Nel pacchetto di norme voluto dal ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che prevede l’abolizione dell’abuso di ufficio c’è infatti anche la rivisitazione di un reato temuto dal figlio dell’ex senatore e dai soci della Inver

(di Giuliano Foschini – repubblica.it) – “Il famoso traffico di influenze”, quello “a cui noi dobbiamo stare molto attenti”. Sarebbe bastato ancora un po’ di tempo a Tommaso Verdini per poter stare un po’ più tranquillo: perché il reato che tanto temevano lui e i suoi soci della Inver, lo stesso che hanno portati i giudici a chiedere i loro arresti, presto potrebbe essere cancellato o comunque completamente rivisto dal governo.
Nel pacchetto di norme voluto dal ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che prevede l’abolizione dell’abuso di ufficio c’è infatti anche la rivisitazione di un reato, il traffico di influenze, che ha messo spalle al muro decine di pubblici ufficiali.
Il reato era nato su una richiesta specifica dell’Unione europea e serve a colpire una figura specifica, quella del facilitatore, diventata cruciale nel nuovo modo di intendere la corruzione: non più la mazzetta in contanti come ai tempi di Mario Chiesa (o meglio non sempre), quanto piuttosto soldi e diverse utilità attraverso intermediari, nascosti da consulenze (esattamente quello che contestano i magistrati nell’inchiesta Verdini).
Con la nuova norma non sarà più così: la riforma prevede infatti che, per essere punibile, il facilitatore dovrà sfruttare «intenzionalmente» il rapporto con il pubblico ufficiale. Che il rapporto dovrà essere «esistente» e non più anche immaginato, facendo di fatto sparire il vecchio «millantato credito». Ma c’è di più: l’utilità oggetto dell’indagine deve essere «economica», cioè serve lo scambio di denaro e non di altro genere.
E il pubblico ufficiale deve ricevere i soldi “in relazione all’esercizio della sua funzione”, non basta cioè pagare il facilitatore. Ma deve esserci la prova che il denaro arrivi all’utilizzatore finale.
Un’applicazione praticamente impossibile, dicono i pm dei pool della pubblica amministrazione che da giugno hanno cominciato a studiare la normativa da tempo oggetto comunque di discussione all’interno della comunità giuridica. A marzo scorso, per esempio, un lungo articolo scientifico metteva in dubbio l’utilità della norma: arrivava dalla Fondazione Livatino, il centro studi plasmato dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano.