(di Antonio Padellaro – ilfattoquotidiano.it) – Trovo vomitevole che Giorgio Zanchini – uno dei giornalisti della Rai più preparati, un modello nella conduzione di Radio Anch’io – sia costretto a difendersi dalla canea che gli è stata scatenata contro per avere chiesto alla senatrice di FdI, Ester Mieli: “Lei è ebrea?”. Una follia dove c’è del metodo. Oltre il contesto nel quale la domanda è stata posta il vero problema riguarda l’uso vessatorio di chi, da ambo i lati della barricata, si arroga il potere di giudicare e sanzionare qualsiasi pensiero o parola non contemplati nei catechismi autoprodotti della malafede e adoperati come dei nodosi bastoni con cui percuotere il prossimo.

Per essere più chiari mi rifiuto di delegare il mio antifascismo a qualche sinedrio officiante che, non si sa bene a che titolo, giudica e sanziona sulla pubblica piazza idee e valori di cui ciascuno dovrebbe rispondere come meglio crede. Così come trovo ridicolo e insultante il giochino opposto scatenato dalla gogna di destra, e dalla sua lunga coda di paglia, per pareggiare il caso Scurati.

Di tale devastazione del raziocinante a scopo depensante si ebbero i primi segnali quando, a proposito della guerra in Ucraina, ogni valutazione di merito doveva essere per forza preceduta dalla pensosa litania: “C’è un invasore e c’è un invaso”. A cui fecero seguito le liste di proscrizione dei commentatori non in linea pubblicate dagli autoproclamati organi del Bene.

La stessa occhiuta esplorazione del pensiero critico, tuttavia, tardò a scattare il 7 ottobre dopo lo scempio compiuto dai mostri di Hamas. Quando le successive stragi perpetrate a Gaza dal governo Netanyahu servirono come disgustosa copertura morale all’antisemitismo strisciante in una certa sinistra. Un rinnovato odio verso il popolo ebraico che i sepolcri imbiancati, e trasversali, preferiscono adesso occultare dietro lo scandalo beota per la domanda: “Lei è ebrea?”. Riuscendo a trasformare, essi, la parola “ebreo” in una parolaccia.