
(DI GAD LERNER – ilfattoquotidiano.it) – Di fronte alla trovata dell’“io voto Giorgia”, claim pubblicitario dello spot con cui Fratelli d’Italia aspira a incassare nelle urne il successo del celebre ma datato “Io sono Giorgia”, viene da chiedersi: quanto redditizio potrà essere ancora, alla lunga, questo ossessivo, egolatra, richiamo all’io di una donna che da ormai 19 mesi guida il nostro governo?
D’accordo, al momento non s’intravedono alternative all’orizzonte. E la scelta, evidentemente, è di alleggerire, oltre che di personalizzare. Nessun richiamo al momento tragico che vive l’Europa, sull’orlo della guerra. Meglio trasmettere spensieratezza, tenersi alla larga dalle scelte cruciali che abbiamo di fronte. La donna del popolo, per fortuna, neanche ci prova a far propria la postura e la retorica mussoliniana da grande potenza. Non se le può permettere. Agita un patriottismo all’acqua di rose, scevro da tentazioni militariste cui gli italiani sono da sempre refrattari. Del resto, se Mussolini non avesse commesso l’errore di entrare in guerra al fianco di Hitler, molto probabilmente gli alleati lo avrebbero lasciato in sella come fecero con Francisco Franco. Meglio tenersi prudentemente in retrovia, almeno fin che si può. E parlare d’altro. La comunicazione di Giorgia, però, si è da sempre fondata su una dose di muscolosa aggressività, ingrediente al quale non può rinunciare neanche adesso che deve mitigarla per ovvie esigenze di realpolitik. Chi esibire come modelli e/o alleati? Chi eleggere a bersagli, nemici del popolo di cui si erge a portavoce?
La faccenda si complica e il marketing da solo non basta a delineare un progetto egemonico. Niente più foto al fianco di Netanyahu per rivendicare il sostegno a Israele e il ripudio dell’antisemitismo. Niente più foto al fianco di Orbán dacché il premier ungherese mette i bastoni fra le ruote alla Nato. Niente più foto dei barconi carichi di migranti a cui dare la colpa delle nostre disgrazie. Meglio non tirare più in ballo l’“usuraio Soros” per non irritare Biden; né le “consorterie europee” dovendo tenersi buona la Von der Leyen. Al massimo qualche punzecchiatura a Macron e Scholz, ma con misura.
Non resta che rispolverare dall’armadio la vecchia solfa di noi radical-chic salottieri muniti di Rolex d’ordinanza, magari col nome straniero come la segretaria del Pd. Chi sta con Giorgia, è popolo. Gli altri, sono élite. Che noia. Certo, bisognerà evitare di mettere a confronto le dichiarazioni dei redditi dei suoi ministri che vanno in vacanza a Forte dei Marmi o Cortina (non a Capalbio, sai la differenza) e quelle di quei furbacchioni degli intellettuali antifascisti che continuano a fare ascolti in tv e vendere libri. Funzionerà ancora? Per quanto tempo? Una cosa Giorgia Meloni l’ha già capita: anche nelle più ottimistiche previsioni non ripeterà l’exploit del 41% di Renzi e del 34% di Salvini alle elezioni europee. In materia di egemonia culturale, nel plasmare la mentalità degli italiani e di vezzeggiare la loro diffidenza nei confronti dei soloni della cultura, molto più agguerrito fu il suo predecessore Berlusconi. L’ideologia di destra conservatrice e reazionaria a cui Giorgia si richiama, e che pure ha un profondo radicamento nel nostro Paese, polarizza l’elettorato ma non garantisce di trascinarlo dalla sua parte in tempi difficili per l’economia e per gli squilibri internazionali.
Così l’“io voto Giorgia” rischia di rivelarsi davvero solo un espediente provvisorio, anticipatore della “madre di tutte le riforme”, il premierato, che dispone di una maggioranza parlamentare ma già suscita obiezioni tali da indurla a mettere le mani avanti: non legherà a essa il suo destino politico. L’ultima trovata è stata la polemica diretta contro le trasmissioni di La7, rete televisiva colpevole di deturpare l’immagine di un Paese che grazie a lei viceversa andrebbe a gonfie vele. Ricordo bene, avendo partecipato al varo faticoso di quella emittente, che La7 conquistò il suo spazio all’epoca in cui Berlusconi controllava direttamente sia la Rai che Mediaset. Va bene scherzare con Telemeloni e fingersi vittima di cattiva stampa, ma al posto suo eviterei di attaccare il giornalismo indipendente a meno che coltivi il progetto di tappargli la bocca con metodi ungheresi. Confido che in tal caso troverebbe pane per i suoi denti. La verità è che alla leadership di Meloni – dotata, è vero, di simpatia e autoironia – manca una qualità decisiva: la gravitas, come direbbero i latini, ovvero la dimensione di autorevolezza in sintonia con la drammaticità del tempo presente, senza la quale può finire ridotta a macchietta. Giorgia chiuse la sua ultima, vittoriosa campagna elettorale, mostrando in un selfie due meloni all’altezza del petto. Attendiamo il suo comizio finale. Sarò snob, ma spero non si ripresenti come piazzista da mercato ortofrutticolo.
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Dalla repubblica delle banane a quella dei 2 meloni, son soddisfazioni.
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Dai 2 meloni ai 2 coj…oni il passo è breve ….
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