La polarizzazione politica spinge i candidati a estremizzare le loro posizioni. Questo atteggiamento erode la fiducia nella politica e i giovani non si sentono rappresentati

Verso le Europee: slogan aggressivi, temi semplificati. Così cresce solo l’astensionismo

(ALESSANDRA GHISLERI – lastampa.it) – La campagna elettorale per le elezioni europee 2024 è arrivata – qualcuno potrà dire finalmente- alle sue battute finali. I partiti italiani hanno presentato i loro simboli, programmi e candidati riflettendo una competizione accesa su temi e argomentazioni forse un po’ più lontani dalla centralità che dovrebbe essere data all’Europa.

Quello che sta emergendo è la netta volontà dei partiti di casa di contendersi la capacità di poter influire – ognuno per parte sua – sulla nuova direzione politica dell’Unione Europea. Certo, il ruolo dei candidati di punta per la presidenza della Commissione Europea è una discussione rimasta tutt’ora interna ai gruppi. Tuttavia, ogni formazione tende oggi a puntare il proprio dibattito su come rafforzare le istituzioni del vecchio continente e affrontare le sfide globali che l’attualità propone ogni giorno.

La comunicazione elettorale di questo ultimo periodo ha assunto però un tono “facilone” e violento per vari motivi legati sia alla strategia politica sia alla natura della sfida elettorale stessa, portando con sé una serie di conseguenze. Ovviamente i messaggi semplificati e carichi di emozione sono più facili da comprendere e ricordare e, con l’utilizzo di toni forti, slogan diretti e concetti semplici, riescono anche a catturare l’attenzione degli elettori cercando di differenziarsi in un panorama mediatico e, soprattutto social, molto affollato.

La polarizzazione politica spinge così i candidati a estremizzare le loro posizioni per mobilitare la base elettorale portando a una retorica – molto – aggressiva nei confronti degli avversari, dipingendoli più come nemici, piuttosto che come semplici competitori. Il tutto è enfatizzato dalle dichiarazioni sempre più clamorose e controverse riprese dai media man mano che ci si avvicina alla data elettorale, creando così un vortice in cui ogni aspirante deputato è incentivato a fare affermazioni sempre più scioccanti per ottenere maggiore visibilità.

La semplificazione estrema, anche a costo della distorsione della realtà, diventa una tattica per trasmettere messaggi efficaci e comprensibili ad un pubblico molto ampio. Tutto questo ha delle conseguenze che si traducono principalmente in una erosione possibile della fiducia del pubblico nei confronti delle istituzioni politiche e dei politici stessi e in un incremento delle divisioni sociali, alimentando la diffidenza tra diversi gruppi della popolazione. La retorica estremizzata può contribuire anche alla radicalizzazione degli elettori spingendoli verso posizioni meno dialoganti e riducendo lo spazio per il compromesso. Ed ecco che l’attenzione si sposta dai contenuti e dalle politiche agli attacchi personali e alle controversie superficiali, riducendo la qualità del dibattito pubblico e ostacolando una discussione sui problemi reali e sulle soluzioni necessarie. La sensazione diffusa è che le elezioni europee abbiano principalmente un tornaconto politico sempre più lontano dai temi più urgenti nella vita dei cittadini. Tutto questo genera tra la gente un misto di disillusione, disinteresse e disconnessione con le tematiche europee e sul significato del voto.

Risultato? L’interesse del pubblico diminuisce e il partito dell’astensione mantiene il suo primato. Le ragioni per non votare sono sempre più complesse e spesso interconnesse. Tolti coloro che non sentono alcun interesse per la politica o per le elezioni e quelli che sono convinti che il loro contributo non farà alcuna differenza rimangono i disinformati, chi potrebbe essere impossibilitato per vari motivi logistici e coloro che, generalizzando, considerano tutti i partiti e i loro candidati uguali e inefficaci o corrotti. I più giovani sono quelli che nel nostro Paese presentano i tassi più bassi di partecipazione rispetto alle altre fasce di età, eppure pur dichiarandosi in maggioranza lontani dal mondo della politica, ultimamente con le loro manifestazioni hanno dimostrato tutto il loro impegno civico – a tratti anche oltre i limiti del permesso – occupandosi di temi assolutamente politici e attuali.

Le loro preoccupazioni e le loro priorità sono diverse rispetto a quelle dei target anagraficamente più alti, e in percentuale la fascia di età tra i 18 e i 24 anni pesa solo l’8,3% sulla popolazione maggiorenne (fonte Istat 2024). Gli over 50 rappresentano invece il 56,4% (fonte Istat 2024) e sono anche più propensi a mettere il loro voto nell’urna elettorale, così più facilmente sono indirizzati a loro i messaggi politici. Tuttavia, tanti di loro fanno fatica a sentirsi rappresentati politicamente dopo che hanno attraversato varie “esperienze” elettorali negli ultimi 35 anni, con la percezione di un declino ricorrente. Non è una questione che riguarda solo alcuni partiti, ma piuttosto è una sensazione trasversale che attraversa tutte le formazioni politiche. In tal senso anche la maggioranza dei giovani avverte una certa distanza con i candidati e i partiti che, nella maggior parte dei casi, non rappresentano le loro esperienze, le loro preoccupazioni, le loro dinamiche e soprattutto la loro età. Si parla di loro, ma non con loro.

Intanto, con una guerra nel cuore dell’Europa, sembriamo guardarla da una certa distanza, forse perché ci eravamo convinti di combatterla per procura, anche gli under 25 nati con il pollice digitale senza frontiere, maneggiando l’Euro e disconoscendo la Lira. Non vogliamo più combattere per diritti e libertà, perché ormai li diamo tutti per acquisiti, anche l’uguaglianza tra i generi. Chissà se la “rivoluzione” che ha portato una presidente del Consiglio e una capo dell’opposizione donna possa riportare il “gentil sesso” a credere nel voto, visto che a dispetto del film di Paola Cortellesi, negli ultimi appuntamenti elettorali si sono distinte per assenza, ma come sappiamo “c’è ancora domani”.