bruxelles – afferma Tajani – bisogna giocare una partita diversa da quella italiana».

È in questo contesto che, fra gli ulivi pugliesi, la premier lavora con la consapevolezza di poter tirare avanti in un clima di stabilità anche sul piano interno. «Non ci sarà nessuno scossone. Non ci ho mai creduto, noi siamo un’orchestra che suona in armonia», sostiene Meloni. Quasi sollevata per un «ritorno del bipolarismo» con Schlein, dice da Bruno Vespa, «anche se vedo il rischio di una radicalizzazione a sinistra». Intanto, avanti con il patto sulle riforme, con il premierato caro a FdI che dovrebbe essere varato (la prima delle quattro letture) entro giugno a Palazzo Madama. Anche l’Autonomia, totem della Lega, è vicina all’approvazione definitiva ma Forza Italia non rinuncerà – pare – a proporre alcuni correttivi in extremis (visto anche il risultato ottenuto al Sud) e a chiedere una corsia preferenziale per la riforma della giustizia.

Prima, però, c’è la partita europea. L’Italia, assicura Meloni, «sarà protagonista e non spettatrice». L’ultimo rilancio sulla spinta del vento che spira da destra.