Il dilemma di Meloni: candidarsi o no alle Europee. La tentazione di stravincere e i rischi per la coalizione. Dopo la contromossa di Salvini che si è tirato indietro, ora tocca alla premier decidere se scendere in campo e inseguire il sogno di una destra al 30%

La premier Giorgia Meloni

(di Tommaso Ciriaco – repubblica.it) – Adesso tocca solo a Giorgia Meloni decidere se inseguire davvero il sogno di una destra al 30%, mettendo il proprio volto in cima alle liste delle Europee. Se mortificare gli alleati, triplicando i loro consensi. Lei in campo, loro in panchina. Se insomma garantirsi il controllo assoluto del Paese, a costo di sbilanciare la coalizione. In Fratelli d’Italia danno la cosa già per fatta, ma è evidente il pericolo che minaccia l’operazione: chi troppo vince, molto rischia. In fondo, è già successo: a Matteo Renzi, che trionfò e spavento i nemici interni, spingendoli a coalizzarsi. E all’altro Matteo, il leghista Salvini, travolto dall’ebrezza dei pieni poteri, evaporato sulla consolle del Papeete. La presidente del Consiglio accarezza lo stesso sogno, la presa di Bruxelles, gli stessi pieni poteri. Dovesse rinunciare a sorpresa alla sfida, lo farebbe ormai a malincuore.

Salvini, si diceva. Si è tirato indietro, “alle Europee non mi candido”. L’ha fatto dopo aver scoperto il 4 gennaio in diretta televisiva che la leader aveva infranto quello che riteneva un patto informale, ma solenne: stabilire insieme se scendere in campo come capilista, coordinarsi prima di sbilanciarsi e anticipare al mondo una decisione. Non può rischiare di contarsi con la leader di Fratelli d’Italia, non lo farà: ma senza un impegno personale, mette a repentaglio il consenso del Carroccio, dunque la propria segreteria. Come lui, Antonio Tajani, già fragile nel partito senza più il Cavaliere.

E dunque, il cerino. Adesso passa alla presidente del Consiglio, la musica si è fermata e tocca a lei stabilire se occupare la sedia vuota, quella riservata a chi progetta di stravincere. Sostiene di voler sempre confrontarsi con il consenso popolare, lo dice mentre ammette candidamente (e pomposamente): “Il presente di questa nazione sono io”. Forse vuole assicurarsi anche il futuro, o meglio: decidere il destino proprio e dei suoi sottoposti di coalizione. Dall’alto di una vittoria potrebbe ad esempio scegliere di rimettere mano al governo, cambiare ministri a suo piacimento. Oppure, come qualcuno sussurra con sempre maggiore insistenza in queste ore, posizionarsi sul crinale della legislatura. E da lì, valutare se e come proseguire, se e quanto ascoltare l’Europa e i suoi dettami di austerità per fronteggiare conti pubblici fuori controllo, se e come varare una dolorosa manovra correttiva. O se invece non dichiarare guerra all’Europa e annunciare solennemente: fate voi, io ho vinto e non intendo rinnegare le mie promesse e perdere la faccia. Vincere o stravincere, questo è il dilemma.