FUORI LEGGE – I compensi extra. Affari a gettone. Il “Fatto” aveva conteggiato 28 eventi retribuiti in soli 9 mesi di mandato: in totale 300 mila euro

(DI THOMAS MACKINSON – ilfattoquotidiano.it) – Vittorio Sgarbi alla fine si è dimesso. Tutto è partito il 24 ottobre 2023, quando il Fatto Quotidiano ha rivelato i ricchissimi incassi che percepiva con le conferenze in barba alla legge. Dopo 100 giorni, l’Antitrust ha certificato che quelle “attività parallele”, mai dichiarate all’atto dell’assunzione del suo incarico, erano incompatibili: il nostro giornale aveva ragione, lui torto. Da quel giorno, il “caso Sgarbi” è stato un crescendo di scoop e colpi bassissimi, perché alla questione delle incompatibilità si è poi aggiunto il carico delle inchieste (in collaborazione con Report) che hanno avuto conseguenze sul piano giudiziario: l’indagine per esportazione illecita di opere d’arte, per cui è imminente la richiesta di rinvio a giudizio a Imperia, una seconda per riciclaggio di beni culturali per il famoso “Manetti” con la candela a Macerata. Ma Sgarbi “cade”, tecnicamente, sulle incompatibilità, cioè su quella ridda di attività a pagamento che – come rivelato dal Fatto – gli avevano fruttato la bellezza di 300 mila euro di compensi in soli nove mesi. Soldi che venivano versati anche da comuni, dunque soldi pubblici, perfino da spoglie pro loco, pur di averlo ospite su un palco, con un tariffario da 5 mila euro a evento, che spesso era l’auto-promozione di un suo nuovo libro.

È stato grazie alle rivelazioni di un ex collaboratore ministeriale, Dario Di Caterino, che sono emersi i pagamenti per quegli eventi che venivano organizzati, gestiti e fatturati addirittura dentro il ministero, tramite società del capo segreteria Nino Ippolito e della compagna Sabrina Colle. Di Caterino le segnalò in una lettera anonima al ministro, alla premier. Il Fatto lo convinse a mettere a disposizione quel materiale che poi ha scandagliato in decine di articoli che ricostruivano rapporti economici, committenze e pagamenti arrivando a conteggiare 28 eventi retribuiti in appena nove mesi di mandato. Un’attività dunque affatto “episodica”, ma sistematica e organizzata, che ricade pienamente nel disposto della legge Frattini che la impedisce perfino se svolta “a titolo gratuito, in favore di soggetti pubblici o privati”. Accanto agli eventi visibili, sono emerse anche le attività di tipo professionale svolte per privati, le famose “expertise” che il sottosegretario negava di fare. Il 4 novembre il Fatto rivela che il 22 luglio 2023 aveva fatto invece un sopralluogo per la valutazione di opere a Bormio, quando era sottosegretario da sette mesi: pagato 1.500 euro in nero e senza poi dare un seguito all’impegno. E che il suo capo segreteria Nino Ippolito, sempre da dentro il ministero, gestiva un’apposita casella di posta elettronica expertise@vittoriosgarbi.it dove ricevere le richieste, cui rispondeva “sono attività professionali a pagamento”.

Sgarbi però ha sempre sostenuto che quelle attività erano legittime e fossero solo illazioni di delatori, insinuazioni di giornalisti incapaci e ignoranti. Per sostenerlo, ha sollevato questioni attinenti la libertà di espressione e la Costituzione (“non si può censurare l’arte!”). Ha scomodato il diritto d’autore (“anche Meloni e Sangiuliano scrivono libri!”) e sventolato lettere dell’Anac, salvo scoprire che si limitavano appunto all’attività di autore. “Non sono incompatibile, lo dice Stefano Passigli”, giurava. Ma il Fatto chiama il giurista e scopre che si era ben guardato dall’informarlo che dietro quelle attività c’erano società a lui riconducibili, e che dunque l’attività era più imprenditoriale che occasionale. Non sono mancati colpi bassissimi, ben sotto la patta esibita a favor di telecamera.

Ha accusato in tv e sui giornali il cronista che faceva l’inchiesta di essere “indagato per estorsione”, cosa mai avvenuta, pur di screditarne il lavoro che invece va avanti, e porta alla scoperta del quadro rubato a Buriasco (Torino) e al suo sequestro, al sospetto che in mostra sia finita la copia. A identificare il reale proprietario di quello sequestrato a Montecarlo, quel Valentine de Boulogne che può valere 5 milioni di euro ma che Sgarbi aveva fatto acquistare per soli 10 mila euro da un autista da ignari eredi di una famiglia industriale di Brescia in disgrazia. Quel mese e mezzo al cardiopalma che ha incollato tanti alle rivelazioni di un’inchiesta giornalistica di cui tutto il mondo ha parlato. E non è ancora finita.