Prima di approdare in Liguria e occuparsi di banchine e concessioni d’oro, l’ex potente presidente dell’Autorità portuale finito in carcere è stato per anni il punto di riferimento a Roma del Consorzio per la costruzione delle dighe mobili

(di Alberto Vitucci  – lespresso.it) – Dalla Laguna al Mar Ligure. Da una Repubblica marinara all’altra. L’odore dei soldi viaggia con la brezza marina. E la cricca romano-veneziana del Mose lascia tracce anche nella città della Lanterna. Paolo Emilio Signorini, l’ex potente presidente dell’Autorità portuale finito in carcere per tangenti, si faceva pagare soggiorni, cene e casinò dalle imprese del porto. Un vizietto antico. Perché Signorini, prima di approdare in Liguria e occuparsi di banchine e concessioni d’oro, è stato per anni il punto di riferimento a Roma del Consorzio Venezia Nuova (Cvn) e del suo padre padrone, Giovanni Mazzacurati. Dal Cipe, dove Signorini era stato promosso dal suo mentore Ercole Incalza, arrivavano i finanziamenti per il Mose al Consorzio e ai suoi soci di maggioranza: Mantovani, Condotte, Fincosit-Mazzi. Dopo l’inchiesta del 2014 le imprese saranno travolte dai debiti e usciranno dalla compagine societaria lasciando il posto agli azionisti minori come Consorzio San Marco e Kostruttiva.

Negli anni d’oro i contatti tra Mazzacurati, Signorini e il suo capo Ercole Incalza, supermanager dei Lavori pubblici rimasto in carica per decenni, con cinque ministri di colore diverso, sono quasi quotidiani. Mazzacurati spinge e insiste perché sia proprio Signorini il candidato del governo alla presidenza vacante del Magistrato alle Acque, l’ufficio lagunare dei Lavori pubblici che dovrebbe controllare i lavori del privato in Laguna. «Lui andrebbe benissimo», insiste al telefono con Incalza e i burocrati romani.

Nell’ottobre del 2010, negli anni d’oro del monopolio incontrastato, l’ingegnere del Mose è in attesa che il governo gli sblocchi 1,2 miliardi di euro per andare avanti coi lavori. La grande opera è avviata, i ritardi e i prezzi aumentano, le critiche anche. Ma il progetto va avanti. Negli atti dell’inchiesta sul Mose, che nel 2014 ha portato in carcere 42 persone, Mazzacurati dice al telefono con una dirigente del ministero: «Basta una telefonata al dottor Letta, o fargliela fare da Signorini».

Quando Signorini va in vacanza in Toscana, soggiorno e spese sono a carico del Consorzio. «Paga il Consorzio, perché volevano fargli un presente», si giustifica Mazzacurati. Le camere sono fissate, il manager viene accolto all’uscita dell’autostrada e accompagnato a destinazione, ristorante incluso. «A Castagneto è difficile trovare posto», dice Mazzacurati, «vada a nome mio a Bibbona».

Signorini, che dalle Finanze farà carriera al vertice del porto più importante d’Italia, si occupa di grandi opere e portualità anche in quegli anni. Nel 2010 c’è sul tavolo il megaprogetto del porto d’altura da 3 miliardi di euro, sostenuto dal presidente del porto di Venezia Paolo Costa, ex sindaco di Venezia ed ex ministro dei Lavori pubblici. E anche qui la pressione a Roma è forte. Con Signorini lavora anche l’Avvocato dello Stato Marco Corsini, quello della ricostruzione del Teatro La Fenice, assessore della giunta Costa che voleva il metrò sotto la Laguna. Il Consorzio vuole inserire una parte dei lavori del porto offshore, che dovrebbe essere finanziato da operatori cinesi, nella voce «Opere complementari al Mose». La diga di protezione di 3,2 chilometri su fondali di 20 metri e le banchine le dovrebbe pagare lo Stato, per un totale di 100 milioni di euro. A Costa interessa partire subito con la progettazione, per la quale servono 5 milioni di euro. «Volevo capire se ’sti cinque erano pronti per partire», chiede Costa a Mazzacurati in un colloquio del 23 novembre 2010, «perché mi pare si siano fatti avanti dei soggetti molto molto interessanti».

Nello scandalo Mose Signorini non è stato indagato. Adesso deve rispondere a Genova di pesanti accuse sulle concessioni agli imprenditori del porto.