
(di Tommaso Ciriaco – repubblica.it) – ROMA – L’unico momento lieto degli ultimi giorni risale a domenica scorsa, a Belgrado. Dopo il punto stampa con Aleksandar Vucic, Giorgia Meloni accetta l’invito “frugale” del presidente serbo. Finiscono in un ristorante della capitale. Appuntamento per pochi selezionati ospiti dello staff e per un solo diplomatico, il resto della delegazione resta in attesa nel Palazzo presidenziale. Carne, ottimo vino e, soprattutto, un karaoke improvvisato ed effervescente. Due ore di chiacchiere e canzoni italiane, amate in Serbia. Con performance canore della premier e del suo collega, ma anche del capo segreteria Patriza Scurti e del portavoce Fabrizio Alfano.
Dura poco, come detto. Tornata a Roma, la leader si ritrova a dover gestire i ripetuti attacchi a Bruxelles orchestrati da Matteo Salvini. Una sfida lanciata proprio mentre il governo cerca di strappare condizioni migliori per il Patto di stabilità. La reazione di Meloni è duplice. Ricevere già oggi la popolare Roberta Metsola a Palazzo Chigi. E preparare con i suoi consiglieri l’unico percorso possibile in vista delle Europee: quello che porta al sostegno al bis di Ursula von der Leyen.
Sia chiaro, non è questione di oggi, né di domani: la prossima Commissione difficilmente sarà votata prima del settembre del 2024. La presidente del Consiglio non ha dunque alcuna intenzione – e neanche bisogno – di anticipare oggi la strategia. Anche perché Meloni non intende regalare a Salvini un argomento che il leghista già sbandiera, pensando all’alleata: quello dell’inciucio con i socialisti e i liberali. E però, esiste un dato che non può essere messo in discussione, e che parla da solo: nessun Paese europeo del G7 – hanno spiegato i diplomatici alla premier – ha mai negato il proprio voto a un nuovo Presidente della Commissione europea. Sarebbe una prima volta devastante.
Anche di questo, ufficiosamente, ragionerà oggi Meloni a Palazzo Chigi con Roberta Metsola (invitandola anche ad Atreju, al pari di von der Leyen). Ma sul tavolo ci sono soprattutto i dossier più caldi, quelli da affrontare con l’Europa nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Il primo, calendario alla mano, è il Mes, la cui ratifica è in teoria calendarizzata come secondo punto all’ordine del giorno nella seduta della Camera del 12 dicembre, poche ore prima del Consiglio europeo del 14. Uno snodo delicatissimo, perché anticipa di poche ore il Consiglio europeo del 14, dedicato con ogni probabilità al Patto di stabilità, su cui Roma rischia di porre il veto. Ma è chiaro che ogni possibile strappo, ogni battaglia che Meloni intende portare avanti con Bruxelles non può non tenere conto di un dato indiscutibile, almeno secondo tutti i più recenti sondaggi: socialisti, liberali e popolari godranno comunque di una maggioranza solida. Davvero Meloni può assumersi il rischio di negare sostegno a von der Leyen, senza neanche essere decisiva?
Glielo sconsigliano i suoi mediatori con Bruxelles, al pari di Antonio Tajani, che conosce bene l’aria che si respira nel Ppe: tanto più salgono i sondaggi dell’estrema destra di Le Pen e Salvini – riuniti in Identità e democrazia – tanto più si rafforza il veto dei popolari verso quel gruppo. Meloni deve dunque costruire un percorso che porti a Ursula, senza regalare slogan alla campagna elettorale di Salvini. Ben sapendo che l’approdo è quasi obbligato, oltreché utile, visto che sul rapporto con la politica tedesca ha investito a tal punto da messaggiarsi quasi quotidianamente e senza mediatori.
Per questo, Meloni cerca argomenti solidi per negare la firma al patto anti-inciucio che il leghista intende sottoporgli: spiegherà ad esempio che la proposta di Salvini non ha senso perché a Bruxelles esiste un solo voto di fiducia, all’avvio della legislatura. Ma non basta. La premier ha anche bisogno di individuare una soluzione che tenga insieme le diverse sensibilità dei Conservatori europei, di cui è leader. Astenersi è un’opzione, ma non basterebbe a salvaguardare il rapporto con von der Leyen. L’alternativa su cui si riflette in queste ore è di proporre all’Ecr la libertà di voto (i polacchi del Pis, ad esempio, potrebbero esprimersi per il “no”) e contestualmente chiedere agli eurodeputati di Fratelli d’Italia di sostenere il bis.
Restano i rischi dell’operazione, non banali. L’ultima volta che due alleati si sono divisi sulla Commissione – era il 2019 – è caduto un esecutivo (quello gialloverde guidato da Giuseppe Conte). Da qui la tensione che precede questo passaggio. Un cruccio che neanche il karaoke in Serbia – capace di far posticipare di quasi due ore il volo di rientro a Ciampino – è riuscito a lenire.
Cerno ha ricominciato a bere.
"Mi piace"Piace a 2 people
Ma lei non era quella sovranista anti atlantista e anti ue che con questi slogan ci ha vinto le elezioni? Poi ci si meraviglia se sempre meno gente va a votare.
"Mi piace"Piace a 2 people
Eh, vabbè, a parte che quando qualcuno la mette in difficoltà (anche considerando le cavolate che dice che le si ritorcono contro) godo come un riccio, ma il magnasarcicce se l’è cercato lei e ora che se lo ciucci. ‘Zzi sua, oh!
D’altra parte prima avevamo un PdC che all’estero faceva le corna nelle foto e chiamava “Q-lona” qualche leader di un altro paese, e invece adesso abbiamo questa cialtrona che non riesce ad opporsi all’irrefrenabile desiderio di sputtanare il paese quando anche all’estero si mette a ruttare in un microfono del Karaoke. Così (male) va il mondo e pazienza, che si deve fà?
"Mi piace""Mi piace"