La vittoria di Alessandra Todde in Sardegna è la notizia che in tanti aspettavamo: è la dimostrazione che si può costruire un’alternativa vincente a questa destra dei […]

(DI TOMASO MONTANARI – ilfattoquotidiano.it) – La vittoria di Alessandra Todde in Sardegna è la notizia che in tanti aspettavamo: è la dimostrazione che si può costruire un’alternativa vincente a questa destra dei manganelli. Ed è la vittoria di un modello in cui la geometria dell’alleanza è una parte importante, ma non certo l’unica. Pd e Movimento 5 Stelle devono stare insieme: ma il punto è: quale Pd, e per fare che cosa.

L’arrivo di Elly Schlein alla guida del partito non è stato (ancora) seguito da un vero cambiamento del Pd, in cui coabitano di fatto due partiti con visioni della società e del futuro pressoché antitetiche. C’è il Pd sistema di potere ossificato nei territori, e culturalmente vicino a Renzi (quello incarnato da Bonaccini), e c’è un altro Pd, che vorrebbe governare non per tenere tutto com’è, ma per cambiare. A dire di quale Pd si tratti, di volta in volta, sono i programmi elettorali, ma ancora di più la biografia del candidato, o candidata. In Sardegna, la scelta di Todde non è stata importante tanto per la sua appartenenza al Movimento 5 Stelle, quanto per il suo evidente significato di cambiamento, direi quasi antropologico. E di cambiamento in meglio, cioè nella direzione di una attuazione del progetto della Costituzione.

Non tanto un “campo largo”, dunque (anche perché le erbe infestanti dei vari ‘centrini’ opportunisti lo infesterebbero irrimediabilmente), ma un campo progressista, un campo giusto. Un campo in cui coltivare la pianta del cambiamento.

Prendiamo il caso di Firenze, che mi sta particolarmente a cuore. Qua la dirigenza Pd è in perfetta continuità con la visione di Renzi: Dario Nardella (aspirante vice di Bonaccini al Nazareno, contro Schlein) è a Palazzo Vecchio come consigliere comunale da venti anni, e al governo della città da quindici (tra vicesindaco di Renzi e sindaco in proprio). E ora ha imposto una sua candidata (l’assessora della sua giunta Sara Funaro) come candidata alle Comunali del 9 giugno: nel segno della più grigia continuità. Funaro ha pensato bene di dichiarare letteralmente che l’unica discontinuità possibile a Firenze è la destra. Ma siccome invece qua c’è davvero moltissimo da cambiare (a cominciare dalla spaccatura tra la città vetrina svenduta al turismo e le periferie lasciate sole) se il Movimento 5 Stelle, contro la sua stessa natura, si facesse risucchiare in questa conservazione dello stato delle cose, prenderebbe meno del 2%.

Ma il vento sardo può cambiare le cose: riaprire giochi che parevano chiusi. Se Elly Schlein e Giuseppe Conte ascoltano la loro base, e scelgono di provarci, si può aprire un confronto con le forze che Firenze la vorrebbero cambiare davvero: e da lì costruire un progetto, e poi una coalizione che scelga una candidata o un candidato sindaco “alla Todde”. Cioè fuori dagli usurati giochi della politichetta fiorentina, dal giro degli amici, dalla rete delle clientele. Qualcosa e qualcuno per cui valga la pena perfino di andare a votare, facendo quel balzo che pare davvero necessario.

Tanti anni fa, Carlo Levi ha scritto: “Il solo modo di vincere sarebbe di trovare quella parola che, suscitando forze nuove, buttasse all’aria la scacchiera e trasformasse il gioco in una cosa viva”. Tante parole vengono in mente, per Firenze. Liberare, ricostruire, progettare Firenze. Ma forse una parola che fa davvero bene è la parola “riparare”. Riparare, infatti, significa al contempo proteggere, difendere; eliminare o alleviare un male; correggere un errore commesso; scusarsi, risarcire; provvedere a quanto è necessario; rimettere in funzione quanto è malconcio o rotto. Non c’è uno solo di questi significati che per Firenze non andrebbe bene. Ma accanto al progetto, ci vuole una parola politica: ci vuole la volontà di costruire un campo diverso per fare cose diverse, nuove e giuste. In Sardegna tutto questo si è trovato. E per Firenze? E, poi, per l’Italia?