Il 14 giugno scorso uno youtuber ventenne, alla guida di un suv, travolse una Smart a Casal Palocco uccidendo un bimbo di cinque anni e ferendone la madre e la sorellina […]

(DI PIERCAMILLO DAVIGO – ilfattoquotidiano.it) – Il 14 giugno scorso uno youtuber ventenne, alla guida di un suv, travolse una Smart a Casal Palocco uccidendo un bimbo di cinque anni e ferendone la madre e la sorellina. Ora ha patteggiato (tecnicamente ha concordato l’applicazione di pena) 4 anni e 4 mesi di reclusione. Prima di scandalizzarsi è necessario tenere presente che si tratta di un omicidio colposo. Secondo l’art. 43 del Codice penale: “Il delitto: è doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione; è preterintenzionale, o oltre l’intenzione, quando dall’azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall’agente; è colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”.

Nel caso specifico si tratta di un cosiddetto omicidio stradale. L’art. 589 bis del Codice penale, come modificato dalla legge 26 settembre 2023, n. 138 (in vigore dal: 25.10.2023) prevede per “Chiunque cagioni per colpa la morte di una persona con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o della navigazione marittima o interna è punito con la reclusione da due a sette anni”. Nel caso di specie, trattandosi di fatto avvenuto il 14 giugno 2023, si applica la precedente normativa, in quanto in materia penale non vi è retroattività di una disposizione più severa. In ipotesi di applicazione di pena vi è la riduzione fino a un terzo. La pena in sé appare dunque finanche severa, tanto più che sono state riconosciute le attenuanti generiche.

Ma perché con una pena di tale entità non si va in carcere? Perché l’art. 47 della legge 354/ 1975 sull’ordinamento penitenziario, fra l’altro, stabilisce che: “Se la pena detentiva inflitta non supera tre anni, il condannato può essere affidato al servizio sociale fuori dell’istituto per un periodo uguale a quello della pena da scontare”. Ma inoltre che: “L’affidamento in prova può, altresì, essere concesso al condannato che deve espiare una pena, anche residua, non superiore a quattro anni di detenzione, quando abbia serbato, quantomeno nell’anno precedente alla presentazione della richiesta, trascorso in espiazione di pena, in esecuzione di una misura cautelare ovvero in libertà, un comportamento tale da consentire il giudizio di cui al comma 2…”.

Fin qui tutto bene. Simili modalità di esecuzione della pena diverse dal carcere esistono anche in altri Stati. La differenza è che in altri Paesi vi è particolare rigore nella verifica dell’attività svolta dal condannato durante l’esecuzione della pena in modo alternativo alla detenzione in carcere. Per fare un esempio un ex presidente della Repubblica francese sconta una pena ai domiciliari col braccialetto elettronico. In Italia un ex premier scontò la pena in affidamento al servizio sociale andando una volta alla settimana in un ospizio ad assistere anziani.

Il modo con cui in Italia talora si eseguono le pene spiega perché il presidente dell’Associazione vittime incidenti stradali (Avisl) onlus, Domenico Musicco, abbia definito la pena troppo bassa. Il problema non è l’entità della pena che comunque, anche se fosse più severa, non riporterebbe in vita il bambino né affievolirebbe il dolore di parenti e amici, ma la modalità della sua esecuzione.

Lo scarso rigore nell’esecuzione delle pene alternative alla detenzione può talora essere una grave offesa al dolore delle vittime e comunque è segno che non si tiene conto dell’invito di Giuseppe Garibaldi che, il 26 gennaio 1875, giunto a Roma per prendere possesso del suo seggio in Parlamento come deputato del Regno d’ Italia, chiamato al balcone della casa dove abitava a Roma dagli applausi scroscianti della folla disse: “Italiani siate seri”.