(Stefano Rossi) – Dopo quelle di Michele Serra e Aldo Cazzullo, è il turno di  Massimo D’Alema.

Dopo un periodo di oblio, per via dello scandalo della vendita di armi, ritorna in tv blindato, senza contraddittorio, protetto da due, che se la intendono allo stesso modo in politica, come Massimo Gramellini e Roberto Vecchioni.

D’Alema, nella trasmissione “In altre parole”, sabato scorso, ha esordito alla grande: “Evito il greco (perché lui, notoriamente, parla greco) … l’Impero romano ha avuto lo stesso problema che ha oggi l’Europa…nel II secolo i romani registrarono una crisi demografica …si resero conto che si facevano meno figli … l’età media cresceva ecc., e si aprì un dibattito nella classe dirigente romana che, per fortuna, Roma, aveva una classe dirigente … su come garantire la continuità dell’imperoi romani decisero di estendere la cittadinanza romana a tutti quelli che nascevano nei confini dell’impero”.

Massimo D’Alema ricordava poi l’editto di Caracalla, citato più volte a vanvera da Michele Serra e Aldo Cazzullo, per concludere che, gli antichi romani erano molto più aperti di noi ad accogliere gli stranieri se è vero che, con quell’editto, venne estesa la cittadinanza a tutti i cittadini dell’impero.

Non pago della fesseria che aveva detto poco prima, precisava che, tra coloro che polemizzavano con l’imperatore (sempre secondo lo sproloquio di D’Alema), c’erano i “conservatori” quelli che ipotizzavano il rischio che, prima o poi, gli stranieri potevano diventare senatori o imperatori.

Niente di più falso! Niente di più sbagliato!

Banalizzare in questo modo secoli di storia e di leggi sull’immigrazione è davvero disarmante da uno che è stato pure presidente del Consiglio.

Preliminarmente, Caracalla era un barbaro e prima di lui c’erano già stati imperatori stranieri. Inoltre, al tempo di Caracalla, il senato non contava nulla e poteva essere formato da tutti i barbari e non se ne sarebbe accorto nessuno.

L’editto dell’imperatore Marco Aurelio Severo Antonino Pio Augusto, detto Caracalla, è del III secolo e non del II. Particolare importante se si vuole capire il motivo di tale editto. Nel III secolo d.C., vi fu una crisi profonda nei rapporti tra l’imperatore, il senato e i ranghi maggiori dell’esercito. Non è un caso che, in 50 anni, si registrarono ben 21 imperatori. Spesso, per essere acclamato imperatore era sufficiente elargire somme di danaro ai generali più importanti. Salvo poi finire ucciso da uno di loro.

La crisi fu tale che in alcune regioni africane si elesse un secondo imperatore, per dire, come l’impero, ai tempi di Caracalla, stava già paurosamente sbandando verso una crisi che portò, meno di due secoli dopo, alla sua definitiva caduta.

Molte tribù barbare, anziché finire sotto il gioco degli Unni, preferirono oltrepassare il limes occidentale finendo per combattere con l’esercito romano. Ne è prova che, l’impero romano d’Oriente, invece, durò un millennio in più.

Se proprio la vogliamo dire tutta, tra le cause della fine dell’impero, ci sono la massiccia presenza di barbari tra le file dell’esercito, spesso più inclini ad allearsi con i “nemici” barbari che con i romani, a imperatori barbari, come Caracalla, ad una pressione fiscale insostenibile.

Ma poi, “i romani registrarono una crisi demografica”, ma come???

C’erano forse gli uffici demografici? C’era forse l’Istat? È vero che in alcune città come Roma si contavano i cittadini e gli stranieri ma nella gran parte dell’impero nessuno, nemmeno l’imperatore, sapeva quale fosse l’andamento demografico perché non gliene poteva importare nulla di quanti fossero se non per ragioni fiscali.

Attraverso lo sviluppo dell’agricoltura, sappiamo che la popolazione era largamente presente anche in zone assai remote e impervie. Ma i censimenti, ripeto, riguardavano il fisco, quindi, venivano escluse molte categorie di persone. I documenti di allora sono andati persi e le uniche fonti sono gli scavi archeologici che, per definizione, non possono essere attendibili per questo genere di ricerca.

È pur vero che si registrò un calo demografico tra la fine dell’Alto Impero e l’inizio del Tardo Impero ma questo fu dovuto alle numerose guerre, non solo espansive, ma necessarie per mantenere integri i confini, poi carestie e pestilenze fecero il resto.

Ai romani non poteva preoccupare il calo demografico che solo noi, oggi, ne siamo consapevoli. Quello che interessava, ai tempi di Caracalla, erano le finanze imperiali che dovevano sovvenzionare le numerose spedizioni militari per tutelare i confini divenuti troppo ampi.

Poi c’erano milioni di schiavi che non venivano conteggiati. Cesare ne vendette un milione dopo la campagna in Gallia. Per quanto il numero degli abitanti dell’impero sia sempre stato approssimativo, gli storici, concordano nel dire che gli schiavi erano di gran lunga superiori (di molti milioni) rispetto ai liberi e agli alleati.

Poi, la questione più importante: Caracalla, con quell’editto, non estese la cittadinanza ma la sudditanza. Non esistevano più i civis romanus da più di un secolo. Lo status civitatis aveva lasciato il posto alla sudditanza. Si tenga conto che Giulio Cesare fu divinizzato alla sua morte e Ottaviano, primo imperatore, divenne Augusto da “auge”, termine che indicava gli dei.

Tutti i diritti, di fatto, furono annientati da un potere assoluto che esautorò financo il senato. Figuriamoci che, al tempo del primo imperatore, molte ville dei più importanti politici e consoli romani, vennero confiscate e abbattute per costruire la Domus Augustea.

Potevano rimanere in vigore i diritti dei cittadini romani?

Caracalla non fece altro che estendere l’obbligo a tutti i sudditi di pagare le tasse per rimpinguare le casse imperiali. Questa è la risposta largamente condivisa dalla stragrande maggioranza degli storici.

Infine, ma questo lo sanno solo chi ha studiato il diritto Romano, i romani non furono mai teneri con il peregrinus (straniero). Anzi, una delle cause della schiavitù era proprio quella di essere uno straniero che poteva essere catturato da un romano.

Ma Massimo D’Alema viaggia troppo alto tra vigneti, barche e armi da vendere.

Che ne può sapere di queste quisquiglie?

La sinistra continua a diffondere queste fake ammaliate da storielle (“Se vogliamo continuare ad essere un impero dobbiamo integrarci, dobbiamo aprirci” continuava a vaneggiare di storia in trasmissione) per convincere che l’unico modo per risolvere il calo demografico è quello di sostituire gli italiani con gli stranieri. Cioè, non ci provano nemmeno ad ipotizzare una politica più sostenibile per le classi più abbienti e per le famiglie.

Quasi, quasi sembra vera lo slogan di Grillo “Uno vale uno”.

In effetti, a sentire D’Alema, per fare il professore universitario alla cattedra di diritto Romano, basta entrare al bar dello sport e prendere il primo a caso.