Impegni istituzionali diventano occasioni elettorali sfruttate per fare propaganda

(di Emanuele Lauria – repubblica.it) – ROMA — Un tour elettorale nelle sedi istituzionali, promosso dai mezzi di comunicazione del governo e finanziato dalle casse pubbliche. La partita fra i leader dei partiti della maggioranza è aspra quanto disinvolta: si nutre di dotti convegni sulla riforma della Costituzionale, firme di intese solenni, illustrazione di programmi e risultati. Tutto a carico della collettività.

Giorgia Meloni, nell’annunciare a fine aprile, a Pescara, la propria candidatura, aveva fatto capire che avrebbe fatto un solo comizio. Impegno rispettato, almeno questo. Sabato in piazza del Popolo la manifestazione della premier. Ma attorno a quest’evento Meloni ha costruito una campagna in cui i ruoli di capo dell’esecutivo e quello di capolista di FdI si sono sovrapposti. A partire dall’incontro dell’8 maggio, nella Sala della Regina di Montecitorio messa a disposizione per un dialogo sul premierato che si è trasformato in una commedia animata da personaggi dello sport e dello spettacolo, impersonato da costituzionalisti per caso quali Pupo Iva Zanicchi. L’ultimo sconfinamento lunedì, in un’altra cornice solenne, quella del Teatro Massimo di Palermo, con la firma di un accordo di programma da 6,8 miliardi di euro, praticamente un atto dovuto la cui presentazione è stata piazzata a dodici giorni del voto. E “benedetta” in una cerimonia rilanciata dal canale Youtube della presidenza del Consiglio e costata alla Regione Siciliana qualche decina di migliaia di euro.

Ma va così: competition is competition. E Meloni e Salvini, in questo periodo, non si fanno sconti. Una lotta in chiave populista che, al di là delle aperture senza confini a destra, ha visto persino la trasformazione del linguaggio della premier, dalle smorfie di Telemeloni alla “stronza” di Caivano passando per il sarcasmo riversato sui telespettatori di La7. L’impennata pre-elettorale non è una novità ma qui la svolta è nei toni e nelle espressioni che trascendono, nello sberleffo che puntella le bugie dette senza contraddittorio (a partire dal record dei fondi per la Sanità), nel presidenzialismo archiviato a favore del presenzialismo. E domani sera in arrivo una diretta-fiume da Paolo Del Debbio, su una Rete4 che era e rimane rete amica, oltre Giambruno.

Matteo Salvini, d’altronde, da tempo ha lanciato la sfida alla premier sull’incerto crinale dei mezzi istituzionali. Venerdì il leader della Lega chiuderà la lunga maratona dell’Italia del Sì, espediente neanche troppo sofisticato per fare propaganda elettorale a spese del ministero delle Infrastrutture, perché il fine è, sarebbe, l’illustrazione dell’attività di quel ramo d’amministrazione. Salvini, da ottobre a oggi, l’ha trasformato in uno spot permanente: dodici tappe nelle varie regioni italiane per un costo che supera il mezzo milione di euro, con calendario tarato sugli appuntamenti elettorali. A Trento e Bolzano prima delle provinciali, a Cagliari e Pescara prima delle regionali. E dove si celebrerà l’appuntamento conclusivo? A Messina, of course, per parlare del Ponte sullo Stretto, la promessa sovrana di Salvini in vista delle Europee. L’evento è stato pubblicizzato ieri sul sito del Mit. E si svolgerà sulla nave Dattilo di proprietà della Guardia Costiera. Che fa capo sempre al ministero. Se Tajani si rifugia nei Ricchi e poveri, in uno spettacolo pagato da Forza Italia, forse è solo perché dalla Farnesina è più difficile fare propaganda. Chissà. Di certo la campagna più trash degli ultimi anni vive sui palcoscenici istituzionali. Con un uso allegro delle risorse statali.