Da «guida» degli euroscettici alla stagione no vax. Il legame col leader a cui ora dice: come sono andato?

Le battaglie di Borghi, l’ex broker che stregò Salvini: «E, prima o poi, torneremo pure alla lira!»

(di Fabrizio Roncone – corriere.it) – È il personaggio politico di queste ore. Sghignazza, se la gode, se la tira, pontifica sfrontato. («La Meloni? La Meloni, sul Mes, ha fatto quello che ho detto io»).

Venga una attimo qui, senatore Borghi.

«Trallalero… Trallalà!».

Non faccia così.

«E, prima o poi, torneremo pure alla lira!».

Provoca e saltella sui sampietrini di via degli Uffici del Vicario, la stradina che collega Montecitorio a queste pagine intere, ai titoli cubitali, dentro l’euforia chiassosa del suo partito, la Lega, che con il voto dell’altro giorno ha aperto, ufficialmente, trionfalmente, la campagna elettorale per le Europee: una festa nella quale sta scomodo — come ormai si sa — solo Giancarlo Giorgetti, il ministro mortificato, ferito, preoccupato (perché Giorgetti sa leggere bene, in controluce, la gravità del commento arrivato dal presidente dell’Eurogruppo, Paschal Donohoe — «Deplorevole aver bocciato il Mes» — e tenete conto che questa frase è poi davvero niente, rispetto allo stupore e allo sdegno degli alleati francesi e tedeschi e all’irritazione di chi governa i mercati).

Ma Claudio Borghi se ne frega di tutto e di tutti. E va ad abbracciare il capo: Matteo Salvini. «Come sono andato?».

Ora, per capire bene quali siano i rapporti tra quei due, dovete cominciate ad immaginare Borghi in pantofole, gli occhialini scesi sul naso, un felpone addosso, sprofondato sul divano di casa, nella penombra del soggiorno, una sera di dieci anni fa. Di colpo, inizia a squillargli il cellulare. Sul display, un numero che non conosce. Però l’istinto gli suggerisce di rispondere. Sente una voce: «Ciao, sono Matteo… Matteo Salvini. Disturbo?». Nemmeno a dirlo. «Bene. Perché, ecco, volevo chiederti una cosa: hai voglia di spiegarmi queste tue strane idee sull’euro?».

La mattina dopo, solerte, Borghi gli tiene una lezioncina. Il Capitano decide di pancia (in senso lato): butta nel cestino il suo precedente libro guida, Il sacco del Nord di Luca Ricolfi, e inizia a leggere la bibbia degli euroscettici: Il tramonto dell’euro di Alberto Bagnai (su Bagnai ci soffermeremo meglio tra qualche paragrafo: ma preparatevi, perché merita).

Tornando a Borghi: Salvini lo prende sul serio e, all’inizio, anche noi cronisti. Il trucco dello sguardo, per un po’, ha funzionato: bravissimo a metterne su sempre uno molto convinto, definitivo, con l’aria di chi sta lì a spiegarti segreti e meccanismi che, poverino, tu fatichi a capire. Poi un giorno abbiamo capito che lui, proprio lui che voleva rifilare agli italiani i mini-bot, pezzacci di carta per pagare crediti o saldare i debiti dello Stato, proprio lui aveva invece fatto un bel po’ di soldi speculando sui tradizionali Btp (nell’agosto del 2019, sfruttando la scommessa sbagliata del suo Capitano che sperava di andare a elezioni anticipate, vendette i titoli di Stato acquistati un anno prima). Un furbacchione di 53 anni con la parlantina del furbacchione: ex fattorino, ex agente di cambio, ex broker, ex agente della Deutsche Bank, ex docente a contratto di Economia e mercato dell’arte all’università Cattolica e, per hobby, a sua volta mercante d’arte (ma non andate a dirlo a Vittorio Sgarbi, che s’innervosisce di brutto).

Con il Carroccio si candida, una prima volta, alle Europee del 2014: però viene trombato. Tre anni dopo, invece, s’accontenta e riesce ad essere eletto nel Consiglio comunale di Como. Poi, finalmente, eccolo sbarcare a Montecitorio con il suo mantra: «Dobbiamo uscire dall’euro». Una posizione che lo rende politicamente assai visibile, un ghiottoneria per gli autori dei talk tv, che non se lo fanno sfuggire nemmeno durante la tragica stagione No Vax, in cui Borghi s’accoda a certi esaltati mattacchioni, gente che voleva curare il Coronavirus con un po’ di liquirizia e qualche fetta di zenzero, e ad altri leghisti come Armando Siri e Simone Pillon, il quale, ad un certo punto, s’era convinto che nelle scuole di Brescia s’insegnasse «la stregoneria».

Sugli appunti raccolti negli anni, c’è scritto: la grande specialità di Borghi è la capriola. Nel genere, un gigante. Per dire: il pomeriggio del 5 febbraio di due anni fa (Mario Draghi, da poche ore, aveva ricevuto l’incarico di guidare il nuovo governo), Borghi uscì dal Parlamento, finendo nel mischione di noi cronisti in attesa, che subito gli andammo sotto, chiedendogli: e adesso? Lui allora ci guardò come sempre un po’ sprezzante, che idioti questi giornalisti, che noia le loro domande. E rispose fingendosi sorpreso: «Che succede, scusate, in che senso? Draghi è come Ronaldo, un fuoriclasse». Poi si voltò e cercò la complicità del suo amico Alberto Bagnai (spesso, sui giornali, finiscono citati come B&B), da cui aveva ereditato la responsabilità del dipartimento economico della Lega. Questo Bagnai è un modesto suonatore di clavicembalo (non è una battuta), i pantaloni sempre con la riga e la faccia mite: in realtà è un iracondo, noto per la sua arroganza (a un docente della Bocconi che aveva osato contraddirlo, rispose: «A te faremo un bel cappottino di abete», intendendo una bara) e per essere un forsennato nemico dell’Euro («L’unica Bce buona è quella morta»). Però davanti a Draghi premier, quel giorno, Bagnai si spaventò: «Draghi? Ma io Draghi l’ho sempre stimato…».

Entrambi sono leoncini di X (ex Twitter). Si esaltano. Si spalleggiano. Si ritwittano. E, probabilmente, faranno briciole di questo articolo, e di chi l’ha scritto (se succede, tranquilli: non vi blocco).