(Stefano Rossi) – Ieri sera, a “Piazzapulita”, Formilli Paolo Mieli si sono adoperati per diffondere l’appello, lanciato qualche giorno fa da Libération, per difendere il Prof. Luciano Canfora, noto storico, il quale, è stato querelato da Giorgia Meloni per averla definita “neonazista nell’anima”.

Sul punto, si trovano diverse sentenze, ma io ne riporto una che merita di essere scolpita sul marmo di Carrara perché, ne sono sicuro, è pietra miliare per altri casi simili. Una vera perla sul piano storico e giuridico.

Cass. Pen., Sez. V, sent. 8.1.2010, n. 19449.

La Corte annulla la sentenza di secondo grado, mandando assolto chi aveva dato del “nazifascisti” e “neonazisti” ai militanti di Forza Nuova, ma vediamo il ragionamento.

Scrive la Corte: “Il segretario di Forza Nuova non nega l’adesione della associazione e dei suoi aderenti all’ideologia fascista; nega la fondatezza storica dell’identificazione (“frutto di ignoranza storica”) dell’identificazione del fascismo con il nazismo: il querelante afferma che una cosa fu il fascismo, un’altra fu il nazismo”.

Il problema, ai fini del decidere, è se l’accostamento, fascista/nazista, abbia una matrice storica e probatoria rilevante, ovvero, sia un accostamento ai fini della denigrazione e diffamazione (sintetizzo lunghi passi della sentenza).

Nonostante la fine del regime fascista, sono sopravvissute associazioni e organizzazioni politiche che, come Forza Nuova, si ispirano a questa ideologia e che, come nel caso in esame, pretendono di tutelare la propria identità politica.

Venendo al punto centrale della doglianza della parte civile (diffamazione derivante dalla negata diversità fascismo/nazismo e dalla conseguente attribuzione all’associazione Forza Nuova del consenso per le scelte razziste del nazismo), il giudice deve quindi affidarsi alla storiografia che ha ricostruito proprio la politica italiana dinanzi alle scelte dell’alleato tedesco con particolare riguardo alle scelte del potere legislativo e del potere esecutivo nel campo dell’antisemitismo, della cosiddetta Shoah[…]

La diversità del fascismo nella politica antisemita è pacificamente riconosciuta all’atteggiamento del governo italiano rispetto ai primi provvedimenti della Germania.

Il 29 marzo 1933, circa due mesi dopo l’ingresso di Hitler nella Cancelleria, il partito nazista pubblicò il famoso proclama contro gli ebrei, che non ottenne ufficialmente alcuna reazione positiva, da parte del governo italiano; negli anni immediatamente successivi, l’idea di un antisemitismo di Stato fu lontanissima dalle sue scelte.

È storicamente incontestabile, però, che la politica dell’antisemitismo fu introdotto nella strategia del regime, nel momento in cui il governo decise che, per rendere più forte l’alleanza italo-tedesca, era necessario eliminare ogni contrasto con la Germania: l’antisemitismo aveva un posto troppo determinante nell’ideologia nazista perchè un alleato non dovesse … adeguarsi sotto il profilo politico e normativo. A questo punto, gli storiografi non lasciano spazio a dubbi e incertezze, basandosi su un’incontestabile documentazione istituzionale. Si giunse, infatti, al R.D. 17 novembre 1938, n. 1728 (pubblicato nella G.U. n. 264 del 19.11.1938), considerato la magna charta del razzismo italiano, che traduceva in norme di legge le decisioni del Gran Consiglio del fascismo del 6 ottobre precedente.

Al Capo primo (Provvedimenti relativi ai matrimoni), all’art. 1, era previsto il divieto per il cittadino italiana di razza ariana di contrarre matrimonio con persona appartenente ad altra razza; negli articoli seguenti erano previste le sanzioni per i trasgressori.

Al capo secondo (Degli appartenenti alla razza ebraica) erano previste la nozione di persona di razza ebraica, le limitazioni alla capacità di agire dei componenti della popolazione ebraica (incapacità di esercitare l’ufficio di tutore o curatore di minori;

di essere proprietari o gestori di aziende interessanti la difesa della Nazione e di aziende che impieghino cento o più persone; di essere proprietari di terreni e fabbricati di valore superiore a determinati limiti, di avere alle proprie dipendenze, in qualità di domestici, cittadini italiani di razza ariana); la possibilità di privare il genitore di razza ebraica della patria potestà, qualora impartisca educazione non confacente ai principi religiosi e ai fini nazionali.

Viene poi ricordato che la Repubblica Sociale Italiana aggravò questa politica con ulteriori provvedimenti (“la caccia all’ebreo, condotta nella R.S.I., con sistematicità tedesca e con l’ausilio italiano, costituito dagli elenchi redatti dalle questure, a partire dal 1938”). Infatti, venne istituito l’unico lager italiano, per gli ebrei, tra la Risiera di San Sabba, lo Stalag 339.

Quindi, dopo aver accertato, sul piano storiografico, lo stretto rapporto, giuridico, politico, militare tra i due regimi, i giudici passano alle conclusioni finali del ragionamento.

Il necessario e ineludibile esame di questi dati elaborati dalla storiografia rende evidente l’impossibilità di riconoscere fondamento alla pretesa del querelante di rivendicare la qualità di fascista depurata dalla qualità di razzista e incontaminata dall’accostamento al nazismo. Questa impossibilità deriva dalla documentata posizione del fascismo italiano nella questione ebraica, fatta di stretta collusione teorica con la dottrina nazista e di stretta collaborazione operativa con le forze militari naziste presenti nel territorio italiano nella caccia all’ebreo”.

Ora, appare chiaro quale doveva essere la decisione dei giudici di legittimità, i quali, sono andati oltre nel voler chiarire, o rinfacciare, sul piano più prettamente fattuale, certi comportamenti che ancora oggi sono smaccatamente presenti in alcuni settori della destra e che, con questa sentenza, si ritorcono contro essi stessi.

Il termine nazifascista disegna pienamente questa osmosi politica e militare tra ideologie, che, nate con radici diverse, si unirono nella volontà e nell’azione di razzismo antisionista. E’ indubbio l’estremo rilievo dell’individuazione di un atteggiamento nuovo negli aderenti all’associazione, che, attraverso il segretario F., si ritengono diffamati dalle parole (nazifascismo locale, raduno razzista e nazista) di cui all’imputazione (atteggiamento che è riscontrabile invece in larghi settori provenienti dalla medesima area politica). Non risulta dagli atti la sussistenza di ufficiali dichiarazioni e di impegnativi propositi programmatici dimostrativi dell’odierna differenza e dell’odierno ripudio degli aderenti all’ideologia dell’associazione, nei confronti della cultura e della politica da cui è nata la legislazione antiebraica del passato e da cui promana il razzismo antisionista del presente, tali da rendere attualmente non vere e fattualmente infondate le espressioni critiche usate dall’imputato C.”.

Poi una critica ai giudici della sentenza cassata e un monito a quelli che dovranno in seguito giudicare casi simili.

Il ragionamento probatorio, secondo cui mancano le prove della verità degli eventi da cui hanno preso spunto le critiche dell’imputato, disconosce la sussistenza di questi eventi che sono attestati da atti ufficiali delle istituzioni, che rientrano nel comune sapere dei cittadini italiani e che non possono e non devono essere disconosciuti all’interno di questo processo.

Ora, questa sentenza è stata emessa per un caso riguardante Forza Nuova, movimento politico, tramutato in partito politico di estrema destra, che si rifà a simboli, slogan e propositi tipici del partito fascista. Sono note le posizioni xenofobe, omofobe, antiabortiste, negazionisti della Shoah, antisemiti, contro il divorzio e unioni di fatto. Le Digos, quando procedono alle perquisizioni nelle abitazioni di alcuni di Forza Nuova sequestrano armi e simboli del nazismo.

Giorgia Meloni non ha nulla a che fare con questi fatti, però, di recente, ha avuto l’occasione per prendere distanze siderali da questo mondo oscuro, che financo riteneva un complotto la pandemia Covid.

Quando scoppiò il caso dei saluti fascisti (non capisco perché chiamarli “romani”), Giorgia Meloni non disse una sola parola. E’ vero, la destra di Fini e quella di Meloni si è da tempo allontanata da quel mondo estremo ma lo ha fatto in silenzio senza nessuna dichiarazione ufficiale.

Quella era l’occasione per prendere le distanze e far capire le differenze. Addirittura gira uno screenshot, di un tweet, falsamente attribuito a Giorgia Meloni che così recita: “La tragedia di Acca Larenzia non può essere pretesto per manifestazioni nostalgiche che una Destra moderna rifugge con nettezza. La Nazione è una e democratica. Il Governo si riconosce nella Costituzione e la difenderà da qualunque estremismo. Nessun fraintendimento è possibile”.

Sulla pagina ufficiale della Meloni, questo tweet non è mai comparso. Forse, molti di destra si sono sentiti in dovere di fare quello che avrebbe dovuto fare, da tempo, Giorgia Meloni.

Con quel tweet, forse, il Prof. Canfora sarebbe stato condannato.

Così, allo stato dell’arte, rimane un dubbio: che il fraintendimento è possibile ancora oggi per una destra che deve fare i conti con il passato.

————————

Mi permetto, infine, di regalare una chicca.

Con, la, Sent. n. 8566/2013, la Corte di Cassazione Civile, Sez. III, definì il caso di Eric Priebke, capitano delle SS, definito “boia” da un giornalista.

Quel criminale nazista fu uno degli esecutori della Strage delle Fosse Ardeatine.

I giudici, nello scrivere la sentenza, si saranno strofinate le mani: “La corte di appello di Roma, investita del gravame proposto dal P. per il tramite del suo tutore, avv. ************** – essendo egli stato condannato all’ergastolo – lo rigettò, osservando come la definizione tecnico/linguistica del termine “boia” – e cioè “colui che ha l’ufficio di eseguire le sentenze di morte” – corrispondesse esattamente all’attività svolta dal P. nel corso della seconda guerra mondiale.

Il ricorso è palesemente infondato”.

Se sei un boia, giusto chiamarti boia!