“La Costituzione deve essere presbite, deve vedere lontano non essere miope”.

(Stefano Rossi) – In questi giorni, più che mai, si parla tanto del carattere antifascista della Costituzione ma dove lo troviamo questo antifascismo?
Facciamo un passo indietro nel tempo e vediamo come è nata la Costituzione.
Nell’ottobre del 43, Vittorio Emanuele III, informava la commissione alleata di controllo che la Camera dei deputati avrebbe discusso sulle nuove forme di governo e anche quella di darsi una costituzione diversa dallo Statuto albertino, visto come andarono i fatti precedenti.
Il 28 gennaio 1944, a Bari, si riunirono i Comitati di Liberazione Nazionale per discutere del futuro dell’Italia che rimaneva ancora divisa: si combatteva ancora tra partigiani e repubblichini ed erano presenti le truppe degli Alleati.
Si tenga conto che, la strage delle Fosse Ardeatine, è del 24 marzo 1944.
Il congresso terminò con la dichiarazione che Vittorio Emanuele doveva abdicare e che, attraverso un referendum, si doveva decidere se mantenere la monarchia o votare la forma repubblicana.
Nell’aprile del 1944, a Salerno, Togliatti, rientrato dall’esilio, seguì il consiglio (o l’ordine?) di Stalin di entrare nel governo Badoglio che si insediava a Salerno sino alla liberazione di Roma, ancora assediata dalle truppe tedesche.
La decisione di Togliatti, di far parte del governo Badoglio, passò alla storia come la “svolta di Salerno” per via del fatto che, tutti i partiti antifascisti (Partito Comunista, Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria e Partito d’Azione, Democrazia Cristiana, Democrazia del Lavoro e Partito Liberale), non volevano farvi parte. Così, entrato Togliatti, gli altri si sentirono in dovere di farvi parte lasciando in disparte i risentimenti. Ne fecero parte anche alcuni partiti che formavano i CNL.
Il governo Badoglio ebbe vita il 25 luglio 1943, per gestire le fasi finali della guerra, quindi, dell’armistizio con gli Alleati nonostante i suoi trascorsi con Mussolini e il regime fascista.
Il partito comunista, quello socialista e quello d’azione ritenevano ineludibile il superamento della monarchia. Le posizioni democratiche e liberali, dentro il CLN, erano, invece, nel segno di un rinvio della questione monarchica; ciò che ritenevano prioritario era la costituzione di un governo di esponenti non legati al fascismo, con l’abdicazione del Re; il quale non mostrava, dal canto suo, né l’intenzione di abdicare, né quella di favorire la formazione di un governo politico.
Essendo Roma occupata dagli Alleati, a partire dall’11 febbraio 1944 il governo Badoglio si era trasferito a Salerno.
I lavori di Salerno furono aperti da Benedetto Croce, antifascista, monarchico, storico, filosofo, scrittore, tutt’altro che vicino alle idee di sinistra.
Da quanto emerse a Bari e Salerno, dalla mediazione di Enrico De Nicola, Vittorio Emanuele III abdicò a favore del figlio Umberto, quale Luogotenente, e non del nipote minorenne come voleva tutta la sinistra.
La luogotenenza nasceva con pieni poteri, per quanto mitigata dalla controfirma ministeriale, ma sotto i peggiori auspici: erano troppe diffuse le critiche ai Savoia per la complicità al fascismo, alle leggi razziali, alla loro repentina fuga durante la caduta di Mussolini.
Il governo militare Badoglio restò in carica fino al 17 aprile 1944; nel 22 fu insediato il secondo governo Badoglio. Nel giugno del 44, con la liberazione di Roma, si insediava il governo Bonomi, il quale chiese, ed ottenne, che venisse cambiata la formula del giuramento dei ministri e che si sarebbe formata una Assemblea costituente per la redazione di una nuova costituzione.
Bonomi era ben visto da tutti: il Luogotenente Umberto di Savoia, gli Alleati e molte forze politiche che gli riconoscevano la sua moderazione e il suo tatto diplomatico. Si dimise quanto il CNLAI liberò tutta l’Italia Settentrionale dalle forze naziste e fasciste.
Le forze politiche che emersero subito dopo la fine della guerra erano la Democrazia Cristiana, il Partito Socialista e il Partito Comunista, tutti e tre lontani dai valori risorgimentali e ideologicamente immuni dal mantenere inalterati gli istituti dello Statuto albertino; erano pertanto più portati ad un cambiamento della compagine statale rispetto ad altri partiti.
Con il decreto legislativo luogotenenziale, 16 marzo 1946, n. 98, si indisse il Referendum per scegliere la forma dello Stato che si andava formando, cioè, repubblicana o monarchica, e la costituzione di una assemblea per scrivere una costituzione.
Dopo la proclamazione della Repubblica, venne eletto il primo Capo dello Stato, Enrico De Nicola, simpatizzante per la monarchia.
Poco dopo venne formata la “Commissione dei 75”, così chiamata, perché formata, appunto, da 75 costituenti che dovevano redigere la costituzione della neo Repubblica.
Presidente Meuccio Ruini, del Partito Democratico del Lavoro, acerrimo nemico del fascismo.
La Commissione si divise i compiti così:
1. diritti e doveri dei cittadini, presieduta da Umberto Tupini (DC);
2. organizzazione costituzionale dello Stato, presieduta da Umberto Terracini (PCI);
3. rapporti economici e sociali, presieduta da Gustavo Ghidini (PSI).
Nessun parlamentare, nessun membro dei costituenti appartenevano ad un partito di ispirazione fascista.
Il MSI nacque alla fine del 1946, ma il primo membro entrò nella Costituente nel febbraio 1948, quando la Costituzione era già stata emanata.
Durante i Lavori Preparatori e, quindi, nella codificazione dei 139 articoli della Costituzione, non si rese necessario rimarcare il carattere “antifascista” della Carta costituzionale per il semplice motivo che i suoi Principi Fondamentali (i primi 12 articoli), e i successivi, indicano diritti e libertà che furono soppressi durante il fascismo.
Giustamente, il grande Piero Calamandrei, che faceva parte dei 75 costituenti, ebbe a spiegare: “Secondo me è un errore formulare gli articoli della Costituzione con lo sguardo fisso agli eventi vicini, agli eventi appassionati, alle amarezze, agli urti, alle preoccupazioni elettorali dell’immediato avvenire in mezzo alle quali molti dei componenti di questa Assemblea. La Costituzione deve essere presbite, deve vedere lontano non essere miope”.
Chi scrisse la Costituzione aveva un compito altissimo, unico, ben descritto dal discorso di Giuseppe Saragat, fatto proprio dal presidente Ruini all’inizio dei lavori: “Voi eletti dal popolo, riuniti in questa assemblea sovrana, dovete sentire l’immensa dignità della vostra missione. A voi tocca dare un volto alla Repubblica, un’anima alla democrazia, una voce eloquente alla libertà. Dietro a voi sono le sofferenze di milioni di italiani, dinnanzi a voi le speranze di tutta la nazione. Fate che il volto di questa Repubblica sia un volto umano”.
Animati da uno spirito cavalleresco che oggi si fa fatica solo a capirlo, oltre che a descriverlo, non potevano rinfacciare a una parte della popolazione la scelta di aver aderito alla Repubblica di Salò o a quella di resistere ai partigiani.
Bisognava guardare al futuro. Oggi, tutto questo, purtroppo, sembra difficile da capire.
E tra coloro che non lo hanno capito troviamo l’attuale presidente del Senato, Ignazio La Russa, il quale, candidamente, disse che la Costituzione non è antifascista perché, questa parola, non c’è nei 139 articoli.
Non ci doveva essere. Non era necessario. Sono i suoi Principi Fondamentali come il riconoscimento dei diritti fondamentali dell’uomo, la libertà di stampa, l’uguaglianza tra i popoli, la libertà di espressione, di associarsi, di essere uguali di fronte alla legge senza alcuna distinzione di sesso, etnia e opinioni politiche a rendere antifascista la Costituzione.
Sbaglia chi ricorda la XII Disposizione sul divieto di ricostituzione del partito fascista. Questa è il corollario di quanto stabilito dai primi 12 articoli della Costituzione.
L’antifascismo è in tutti i Principi Fondamentali.
Se poi si è affetti da ottundimento, si può ricordare il famoso dialogo tra Vittorio Foa, uno dei 75 costituenti, ebreo, socialista, con Giorgio Pisanò, deputato del MSI: “I morti sono morti: rispettiamoli tutti. Ma se si parla di quando erano vivi, erano diversi. Se aveste vinto voi, io sarei ancora in prigione. Siccome abbiamo vinto noi, tu sei senatore” (ricordato in una intervista alla storica Isabella Insolvibile).
Concludo questo breve excursus sulla storia della Costituzione, ricordando le parole di un parlamentare proferite al Senato il 29 novembre 1961, in merito al DDL per lo scioglimento del partito MSI.
Sen. Lussu: “Io ricordo a tutti che In Francia, nella Francia di De Gaulle e non nella Francia di Thorez, dei cittadini, privati della nazionalità francese subito dopo la Liberazione, sono tuttora privi della nazionalità; e alcuni grossi fascisti sono stati messi alla gogna e vi stanno tuttora. Ma noi siamo stati di manica larga. … E alcuni
di quegli esponenti stessi dai quali io sono stato attaccato e aggredito, personalmente o per interposta persona familiare, hanno chiesto a me indulgenza! Ed io ho creduto che fosse necessario, civicamente necessario, concedergliela. E quanti rimproveri vengono a noi dalla Resistenza, dai nostri compagni di ogni parte d’Italia, per la pensione che, qui al Senato, per primi abbiamo accordata agli invalidi, ai mutilati e alle famiglie dei militari caduti della Repubblica di Salò. Ebbene, nonostante tutto, io ritengo che non potevamo agire che così come abbiamo fatto, perché abbiamo pensato che non si potessero mettere sullo stesso piano padri e figli e condannare I figli per i delitti dei padri, e perché abbiamo ritenuto che fosse umanamente e politicamente estremamente difficile discernere i volontari fanatici dagli altri, presi in massa ed obbligati a combattere. Credo che sia stata una nostra azione giusta.
E quanti rimproveri adesso, in questi giorni, ci muovono perché nel Congresso dell’Associazione nazionale dei mutilati e degli invalidi tenutosi a Trieste e terminato l’altro giorno, gli invalidi e i mutilati della Repubblica di Salò sono stati ammessi nella Associazione!
Alla base di quelli che appaiono e che sono, in parte, nostri errori, c’è il nostro giudizio, che è oggi quello di ieri, il giudizio sul fenomeno fascista, il quale non è un fatto personale, individuale, chiuso nella famiglia, staccato dal rione, ma è un fatto generale, collettivo, nazionale, fatto psicologicamente e politicamente collettivo, inserito nel contesto della crisi successiva alla prima guerra mondiale. Fenomeno psicologicamente e politicamente collettivo, per cui la persona scompare, e fenomeno di reazione di classe, alimentato, sostenuto, finanziato dagli agrari, dal capitalismo industria e da buona parte della massoneria, senza di che il fascismo non avrebbe potuto affermarsi mai. …
Questo Stato democratico creato dalla Resistenza è il nostro Stato? Lo accettiamo noi questo Stato? Certamente, perché questo Stato è opera nostra, e opera nostra in maniera anche determinante. Ma il fascismo non lo accetta e non lo può accettare, perché non è opera sua, anzi è opera fatta contro di lui. …
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Se avessero fatto piazza pulita dei fasci sarebbe stato MOLTO MEGLIO, mentre invece abbiamo avuto pure l’amnistia Togliatti. Alla fine del 1946 ti spunta fuori l’MSI e quest’oscenità è stata tollerata, come se in Germania fosse rispuntato il partito nazista appena nel dopoguerra.
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La soluzione è semplice: gli diamo la cittadinanza ucraina e il problema è risolto.
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Visto il tenore del dibattito, il 25 aprile sembra un remake di Peppone e Don Camillo
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Buongiorno,
articolo utile da un punto di vista segnatamente storico.
Le conclusioni o presunte tali lo sono un po’ meno.
Perchè imbarca i figli dei padri che non sono responsabili dei delitti commessi dagli stessi padri, e tramite loro de facto perdona gli assassini.
Vittorio Foa lo dice in nell’intervista storica colo accennata e l’articolista salta qualcosa di enorme che venne DOPO anni dall’aministia voluta da Togliatti.
Lotta Continua e un numero grande di Associazioni, consigli di fabbrica, semplici cittadini raccolsero le firme necessarie per creare una legge che sciogliesse il MSI.
La presentò al Parlamento dove la Democrazia Cristiana aveva usato il MSI come stampella in più occasioni.
Diversi affiliati del MSI, furono responsabili di numerosi attacchi squadristici contro ragazzi figli di altri padri, figli che grazie a quegli attacchi furono feriti, in diversi casi persero la vita.
Fu il PCI nella persona di Enrico Berlinguer che si rifiutò di approvarla sostenendo che se fosse stato sciolto il MSI, i suoi affiliati si sarebbero trasformati in attentatori “nascosti” mentre così erano “visibili”.
Da quel momento i morti aumentarono e sempre lo stesso PCI ed Enrico Berlinguer fecero finta che si trattasse di “estremisti opposti” perchè i morti “di sinistra” oltre che essere un numero maggiore insieme ai feriti erano della sinistra extraparlamentare cioè non legati al PCI.
Poi improvvisamente quando ci furono due morti collegati al PCI di cui ucciso perchè leggeva l’unità esposta al di fuori di una sede del PCI divenne problema importante fino al varo della legge del finanziamento pubblico dei partiti che smascherò il finto “perdonismo” perchè allora oltre all’amnistia, venne anche garantito il finanziamento del nuovo corso degli squadristi.
Almirante, assassino di partigiani graziato dall’aministia, ripagò platealmente i “favori” andando a fare omaggio alla salma esposta di Berlinguer a Botteghe Oscure tra le migliaia di persone attonite per la di lui presenza accompagnato da destinato futuro “delfino”, Gianfranco Fini.
Come al solito, oramai è classico, si racconta la storia a metà quando va bene.
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