BUGIE, IMPEGNI, PROPAGANDA – Strategia. Dopo le europee, FdI pronto a dir sì alla nuova Commissione in cambio di un buon posto. L’avviso: ora tagli e privatizzazioni

(DI MARCO PALOMBI – ilfattoquotidiano.it) – Non sappiamo cosa pensi Giorgia Meloni della morte dell’Ilva officiata dal suo governo: ieri nelle tre ore di conferenza stampa di fine anno (diventata d’inizio) nessuno gli ha chiesto nulla sulla più grande acciaieria d’Europa e, d’altronde, solo brevi cenni sono stati dedicati al nuovo Patto di Stabilità europeo, la sua più grave sconfitta “politica”, o alle guerre in Medioriente e in Ucraina. Quel che sappiamo è che l’attuale preoccupazione della premier è come ritagliarsi un ruolo nell’Ue che verrà dopo le europee e, in subordine, come stangare gli italiani in accordo coi nuovi vincoli fiscali. Quello che segue è un breve riassunto delle cose più notevoli dette ieri da Meloni, in cui – avvertenza – le legittime prese di posizione e le balle propagandistiche si mischiano senza soluzione di continuità.

Il dopo-Europee. Meloni dice di non aver deciso se candidarsi (“è una decisione che va presa con gli altri leader di governo”), ma sa cosa deve fare FdI dopo il voto di giugno: in sostanza la premier esclude di entrare in una maggioranza Ursula (“nessun accordo con la sinistra”), ma il governo dovrà contrattare in ogni caso il posto da commissario che spetta all’Italia e a quel punto è facile che FdI voti per la nascita della futura Commissione: ricorda Meloni che lo fece nel 2019 il Pis polacco – partito che fa parte dei Conservatori europei come FdI – che “poi non ha mai fatto parte della maggioranza”. Insomma, Meloni s’offre all’Ue in cambio di un buon posto da commissario: è appena il caso di notare che il voto pro-Ursula fu uno dei motivi citati dalla Lega per far cadere il governo col M5S nel 2019.

Riforme. “Non vedo in cosa l’elezione diretta del capo del governo significhi togliere potere al capo dello Stato, visto che noi abbiamo scelto di non toccare i poteri del capo dello Stato”. Non è proprio vero visto che il potere di scioglimento delle Camere e quello di scelta del premier vengono toccati eccome, ma com’è noto il punto è che un tizio eletto direttamente conta di più di uno eletto indirettamente: Ignazio La Russa lo ha detto in chiaro, Meloni fa finta di non saperlo, ma lo sa. “L’Autonomia si tiene con il premierato – ha detto ieri – Oggi ci sono presidenti di Regione eletti direttamente che hanno una forza sbilanciata rispetto al premier. Ripristinare un equilibrio è importante”. Un’altra cosa che sa (e però la dice): se perde il referendum confermativo non si dimette, perché “non è un referendum su di me”.

Patto di Stabilità. “A condizioni date, io sono soddisfatta dell’accordo. Chiaramente non è il Patto che avrei voluto io”, perché “in Europa non c’è un superiore interesse comune, ci sono nazioni che valutano il loro migliore interesse e poi si fa una sintesi”. La sintesi è che l’Italia, se tutto va bene, sarà costretta a una stretta fiscale da oltre 10 miliardi l’anno almeno fino al 2031.

Crescita. Quando le fanno notare che Bankitalia per l’anno prossimo stima un aumento del Pil dello 0,6% invece del +1,2% del suo governo, Meloni replica “che tutti i Paesi europei hanno previsioni aggiornate” e comunque “l’Italia per la prima volta ha una crescita superiore a quella degli altri Paesi” (o “della media Ue”, dice in un altro passaggio citando le stime della Commissione). Alla Garbatella direbbero “consolamose co l’ajetto”: secondo le stime di Bruxelles di novembre, abbiamo chiuso il 2023 a +0,7% contro una media Ue di +0,6%, l’anno prossimo invece cresceremo dello 0,9% contro l’1,3% medio dell’Ue. In ogni caso, dice la premier, “noi manterremo aperto l’osservatorio e in corsa si valuterà cosa fare: mi pare presto per parlare di manovra correttiva”. Meloni insomma, a differenza di Giancarlo Giorgetti, non la esclude…

Austerità. Per la prossima manovra “il mio obiettivo è confermare le misure che abbiamo portato avanti, se riesco addirittura a migliorarle: io non sono per aumentare le tasse, quest’anno le ho diminuite tagliando la spesa pubblica” (il che non è vero, perché i 15 miliardi circa di conferma del taglio del cuneo fiscale e riduzione dell’Irpef sono finanziati per un solo anno grazie all’extradeficit). Quindi, come si fa? “Se la domanda è aumenta le tasse o taglia la spesa pubblica, tra le due preferisco tagliare la spesa pubblica e penso si possa fare un lavoro ancora più preciso”. Quindi, sotto con le forbici e pure con le privatizzazioni: ieri la premier ha messo sul mercato, a parte il solito Mps, anche quote in Poste Italiane e Ferrovie dello Stato.

Immigrazione. L’accordo con l’Albania zoppica, quello con la Tunisia è sparito dai radar, il blocco navale non s’è visto e gli sbarchi nel 2023 sono aumentati del 50% sull’anno prima: “I risultati non sono soddisfacenti, specie in rapporto alla mole di lavoro dedicato a questa materia. Me ne assumo la responsabilità. Sono convinta però che se non avessi dedicato a questo tema quella mole di lavoro le cose sarebbero andate molto molto peggio”. Il controfattuale mistico.

Piano Mattei. Non è vero che è sparito, “è più avanti di quanto sembri e di quanto senta dire. Ci sarà tra poche settimane la conferenza Italia-Africa e quella sarà l’occasione per presentarlo. I progetti ci sono, ma non voglio anticiparli”. Il nuovo approccio “non predatorio” verso l’Africa doveva partire a ottobre, ora forse “tra poche settimane”, ma comunque se l’Italia lo porta avanti da sola servirà a poco: “Il mio obiettivo è che diventi un modello”. Può darsi.

Rimpasto. “Non auspico, non voglio e non lavoro a un rimpasto dei ministri: sono contenta della mia squadra”.

Mes. In sostanza, come Meloni ha già detto in Parlamento, la mancata ratifica della riforma da parte della sua maggioranza è colpa di Giuseppe Conte, ma “forse la mancata ratifica può diventare un’occasione per far diventare questo strumento più efficace di come sia oggi”. Può darsi anche questo.

Banche. “Noi abbiamo avuto il coraggio di varare una tassa su quello che era un margine non giusto, non avevamo un intento punitivo”. Poi hanno avuto il coraggio di consentire alle stesse banche di non pagare la tassa se avessero versato due volte e mezzo il suo valore a riserva: lo hanno fatto tutte registrando comunque utili record. “Per lo Stato è una operazione win win”, perché “aumentando le riserve aumenta il credito ai cittadini, in base alle regole di Basilea” e con più credito “nel medio periodo alcune banche pagheranno più tasse”. Ovviamente non c’è alcun automatismo tra aumento delle riserve e aumento del credito, specie se l’orizzonte delle regole è di un solo anno, ma l’ottimismo è il sale della vita, si sa.

Balneari e ambulanti. “L’appello del presidente Mattarella non rimarrà inascoltato”, ha detto Meloni. Il capo dello Stato sollecita governo e Parlamento a procedere con la messa a gara delle concessioni come prevede il diritto Ue, cosa che la maggioranza legittimamente non vuol fare e nemmeno la premier, che infatti ributta la palla in tribuna: “Ora confronto con la Commissione”.

Intel. Le fanno notare che l’investimento da 5 miliardi per una fabbrica di semiconduttori in Italia promesso dal colosso Usa ai tempi di Draghi non si farà. Risposta: “Ci sono diversi investimenti a cui stiamo lavorando”. Buon anno a tutti.