Dal berlusconismo a Salvini passando per Renzi: 25 anni di politica e interessi. Aspetto leonino, tratto inconfondibilmente toscano, è un personaggio a metà tra inferno dantesco e Pulp fiction. Amico di Angelucci, di sé disse: “Sono Mr Wolf”

(di Filippo Ceccarelli – repubblica.it) – A cominciare dall’aspetto leonino, dal tratto inconfondibilmente toscano, dallo sguardo ai raggi X e dalla lingua rude e sboccata, Denis Verdini è o meglio fa pensare a un personaggio dell’Inferno dantesco.

S’invoca indulgenza per chi innalzi il suo ruolo negli impicci dell’Anas alla più alta letteratura, ma l’Italia sempre un po’ quella è rimasta; e se può risultare un effettaccio il richiamo d’esordio alla Divina Commedia, beh, ritornando alla cronaca politica, per così dire, è difficile togliersi dagli occhi della memoria la visione di Verdini che qualche anno fa, avendo già due o tre rinvii a giudizio sul groppone, si mise a giocare con il suo amico Angelucci a testa o croce nel cortile interno di Montecitorio, 40 euro a lancio per trasformare in bisca da strada – “biscazza e fonde la sua facultade” (If,XI,44) – quella che sarebbe stata pur sempre una sede istituzionale.

O almeno. Nessun altro soggetto, a memoria di osservatore, ha esplicitato con maggiore fierezza, coraggio e impronditudine la sua peculiare funzione nella vita pubblica. “Io sono – ha detto Verdini una volta – Mr Wolf”, che come si ricorderà era una specie di risolutore di problemi addetto a ripulire l’interno di un’automobile dopo un doppio assassinio. E ci risiamo, se non è Dante, è Pulp fiction ambientato in era berlusconiana; oppure House of Cards allorché, nella successiva, volle presentarsi come “l’idraulico” di Renzi. Ma anche e più in generale: “Il taxi sono io”, nel senso di auto pubblica tipo pago e scendo, donde la sua specifica mission, spiegata in un empito di sincerità autopromozionale: “Vuoi rimanere al potere? Bene, solo io ti conduco in dieci minuti da Matteo a Matteo”. Che sarebbe l’attuale vicepremier e ministro Salvini, il fidanzato di sua figlia Francesca, a sua volta precoce produttrice cine-televisiva, ciò che nell’immancabile rete endogamica fa di babbo Verdini, sia pure agli arresti domiciliari, il suocero della Terza Repubblica.

“Assetato di potere e denaro” l’ha descritto un Pm nel corso di uno dei tanti processi. Definizione esatta, ma perfino riduttiva se si pensa alle incombenze, alle conseguenze, alle avventure e allo stile di vita, in definitiva, che tali inesauste passioni hanno comportato per primo a lui, poi a chi ha usufruito dei suoi uffici e un pochettino anche alle dinamiche socio-politiche di questi ultimi vent’anni, sudici e sfarzosi come si sono scritti da soli. Un antica esperienza nel commercio carni, una magnifica villa a Pian de’ Giullari spesso visitata da ladri (la penultima volta hanno scurito con un accendino la foto ritratto di Salvini), orologione d’oro, automobile Maybach da emiro che intimidiva gli agenti di scorta, ai piedi delle morbide babucce osservando le quali, un giorno, lo storico Gotor proclamò l’incompatibilità antropologica fra due Italie.

In realtà il comando e i quattrini poco hanno a che fare con la teratologia, o scienza che si propone di studiare i mostri – che pure come si sa non esistono. Da che mondo è mondo c’è invece bisogno di figure che si sporchino le mani fino ai gomiti; e se tali persone sono in grado di far convivere in sé simpatia e cinismo, fedeltà e homo homini lupus, il gioco almeno per loro è fatto.

Così all’inizio l’ex beccaio fu utile nientemeno che a Spadolini, che più diverso non poteva essere; poi si tagliò i baffi perché Berlusconi non si fidava e aveva bisogno di rimpiazzare Previti, che il suo l’aveva fatto. Si aprì una stagione d’oro, affari, appalti, giornali, scambi e baratti, palazzi e P3, banche e bancarotte, candidature e compravendita di parlamentari. Bastava che il Signore dicesse “chiamate Verdini!” e lui arrivava, capiva, sapeva, eseguiva. Un giorno spiegò a un povero candidato che era escluso perché “’un aveva le poppe”, un giorno consegnò Renzi al Cavaliere e imbastì il patto, un giorno che era furente attaccò al muro Brunetta, si fece un ufficio principesco a Palazzo Fiano, regalò orologi con cifre ai dipendenti prima di metterli in cassa integrazione, cantò in tv con il suo bel vocione “la maggioranza sai è come il vento”. Ma a decretarne la decadenza fu – orribile a dirsi, meno a comprendersi – il gineceo del Cerchio Magico raccolto intorno al sovrano invecchiato. Scrisse quindi una lettera che cominciava così: “Caro Silvio, non meriti più il mio affetto” – che in fondo dal suo punto di vista aveva pure ragione.

Impressionante la scorrevole rapidità con cui dalla sala macchina del berlusconismo terminale l’Orco del Nazareno si agguattò negli angolini meno illuminati del Giglio non più tanto magico, ma vieppiù desideroso dei suoi servizi di scaltro fontaniere pure addetto alle fosse biologiche. Dal Rottamatore al Capitano fu pure un attimo, anche se agli atti della storia politica minore resta la breve esistenza di un partito tutto verdiniano, una legione straniera il cui indimenticabile acronimo suonava Ala.

Ogni epoca in realtà ha avuto i suoi Verdini, ogni volta riconoscibili per storia, geografia, etica, estetica, fisiognomica e azzardati riferimenti letterari. Ogni Verdini viene da pensare che rappresenti l’autobiografia della nazione, quando esprime la zampata furba della commedia, la propensione intimidatoria al melodramma, il fascino sinistro della prepotenza, quello destro della più affabile cialtroneria, oltre all’arte di arrangiarsi, anche in famiglia. Orgoglio italiano.