
(DI DONATELLA DI CESARE – ilfattoquotidiano.it) – Uno dei capisaldi intorno a cui, sin dall’inizio di quest’epoca di guerra, ruota la propaganda bellicista è la riduzione sistematica di ogni discorso sulla pace alla favoletta dei soliti buonisti. Ecco le “anime belle”, coloro che si pretendono candidi e puri, disarmati e incontaminati, ma che al dunque si rivelano incapaci di guardare in faccia la realtà, di operare sul corso degli eventi e mutarlo.
La favoletta dei buonisti si va riaffermando in questi giorni di concitata campagna elettorale, dato che le vecchie accuse sembrano ormai tutte cadute. Susciterebbe almeno ilarità dare del putinista o putiniano a chi, già due anni fa, aveva sollevato dubbi sul crollo imminente della Federazione Russa, sulla caduta ingloriosa di Putin, sulla magica e sfavillante vittoria dell’esercito ucraino, forte di armi e sostegno occidentali. I pacifisti avevano ragione su tutti i fronti. A parlare sono i fatti. E non è certo gradevole il ruolo delle cassandre inascoltate. Ma il paradosso è che quegli stessi che allora promuovevano la campagna di Russia con articoli boriosi e interventi altisonanti, ora si sono rimangiati tutto; fischiettano e fanno finta di nulla o, peggio, si impossessano delle parole dei propri oppositori. Dato che in questo Paese non ci sono tradizionalmente limiti a piroette ciniche, capriole impudenti, voltafaccia e ribaltoni di ogni risma, si può perfino condire qui e là il proprio eloquio in patria con le due sillabe “pa-ce”, per poi infilarsi l’elmetto in Europa, pronti all’invio continuo e moltiplicato di armi.
E i pacifisti? Quelli che sin dai primi giorni dell’invasione russa chiedevano trattative? Ebbene restano nel torto ontologico: sono miopi buonisti, antiquati cattocomunisti, neoperonisti seguaci del papa argentino, pericolosi esponenti di un francescanesimo militante, ecc. Gente che immagina di risolvere tutto a colpi di slogan, senza fare i conti con la “dura realtà”, quella della linea del fronte, degli eserciti che si combattono, dei metri guadagnati o persi. Il loro grande rimosso sarebbe la dura, inaggirabile realtà della guerra.
Senonché le cose stanno esattamente all’opposto. Le fiamme, i proiettili, le schegge di bombe, le sventagliate di mitra non hanno risolto nessun problema, né nelle pianure ucraine né nelle tendopoli desolate di Gaza. L’unico risultato è stato un numero spropositato di corpi umani immolati sull’altare del vetusto rito della guerra e del nuovo profitto tratto dalle armi. Non uno scontro di civiltà, bensì un incontro di interessi. Questo non ha nulla a che vedere con la politica il cui scopo, oggi più che mai, è quello di preservare le vite. Che cosa dovrebbe venire prima? La posizione dei pacifisti è dunque quella di chi ragiona, argomenta, analizza e considera le vie concrete e percorribili che può aprire una politica assennata, cauta, lungimirante. Abbiamo ancora sempre nelle orecchie quella propaganda gridata, gli insulti e gli attacchi personali che coprono ogni serio confronto. I pacifisti non si arrendono all’invio di armi, né credono alla favola (questa sì, favola) della guerra asettica e intelligente, condotta da qualche parte, magari in un cielo lontano, da dispositivi neutri e neutrali. La guerra è sempre sporca e sempre stupida. Soprattutto: non riguarda un cosmo lontano. Miete vittime continuamente e si avvicina a noi.
Perciò vogliamo parlare di prospettive e avere da coloro che si candidano per il Parlamento europeo risposte precise.
Come immaginano nel futuro prossimo il rapporto con la Russia? Lavoreranno per ristabilire i contatti venuti meno oppure ritengono che quella crepa, anzi quella cesura in territorio europeo, che passa per il Donbass, sia definitiva? E sarebbe anche opportuno che i vari candidati ci parlassero dei modi per salvare ciò che resta dell’Ucraina, per ricostruirla. Ci sarà – speriamo – un dopo Zelensky. E allora si pone necessariamente anche il problema dell’Europa. Mai se ne è parlato così poco. Segno del terribile degrado, culturale e politico. Ma sintomo anche di un grande disorientamento che investe anche una Unione europea che sembra disgregarsi e perdere definitivamente i propri obiettivi sotto i colpi della guerra e dell’avanzata ovunque della destra estrema. E vogliamo anche sapere da candidati e partiti come intendono rilanciare il ruolo, delicatissimo e indispensabile, dell’Europa in Medio Oriente. Che ne sarà dei sopravvissuti alla carneficina di Gaza? Ci sarà una sorta di protettorato arabo, saudita? Come vedono il futuro del popolo palestinese? E come si può sostenere quella parte, per quanto piccola, della società israeliana che si è opposta a Netanyahu?
Questi sono i temi di una politica della pace che vengono intenzionalmente aggirati da chi vuole continuare a far parlare solo di armi e a lasciare la parola solo alle armi.
Mi ricordo che la signora aveva idee abbastanza opposte, pacifista e pro trattativa Russia-Ucrania tanto da finire nella lista ingiuriosa dei “putinisti” ed agguerrita bellicista pro Israele.
Cosa vuol dire seguire il QUORE.
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Vero, Adri!
Si sarà redenta catalizzando tutta la sua esecrazione su Netanyahu?
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e dava dell’antisemita istigatore all’odio a Di Battista…
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Grazie a Franco per aver puntualizzato la posizione ambigua su Israele della docente.
Riporto qui un articolo illuminante su ciò che è realmente l’Europa nei rapporti con Israele: aberrante!
Chiara Cruciati
Ghassan Abu Sitta è medico chirurgo, britannico-palestinese, e rappresentante degli studenti nel consiglio di amministrazione dell’Università di Glasgow. Ha condotto missioni mediche in Palestina dalla Prima Intifada e operato in diversi teatri di guerra, Siria, Yemen, Iraq e Libano. Dopo mesi passati a lavorare come volontario negli ospedali di Gaza, da sabato è persona non grata in Europa: bando di un anno in tutta l’area Schengen.
Vorrei partire dalla sua storia. Lei stesso è un rifugiato, nato in diaspora. La sua famiglia fu cacciata dal suo villaggio in Palestina durante la Nakba dall’unità paramilitare Haganah e si rifugiò a Khan Younis, a Gaza. Mentre parliamo, 100mila palestinesi a Rafah hanno ricevuto un ordine di evacuazione dell’esercito. Stiamo assistendo a una nuova Nakba?
Quello a cui assistiamo è un genocidio che da sette mesi i paesi europei e gli Stati uniti proteggono perché possa proseguire. Quello a cui assistiamo è il fatto che i governi europei e la Ue hanno passato sette mesi a impedire che il genocidio venga fermato e a incrementare di dieci volte l’invio di armi a Israele così che non resti senza munizioni mentre ammazza. Rafah è un altro capitolo di questo genocidio, anche se gli stessi analisti militari israeliani dicono che non ci sarà alcun beneficio bellico se non un massacro. Quando diciamo genocidio come obiettivo di guerra, intendiamo questo: Rafah è un altro esempio del fatto che l’obiettivo militare è l’uccisione di palestinesi.
Ghassan Abu Sitta (foto Ap)
Fin dalla Prima Intifada ha portato in Palestina la sua esperienza medica. Lo ha fatto durante tutte le offensive militari degli ultimi vent’anni. Che differenza ha visto nelle pratiche militari israeliane del passato e del presente?
È la differenza che c’è tra un’alluvione e uno tsunami. L’offensiva di oggi è diversa in scala, dimensione, intensità da ogni altra guerra nella storia: la differenza sta nella distruzione sistematica del sistema sanitario come parte integrante della strategia militare. Non si era visto in nessuna guerra. Io ne ho viste molte e mai ho assistito alla distruzione della sanità come colonna portante dell’intero progetto. Perché l’obiettivo è rendere Gaza invivibile.
In cosa sono stati trasformati gli ospedali? Penso soprattutto allo Shifa, pilastro della società palestinese e archivio vivente del dramma di Gaza.
Lo abbiamo visto il 17 ottobre quando hanno colpito l’Al-Ahli. Poi hanno distrutto tutti gli altri ospedali. Hanno tramutato lo Shifa in una fossa comune, e lo stesso hanno fatto al Nasser di Khan Younis. Hanno ucciso in prigione il dottor Adnan Bursh, il capo di chirurgia ortopedica allo Shifa. La distruzione del sistema sanitario non passa solo per la distruzione degli edifici, ma anche per l’uccisione di oltre 400 medici, infermieri e paramedici e per l’incarcerazione di centinaia di loro. Passa per la loro liquidazione nelle prigioni israeliane. Lo Shifa, nello specifico, è la più grande istituzione di tutta Gaza. È la struttura più grande, il datore di lavoro più grande. Quando sei a Gaza e ti perdi, se chiedi indicazioni, ti rispondono usando lo Shifa come punto cardinale. Rappresenta il 30% dell’intero sistema sanitario. Fu costruito dai britannici durante il mandato, poi fu ampliato dagli egiziani, dall’Autorità palestinese sotto Arafat e poi da Hamas. È l’istituzione più antica. Per questo gli israeliani ne hanno fatto una fossa comune.
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La Corte internazionale di Giustizia ha avvertito del rischio di genocidio plausibile. A monte sta la devastazione di ogni forma di sussistenza e di vita: il sistema alimentare, il settore produttivo, la sanità, le reti elettriche e idriche ma anche il sistema educativo. Lei parla spesso dell’importanza dell’educazione nella formazione delle generazioni palestinesi, che hanno tra i livelli più alti di formazione scolastica e universitaria sia in Palestina sia in diaspora. Perché è tanto importante?
Per i palestinesi, e in particolare per la generazione di mio padre, quella sopravvissuta alla Nakba, l’educazione rappresenta la sola cosa che nessuno può portarti via. Quando la generazione di mio padre perse tutto, la rete sociale, le case, lo status sociale e si ritrovò rifugiata in quella che era una vera e propria morte sociale, l’educazione è stata centrale, nessuno poteva prendersela. E per tutte le generazioni palestinesi successive l’educazione è stata la cosa su cui investire. È per questo, per assicurarsi che i palestinesi non abbiano il senso del futuro, che l’esercito israeliano ha distrutto tutte e 12 le università di Gaza e ha ucciso un centinaio tra professori e rettori.
Il mese scorso avrebbe dovuto partecipare a un’iniziativa pubblica in Germania per parlare del suo lavoro a Gaza. Ma è stato detenuto all’aeroporto e deportato. E ora su di lei pesa un divieto di un anno che le ha impedito di entrare in Francia. Cosa è accaduto?
Quando mi hanno fermato in Germania mi è stato detto, a voce, che il divieto sarebbe durato per il solo mese di aprile e solo per il territorio tedesco perché l’obiettivo era impedirmi di partecipare a quella conferenza. Così, quando sono stato invitato a parlare al Senato francese, non avrei mai pensato essere bloccato all’aeroporto Charles de Gaulle. Sono rimasto scioccato nel sentire il funzionario dell’ufficio passaporti dirmi che la Germania aveva imposto un divieto di ingresso in tutta l’area Schengen fino ad aprile 2025.
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In molti paesi europei il dissenso è sempre più criminalizzato, fino a giungere a pericolosi apici di repressione. Qual è il clima in Gran Bretagna e in Europa?
Se in Europa sono gli stati a portare avanti la criminalizzazione, in Gran Bretagna lo fa l’apparato della destra: i giornali di Rupert Mardoch, le organizzazioni pro-Israele e così via. Nel mio caso, ed è l’opinione dei miei legali, la ragione per cui la Germania mi ha bandito dall’intera Europa è volto a impedirmi di tornare alla Corte penale internazionale all’Aja. Il procuratore Karim Khan, la scorsa settimana, si è lamentato della pressione che i governi europei esercitano sulla Corte perché non emetta mandati d’arresto per Netanyahu, Gallant e Halevi. Credo che nel mio caso l’obiettivo sia impedirmi di raggiungere l’Olanda. Ho già testimoniato ma mi richiameranno quando il caso diverrà un processo.
In un recente articolo su Progressive International Wire, lei scrive: «Gaza è il laboratorio a cui il capitale globale guarda per la gestione delle popolazioni in eccesso. (…) Le armi che Benyamin Netanyahu usa oggi sono le armi che Narendra Modi userà domani».
L’industria militare israeliana sta già pubblicizzando i prodotti usati sul campo. C’è una famigerata dichiarazione di uno degli amministratori delegati di una compagnia israeliana in cui dice di vivere a soli dieci minuti dal laboratorio. Il laboratorio è Gaza. Israele è in prima linea non solo nei robot-killer e nei software di riconoscimento facciale, ma anche nei quadricotteri. Sono i droni usati a Gaza, piccoli e con un fucile da cecchino, sono stati usati contro gli ospedali. Quando ero all’Al-Ahli, in un solo giorno abbiamo ricevuto 30 feriti da quadricotteri, giravano intorno all’ospedale e sparavano a chiunque provasse a entrare. Queste tecnologie e questa filosofia sono utilizzate contro la popolazione politicamente in eccesso, i palestinesi di Gaza ma non solo. Sono gli slum di Mumbai o quelli di Nairobi e San Paolo o i rifugiati che attraversano il Mediterraneo. O la popolazione del Kashmir dove la polizia indiana usa sempre più spesso le tecniche israeliane. C’è stato già un aumento negli ordini di armi israeliane usate in questa guerra, lo ha detto il ministero dell’economia di Israele. Nei prossimi anni vedremo quadricotteri in altri luoghi del mondo per «gestire» la popolazione in eccesso, i socialmente indesiderati.
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Grazie per il tuo contributo.
Avevo letto del medico espulso e tacitato.
Ho visto migliaia di video racconti dalla Palestina, sia girati dalle vittime sia dai carnefici (assai esplicativi il video delle truppe che si fomentano al grido di “uccidiamoli tutti” e ridono prima di entrare a Rafah).
Non siamo in un futuro distopico ma in un presente degli orrori. Nei decenni passati abbiamo accettato e appoggiato massacri ingiustificabili e quelli sono stati le basi per quest’accelerazione che viviamo.
La nostra società “civile”, e noi stessi, non siamo sufficientemente consapevoli e inorriditi per chiederne conto alle nostre istituzioni, per mobilitarci, per ribaltare lo status quo…..perché vogliamo tutelare il nostro “giardino” che ci raccontano “fiorito”.
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I giovani universitari che finiscono in prigione per una sacrosanta protesta siano di insegnamento a tutti noi, genitori che non sappiamo lottare per il futuro dei nostri figli…
Grazie
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Sono sconvolta dal tuo post, Facenmic… Sembra la descrizione letteraria di un futuro distopico😳😱
Invece è un presente disgustoso, inimmaginabile…
Cercheró di diffondere le informazioni su questo inaudito orrore.
Grazie.
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Grazie Anail,
l’articolo è del Manifesto che, assieme ad Avvenire, è il giornale che realmente sta affrontando senza peli sulla lingua il massacro che sta avvenendo con la complicità di tutti gli stati europei. Stessa serietà si trova negli articoli sull’Ucraina…tutta gente che parla da chi i luoghi dell’orrore li sta vivendo, non chiacchiere e teorie geopolitiche da talk show.
mi scuso per aver chiamato Franco Adriano.
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Non mi illuderei più di tanto a proposito di questa improvvisa revisione .Siamo a un mese dalle elezioni europee e l’ordine impartito dall’ alto mi sembra chiaro: ammorbidite le posizioni belligeranti. Ma dal 10 giugno ritorneranno gli elmetti e che elmetti ! Ci potete scommettere.
ps la De Cesare dovrebbe anche lei spiegarci il suo pacifismo a macchia di leopardo.
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se anche la di Cesare si comporta come la meloni sulle accise sui carburanti (fa un video dove critica questo tipo di prelievo e poi una volta al potere cambia completamente versione)vuol dire che siamo alla canna del gas! se solo avesse chiesto scusa per la sua posizione precedente!
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