IL PROGETTO AZ THEATRE IN ITALIA – Le parole del diario del drammaturgo palestinese al-Madhoun recitate in pubblico ci impediscono di scappare dalla realtà dell’orrore

(DI TOMASO MONTANARI – ilfattoquotidiano.it) – Se i palestinesi fossero bianchi, biondi, tutti cristiani saremmo disposti a tollerarne il massacro senza fine? Se non sentissimo Israele come un avamposto dell’Occidente saremmo disposti a tollerarne i crimini contro l’umanità? Ogni giorno che passa, la credibilità dei nostri cosiddetti valori scende un altro po’: mentre il nostro senso di colpa dovrebbe salire altrettanto. Per poter proseguire in questa apnea dobbiamo saperne il meno possibile: perché se le opinioni pubbliche occidentali vedessero davvero ciò che succede a Gaza, non lasceremmo solo alle studentesse e agli studenti delle nostre università il peso di opporsi, contestare, dire di no.

Proprio per questo è davvero prezioso Gaza ora. Messaggi da un caro amico. È un progetto teatrale ideato da Jonathan Chadwick e Ruth Lass della compagnia londinese Az Theatre, e consiste nella lettura pubblica, a più voci, del diario tenuto fin dall’inizio della guerra dal drammaturgo palestinese Hossam al-Madhoun. Grazie a Iante Roach e a Tanita Spanga questo straordinario testo è ora rappresentato anche in Italia: dopo la prima a Siena del 15 maggio, stasera sarà al Teatro Florida a Firenze, e quindi in tutta Italia, lungo tutta la prossima estate.

È difficile descrivere la potenza morale ed emotiva di questo ‘spettacolo’. Dall’antica Grecia, è ben nota la potenza ‘politica’ del teatro, dove una intera comunità, a volte una intera città, si raccoglie per vivere, celebrare, esorcizzare qualcosa di terribile e fondamentale. Certo, potremmo leggere i testi di Hossam al-Madhoun mentalmente, al sicuro nelle nostre comode case. Ma quando sono proclamati a voce alta e in pubblico, non possiamo scappare, non possiamo fare finta di niente, non possiamo evitare di esserne travolti. Il filo del racconto, che si fa sempre più tragico via via che da ottobre i giorni rotolano verso il presente, si dipana in una città ‘normale’: non è un campo di battaglia, non è un esercito ad essere colpito. Sono persone come noi, impegnate in una vita quotidiana come la nostra che poco a poco si trasfigura in un macello.

Un solo esempio: “Alle 10 sono andato al mercato di Nuseirat. Sono solo 5 minuti in macchina dalla casa dei mieisuoceri. … Osservando i volti delle persone, mi accorgo di qualcosa di strano, non normale. I volti sono tutti cupi, gli uomini tengono la testa bassa, si capisce subito che sono distrutti, deboli, sconfitti, incapaci di provvedere all’incolumità dei propri figli – la prima cosa che ogni padre vorrebbe garantire alla sua famiglia. Camminando tra la gente si percepisce la paura, il panico, la disperazione; si sente l’oscurità attraverso cui si muovono anche se è giorno – è mattino, ma sembra buio, un buio che si è fatto materia, che si può toccare con mano. Tutti si muovono velocemente, si potrebbe pensare che si stiano affrettando per comprare cibo o provviste. Ma guardando più da vicino ci si rende conto che vanno di fretta per nascondere la propria vergogna e la propria paura. Una vergogna che non hanno il diritto di provare, ma che provano lo stesso. Vogliono nascondere la loro impotenza, le loro ansie, le loro paure, rabbia e frustrazione. … Cerco di calmarmi. Perché ero venuto al mercato? Ah sì, devo comprare del pane e qualcosa da mangiare. Dal panettiere c’è una fila di più di cento persone, ci vorranno ore per prendere il pane. Chiedo a mio cognato di mettersi in fila e vado al supermercato per fare il resto della spesa.Il fragore di un bombardamento non lontano, molto forte. Ogni singola persona nel mercato, incluso me, rimane immobile per un istante, come se qualcuno avesse schiacciato il tasto pausa su un telecomando, per poi schiacciarlo di nuovo. La gente ricomincia a fare quello che stava facendo, nessuno si ferma per vedere dove sia il bombardamento, visto che c’è un bombardamento ogni 5 minuti. … Sulla strada del ritorno abbiamo visto un’ambulanza e delle persone vicino ad una casa distrutta, vicino al cimitero che è a metà strada tra casa nostra e il mercato, a 300 metri da entrambi. Due corpi coperti giacevano sul ciglio della strada mentre dei paramedici stavano portando un altro corpo, deponendolo vicino agli altri due”. Poi le cose peggiorano, e alcune immagini non escono più dalla testa: come quella della mamma che continua a lavare, e a stendere ad asciugare, i vestiti del figlio di sei anni. Che è morto in un bombardamento, insieme al padre.

Sarà un pensiero ingenuo, certamente lo è: ma forse qualcosa cambierebbe se i commentatori televisivi che ogni sera pontificano sul diritto di Israele a difendersi, trattando da antisemita chiunque provi a parlare di questa strage senza fine, venissero a sentire due ore di queste storie. Forse dopo la smetterebbero di coprirla con la loro propaganda, forse capirebbero che i palestinesi sono proprio persone come noi: si nutrono del nostro stesso cibo, possono essere feriti dalle stesse armi, sono soggetti alle stesse malattie e curati dagli stessi rimedi. Sono persone: finché permetteremo che vengano uccisi tutti.