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(di Enrico Marro – corriere.it) – Tra il 2013 e il 2023 il potere d’acquisto delle retribuzioni in Italia è diminuito del 4,5% mentre nelle altre maggiori economie dell’Ue a 27 è cresciuto a tassi compresi tra l’1,1% della Francia e il 5,7% della Germania, si legge nel rapporto Istat presentato il 15 maggio. Le cause sono molte: dalla maggior diffusione di piccole imprese in Italia rispetto ai principali Paesi europei alla più bassa dinamica della produttività. Ma è anche colpa di un alto prelievo fiscale, un fattore finora meno indagato. E che invece pesa molto.
Gli aumenti e il peso del Fisco: quanto entra nelle tasche di chi lavora
Basta fare due conti, come quelli che ha fatto il super esperto Maurizio Benetti, collaboratore della fondazione Tarantelli, pubblicati sul sito nuovi-lavori, e si scopre che un aumento contrattuale lordo di 100 euro scende a poco più di 70 netti per una retribuzione lorda di 13 mila euro, a 62 euro per una di 23 mila, a poco più di 50 euro, cioè si dimezza, per una di 30 mila e a poco meno di 50 euro per chi prende più di 45 mila euro lordi. Per avere le cifre esatte basta guardare la tabella sopra.
E questo, è bene precisarlo, tenendo conto del taglio del cuneo contributivo (per il momento confermato solo per il 2024), altrimenti il netto sarebbe ancora inferiore, almeno per le retribuzioni lorde fino a 36 mila euro (oltre questo livello non c’è il taglio del cuneo). Se si applicassero le aliquote Irpef della Francia, ai lavoratori resterebbero più soldi in tasca. Da noi, infatti, da 28 mila a 50 mila euro di imponibile c’è un’aliquota del 35% e poi ne scatta una del 43%, in Francia fino a 73 mila c’è un’aliquota del 30%.
Taglio del cuneo e tasse ridotte sui premi di risultato
Le contromisure messe in atto finora per dare un po’ di sostegno ai salari sono di due tipi. Il taglio del cuneo (i contributi dovuti all’Irpef) sulle retribuzioni medio-basse, che però, appunto, è temporaneo e per renderlo strutturale richiederebbe circa 11 miliardi di euro l’anno, senza contare che realizzerebbe di fatto uno spostamento di parte del finanziamento delle pensioni dalla contribuzione alla fiscalità generale. L’altra contromisura è la defiscalizzazione dei premi di risultato (aliquota del 5%) e la non tassazione dei social benefit e del welfare aziendale, che però vengono erogati sono in una minoranza di aziende, per lo più quelle medio-grandi, col risultato che, a parità di retribuzione complessiva lorda, il lavoratore che beneficia di questi sgravi ha una busta netta più alta.
Conclusione di Benetti: «L’Irpef produce un vero e proprio taglieggiamento dei risultati contrattuali soprattutto per le categorie medie e alte», anche per via del fiscal drag, ovvero l’aumento nominale delle retribuzioni che fa scavalcare gli scaglioni di reddito (che non sono stati adeguati all’inflazione), facendo scattare le aliquote Irpef più alte, «con una crescita abnorme della progreessività sui redditi medi». Anche il governo ne è consapevole. Il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, ha più volte promesso che il prossimo step della riforma fiscale sarà l’alleggerimento dell’Irpef per il ceto medio. Ma prima dovrà trovare i 15 miliardi che servono per confermare nel 2025 il taglio del cuneo e l’Irpef a tre aliquote.
Il taglio del cuneo fiscale era un’idea del PD e poi ripresa dalla destra che solo dopo ha capito che va a favore della borghesia.
Iniziassero ad aumentare gli stipendi e basta!
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Il corriere si è accorto dell’ Irpef alto con 30 anni di ritardo .Come si fa ad abbassare l’IRPEF e tenere i conti dello stato in ordine ed accettabili dalle società di rating? Questo il giornale milanese non ce lo dice.La facciamo una bella patrimoniale per i super ricchi senza fare incazzare Cairo ?
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Che ne dici di una lotta seria all’evasione fiscale?
La revisione degli estimi catastali? Che oltretutto sarebbe anche un modo per rendere più equo il sistema di tassazione sulla casa e con esso una maggiore equità sociale.
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Questi del Corriere si rivelano per quelli che sono: 1) il potere di acquisto di salari e stipendi si salvaguarda con gli aumenti (copiosi) delle retribuzioni; 2) poi andrebbe rivisto tutto il prelievo fiscale dalla curva dell’IRPEF (introducendo altre aliquote alte per redditi elevati) all’introduzione di prelievi fiscali da altre fonti di guadagni (rendimenti finanziari, immobiliari ecc.); se l’entrate pubbliche languono è perché il fisco (la politica) stizza l’occhio alle classi abbienti, ai lavoratori autonomi ai veri titolari delle partite IVA, oltre poi a favorire l’evasione.
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Direi di no
Salvaguardare il potere d’acquisto aumentando le retribuzioni non è la soluzione ideale perchè rischia di generare quella che si chiama spirale prezzi-salari.
La nostra storia degli anni 70 da dimostrazione ampia di cosa voglia dire tentare di salvaguardare il potere d’acquisto con aumenti salariali.
Sarebbe già un successo il rinnovo contrattuale fatto rispettando le scadenze.
Adeguare gli stipendi all’inflazione reale
Un altro sistema può essere quello dell’intervento del governo per regolare i prezzi di beni e servizi che presentano una curva di domanda fortemente rigida ( sanità, energia,)
Aumentare la progressività dell’imposizione fiscale (in questo sono perfettamente d’accordo con quanto scrivi)
Investire in ricerca e sviluppo, in istruzione, in infrastrutture ( quelle utili, vero Matteo?)
Applicare serie politiche di concorrenza.
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