
(DI PINO CORRIAS – ilfattoquotidiano.it) – Cazzo, culo, coglione! A esercitare libertà d’eloquio in nome della nuova egemonia culturale dello sputazzo non è per una volta Vannacci il generale della Decima. Non è Bandecchi, il pugile di Terni. Non è nemmeno Vincenzo De Luca, il pittoresco governatore della Campania. Ma è il maggiore editore della destra italiana, Antonio Angelucci, quello coi baffetti e la Ferrari, membro a buon diritto della Commissione Cultura della Camera, e involontariamente della Commissione Stracciaroli della Nazione, che ha finalmente rilasciato la sua prima intervista a un bravo cronista del Fatto. Alla prima domanda ha risposto: “Non rompere i coglioni!”. Alla seconda: “Fatti i cazzi tuoi!”. Alla terza: “Hai rotto il cazzo, vattene affanculo”. Alle successive si è messo di mezzo uno dei suoi numerosi bodyguard che alle parole del suo boss ci ha aggiunto un paio di leggeri spintoni: “Non costringetemi a buttarvi a terra”, ha detto al cronista e al suo operatore, dimostrando di essere di gran lunga il più educato, forse anche il più colto, della comitiva Angelucci.
Sembra una scena di malavita e lo è. La malavita della politica ordinaria sempre più frequentata da questi trafficanti di parolacce, improperi, minacce – “Angelucci è simpatico a tutti, è l’onorevole più ricco del Parlamento”, dicono i suoi colleghi, succhiandosi le guance, beati loro – così simpatico e carico di contante da essere diventato il maggior produttore di cultura e di informazione che la destra si merita a sua immagine. Famoso per le fuoriserie che guida. Per le feste che organizza. Per il suo personale record di assenteismo dalle aule di Montecitorio, che non lo fanno minimamente arrossire per lo stipendio che da quattro legislature, 15 anni, incassa senza fiatare. Ma che a forza di sghignazzi della plebaglia politica e giornalistica che lo circonda, fanno status, fanno curriculum.
La sua storia sembra inventata. Da ex portantino d’ospedale con la licenza media in tasca, a re delle cliniche private e residenze per anziani. Poi case, palazzi, ville, la carriera politica con Berlusconi, Salvini, Meloni, una intera corte di servitori bipartisan, quelli più sensibili alla grana, Denis Verdini, Matteo Renzi, Massimo D’Alema, Marcello Dell’Utri. Poi diventati folla quando ai pannoloni delle residenze, Angelucci ci ha aggiunto i fogli della destra, comprandosi Libero, Il Tempo, Il Giornale. In prospettiva anche La Verità di Belpietro e l’agenzia di stampa Agi dell’Eni, più un pensamento per addentare prima o poi i lombi nobili di Repubblica, il favoloso giocattolo editoriale che il bravo John Elkann sta scassando un po’ alla volta.
Nessuno fiata. Anzi. La prepotenza proprietaria diventa contagiosa. L’altro giorno Gaetanto Caltagirone, in arte Caltariccone (Dagospia dixit) palazzinaro di lungo corso, editore di Messaggero, Mattino e Gazzettino, ha cacciato in malo modo Alessandro Barbano, direttore del Messaggero, che aveva assunto 28 giorni prima. Motivo? Non essersi sottomesso alla pretesa di Giorgia Meloni e del suo staff che volevano domande e risposte scritte e revisionate, cioè una intervista addomesticata e senza temi scomodi. Il contrario del giornalismo rispettabile. Disponibile a piegare la testa, a fare finta di non accorgersi di quanto la politica si sia allontanata dagli standard di minima decenza: la ministra Daniela Santanchè che ancora parla di Turismo, ma resta muta sulle inchieste che la riguardano; il campionissimo del mese, Giovanni Toti, governatore della Liguria, che non si dimette – non ci pensa proprio – e dagli arresti domiciliari manda pizzini ai suoi bravi che eseguono e votano a suo comando. Siamo diventati Mompracen, l’isola dei pirati. Ma più ancora l’isola dello sputazzo. La naturale conseguenza di una intossicazione della politica, dell’etica, della mediocre educazione, che dura da una trentina d’anni, il vero lascito di Berlusconi, che la gran parte dei politologi ammira, al netto delle bugie, delle frodi, delle inchieste, della corruzione, della mafia, delle mignotte, “perché in fondo era un gran simpatico”. Esattamente quanto l’Angelucci, i suoi soldi, i suoi “cazzo!”, “culo!”, “coglione!” ringhiati in piazza, a dirci lo sprofondo in cui ci siamo cacciati.
Grande pezzo, da leggere nelle scuole. E grande pezzo… anche al soggetto.
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bravo Corrias, as usual !
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ma il crimi, quello che riceve da tentenna € 70 000 annui non avrebbe dovuto tagliare i fondi all’ editoria?
non lo ha fatto? Troppo impegnato a sabotare le votazioni all’ interno del mv5s?
Allora è per tale impegno che la nuova gestione del fu mv5s lo paga.
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I fondi all’editoria furono tagliati durante il Conte-2 , tuttavia forse il primo provvedimento del governo Draghi li ripristinoʻ: informarsi magari prima di scrivere fesserie giusto per infangare il Movimento 5 Stelle?
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sei sicuro? Sicuro sicuro?
forse dovresti rivedere gli atti
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https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/09/17/contributi-alleditoria-altro-che-abolizione-forza-italia-vuole-piu-dare-piu-fondi-ai-giornali-lemendamento-al-dl-asset/7294693/
sicuro! E proprio Vito Crimi ne fu il promotore….
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Con la manovra approvata dal governo Lega-M5S nell’ultimo giorno utile, il 30 dicembre, diventa realtà anche il taglio dei fondi all’editoria. Vediamo dunque cosa accadrà.
Sfatiamo subito un luogo comune: non è vero che tutti i giornali prendono fondi pubblici. Con la riforma Lotti del 2017, voluta dal governo Renzi che ha iniziato dal 2014 una corposa sforbiciata ai contributi, su 18mila testate registrate, solo 150 vi hanno accesso. Si tratta di editori in cooperativa, giornali per le minoranze linguistiche, o appartenenti a fondazioni o enti morali no profit.
I “giornaloni”, come Repubblica o Corriere della Sera, non li prendono: sono quotati in borsa e ricevono finanziamenti da azionisti e pubblicità. Il sottosegretario con delega all’Editoria, Vito Crimi, ripeteva che in Italia non esistono più editori puri, ossia che non hanno interessi economici rilevanti al di fuori dell’editoria, ma non è vero nemmeno questo, poiché sono rimasti tali il Corriere della Sera, Il Giorno, il Resto del Carlino. Ma ad essere maggiormente colpiti dai tagli, alla fine, saranno poi proprio gli editori puri, come cooperative di giornalisti, quali il Manifesto, o il Corriere Romagna.
In base all’emendamento Patuanelli, dal nome del senatore 5Stelle primo firmatario, saranno “progressivamente ridotti fino alla loro abolizione” i contributi all’editoria. Come ha spiegato il ministro Luigi Di Maio, il primo taglio sarà del 25% nel 2019, del 50% nel 2020 e del 75% nel 2021, fino a che nel 2022 saranno azzerati.
Spariranno dunque i 5,9 milioni di euro per Avvenire, i 4,6 per Libero, i 4,5 per Italia Oggi, i 3 per Manifesto e gli 800mila per Il Foglio. Il Corriere Romagna non riceverà più 2 milioni di euro. Resteranno solo contributi inferiori a 500mila euro. Sempre in base alla riforma Lotti, che eroga i contributi a fine anno sull’anno precedente, il 2019 sarà l’ultimo coi contributi pieni.
E la Rai? Il governo ha previsto 40 milioni di contributi per il 2019 e altrettanti nel 2020. Apparentemente non toccata dai tagli dunque, eppure il sindacato Usigrai è uscito ufficialmente per spiegare alcune cose. Il governo Renzi aveva inserito il canone nella bolletta della luce: non era “extragettito”, puntualizza l’Usigrai, casomai è recupero di evasione, soldi mai entrati nelle casse Rai per anni. Sempre il governo Renzi ha destinato il 50% di questo recupero ad altre finalità fino al 2018; il governo Lega-M5S estende la validità della norma per sempre. Poi però prende 40 milioni da un altro capitolo di spesa e li gira alla Rai. Perché? Perché c’è un contratto di servizio che impone alla Rai alcuni obblighi, i quali hanno un costo. In sostanza, conclude Usigrai, il governo toglie circa 100 milioni alla Rai e ne restituisce 40. “È come se a un dipendente – conclude Usigrai – il datore di lavoro non pagasse 100 euro di stipendio e poi, in maniera plateale, prendesse 40 euro dal suo portafogli per ridarglieli”.
Francesca Biliotti
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Ci vorrebbe una legge sulle assenze dei parlamentari. Per esempio se un lavoratore anche giustificato dai medici sta a casa sei mesi in un anno viene licenziato. Lo stesso dovrebbe avvenire per i parlamentari che oltretutto lavorano 4giorni alla settimana. Un’altra legge di buon senso, dovrebbe impedire di svolgere qualsiasi lavoro se sei parlamentare. Se vai in parlamento devi dedicare il tuo tempo a quella attività. Ci troviamo, per esempio la Buongiorno che difendere la ragazza che accusa di violenza il figlio di Grillo. Non è mia intenzione difendere il coxxione di Grillo, ma di certo la questione diventa piuttosto ambigua. Di esempi di questo genere ce ne sono tantissime
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Al confronto dei suoi seguaci B era un signore. Non vorrei mai dover scegliere tra la volgarità degli insulti e del disprezzo verso la “plebe” di questi e quella delle barzellette e del sessismo di B perché credo nella terza via del rispetto, ma se obtorto collo fossi obbligato sceglierei la seconda.
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Sarei curioso di sapere chi sono gli integerrimi non ché uomini tutto di un pezzo,dal valore morale elevato,direttori degli incartatotani libero,il giornale,il tempo🤔
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