La premier ha scovato l’imboscata di cui parlava all’inizio dell’anno: è nascosta nella norma anti-ribaltone

Chi congiura contro Giorgia Meloni?

(di Giovanna Casadio – repubblica.it) – L’argomento l’ha sollevato la presidente del Consiglio. Quindi torniamoci, con qualche elemento in più. Giorgia Meloni ha parlato di chi le vuole male, di un complotto, nella conferenza stampa del 4 gennaio impropriamente detta di fine anno. Era slittata causa malanno.

Aveva denunciato: “Qualcuno in questa nazione ha pensato di poter dare le carte. Pensano che ti spaventi se non fai quello che vogliono, ma io non mi spavento facilmente”. Si era materializzata l’ombra del ricatto. Più banalmente l’avvicinarsi di trappoloni politici. Da parte di chi? Delle opposizioni (quasi scontato). Delle lobby (eccetto quelle amiche). Dei poteri forti (si ammansiscono). Delle “combine” internazionali filoputiniane (eppure un pezzo della destra dovrebbe averci qualche buona entratura). Meloni: “Ritengo di non dovere dire altro su questo”. E si era chiusa lì.

Ma il tempo è galantuomo. Ecco che arriva la norma anti-ribaltone.

Va spiegata, perché non è proprio quello di cui si parla in famiglia.

La norma anti ribaltone è un meccanismo introdotto nella riforma del premierato che impedirà i cambi di maggioranza nell’epoca aurea che verrà, quando cioè chi va a Palazzo Chigi sarà eletto direttamente dal popolo. E lì si nasconde la “madre” di tutte le congiure. Se infatti all’eletto dal popolo va male e viene rapidamente sfiduciato, è pronto un premier di riserva, quasi più potente dell’eletto.

Meloni, che tutto è tranne che ingenua, ha reagito: ma quando mai! Ha sgamato che si tratta di un diritto all’imboscata. Si è fatta un’idea dei congiurati. Che possiamo così esemplificare: se verrà eletta dal popolo, come si prepara a fare, e le tendessero poi un agguato politico, c’è da scommettere che a Palazzo Chigi come premier di scorta vada Matteo Salvini. E dire che qualche giorno fa nel dibattito in Senato il premier bis sembrava archiviato con gaudio meloniano e riformulato in un groviglio lessicale, che non si capiva niente, con un premier morto e risorto per il reincarico.

A volte si guarda lontano e invece i primi congiurati ce li hai lì accanto. Del resto in epoche ben più cruente, Giulio Cesare si accorse all’ultimo che ”tu quoque, Brute fili mi”. Comunque, alla prossima, Giorgia Meloni qualche nome sicuro di congiurato potrà farlo.