LA MIA VITA DA “FEMMINA” – Trincea quotidiana. Ogni fase ha avuto il suo esempio di maschio molesto o degradante. Che sia in mezzo al traffico o a un colloquio di lavoro, non c’è mai vera parità

(DI DANIELA RANIERI – ilfattoquotidiano.it) – Mi ha toccato molto la bella e tremenda testimonianza di Selvaggia Lucarelli, che a parte i dettagli biografici potrei sottoscrivere in pieno.
Che si tratti di patriarcato o di semplice maschilismo, sessismo, cultura dello stupro, spero che la mia testimonianza dia l’idea di quanto una donna debba lottare per non soccombere in questa società.
Anche io a 9 anni ho avuto il mio prete molestatore, che approfittava delle confessioni per estorcermi informazioni diciamo genitali. Sebbene capissi vagamente che mi stava manipolando, mi ci vollero mesi per smettere di andare in parrocchia.
Elementari: al doposcuola, si poteva scegliere tra i corsi di Disegno, Inglese e Economia domestica, al quale ultimo le femmine si iscrissero in massa. Al corso di Inglese ero l’unica alunna: venne chiuso anzitempo, tipo programma della De Girolamo, perché la maestra non poteva trattenersi per una bambina. Mi iscrissi a Disegno. Dopo il corso si doveva rassettare l’aula: le femmine spazzavano per terra, buttavano le cartacce, pulivano i banchi con l’alcol e la carta di giornale, i maschi giocavano a rincorrersi; rimbrottati bonariamente dalla maestra, spostavano qualche banco.
Non so quanti uomini mi abbiano molestata sugli autobus e in metropolitana tra gli 11 e i 25 anni, accostandomi alle spalle per strusciare il pene sui miei glutei. Non erano tutti dropout, alcuni erano placidi padri di famiglia. A volte era impossibile spostarsi perché il bus o il vagone era talmente pieno che non si riusciva a scappare da quella umiliazione. Io e le mie amiche facevamo movimenti infinitesimali per sottrarci, ma il più delle volte pativamo in silenzio, voltandoci per significare al molestatore che lo avevamo sorpreso, ma il vile faceva finta di niente, per riprendere poco dopo. Inutile cercare solidarietà presso gli altri passeggeri. Una volta, dopo un anno di kickboxing, mi girai e diedi al maniaco un cazzotto in faccia: quello voleva rimenarmi, ma un signore lo tenne provvidenzialmente per il braccio (mentre un uomo e una donna tenevano ferma me: non sta bene difendersi da aggressioni sessuali). La mattina uscivo prestissimo per andare a scuola; vedendomi camminare da sola per la strada buia, gli uomini passando suonavano il clacson e mi indirizzavano gesti osceni.
Una sera d’inverno sull’autobus un uomo seduto davanti a me tirò fuori un involto e mi fece vedere una fondina con dentro una pistola. Tirai fuori il cellulare e quello fece uno scatto come per aggredirmi. Corsi verso il conducente, gridando che un uomo mi minacciava: non mi rispose neanche, e ciò naturalmente perché ero una ragazza; fossi stata un ragazzo gli avrei spaccato il vetro divisore, e con la coscienza di ciò lui mi avrebbe risposto eccome (suonai il campanello per scendere; inchiodò alla fermata; mi lasciò in una strada isolata al buio).
Scuole medie (anni 90, non ’50): una prof. metteva voti più alti ai maschi perché da noi femmine si aspettava che fossimo “studiose”, mentre loro se facevano bene “andavano premiati” (uno schema ricorrente nella mia vita: oggi scrittori maschi che compilano temini di imbarazzante banalità vengono premiati da vendite stratosferiche).
Liceo: il prof. di Matematica, un sadico frustrato che terrorizzava la classe, recensiva quotidianamente abbigliamento, forma fisica e taglio di capelli delle ragazzine. A quelle che gli piacevano metteva 8; le altre faticavano a emergere e subivano interrogazioni massacranti.
Università: un esimio professore a ricevimento mi chiese se avevo mai avuto rapporti sessuali per superare esami. Risposi di no, e che non era nei miei progetti. Mi disse dapprima che non sapevo “stare al gioco”, poi che avevo capito male e mi cacciò via. Un altro, molto stimato, a cui inizialmente avevo chiesto la tesi, mi commissionò un saggio che lui avrebbe inserito in un libro a sua firma. Protestai; disse che funzionava così, tutte le sue assistenti facevano così e “ne andavano fiere”. Da giovane cultrice della materia di Antropologia culturale, assistevo il mio docente agli esami: molti studenti ambosessi, prima ancora di sedersi, chiedevano di poter sostenere l’esame col professore o con un mio collega (maschio).
Lavori precari: il mio collega maschio guadagnava sempre più di me a parità di mansioni. In un’agenzia web, il direttore e l’ad affidavano ruoli di responsabilità solo ai maschi; l’unica donna era un’aziendalista rampante e spia.
Colloquio presso una casa editrice: un uomo e una donna mi chiesero se volessi figli: non assumevano donne che potevano restare incinte. Dissi che per stare sicuri potevano prendere uomini; non mi presero. Viceversa una nota conduttrice di Milano, che mi aveva convocato per invitarmi nella sua trasmissione, mi chiese perché non avessi figli, concludendo che ciò “non era normale” e lei alla mia età ne aveva già avuti.
Nel 2015 – scrivevo sul Fatto già da due anni – un collega mi invitò per un caffè e per chiedermi una cosa che gli premeva sapere: ero l’amante del direttore? Quando gli dissi che era un pensiero da miserabili, disse che non capiva perché una sconosciuta come me firmasse editoriali di prima pagina. Quando Renzi era presidente del Consiglio, era evidente che lo criticavo perché mi aveva rifiutato sessualmente (mai incontrato Renzi in vita mia); se criticavo la Boschi, è perché ero “invidiosa di lei”.
Un tale mi chiese di scrivere pezzi sulla sua rivista; gentilmente, rifiutai. Rispose aggressivamente che conosceva Travaglio (forse avrebbe potuto “prestarmi” senza il mio consenso, va’ a sapere). Un po’ meno gentilmente, rifiutai di nuovo. Mi scrisse che ero “una donna acida” e che aveva capito dal mio romanzo che avevo “problemi psicologici” (poco prima mi voleva assumere).
Quando finii nella dozzina dello Strega, un rispettato giurato ammise candidamente di avere “qualche pregiudizio verso i libri scritti da donne”.
Gasparri, da vicepresidente del Senato, su Twitter mi chiamò “segretaria di Travaglio”. Calenda mi diede della “talebana” e siccome risposi a tono mi offrì un “cornetto al Cigno, bar viale Parioli, così ti addolcisci”.
Dopo un mio articolo sui crimini ucraini nel Donbass, tra gli insulti di mattoidi e/o giornalisti (putiniana, pagata in rubli etc.), si appalesò su Twitter un signorino di non so che ente, fan della Nato, il quale mi irrise davanti ai suoi follower quale pivella che non conosceva il significato della parola “metodologia”. Quando feci notare che ciò era improbabile perché ho un Dottorato in Teoria e Ricerca sociale, materia che comprende la Metodologia, replicò che era scorretto appellarsi al principio d’autorità (mentre lui aveva evidentemente problemi col principio di realtà). Un altro utente adattò l’adagio sessista “vai in cucina” sentenziando che non avrei dovuto occuparmi di guerra ma di “baci”: un riferimento al titolo del mio libro, Stradario aggiornato di tutti i miei baci, che lui credeva un romanzo rosa (magari crede anche che Morte a Venezia sia un giallo).
Una pletora di maschi mi spiega tuttora come si scrivono i pezzi, invece di come li scrivo io.
Quando guido, uomini violenti mi tagliano la strada, mi speronano, inchiodano a un centimetro dal mio paraurti; se protesto suonando il clacson, li vedo mimare improperi (come minimo sono mignotta).
In un negozio/studio medico/ristorante, se richiamo l’attenzione mi viene risposto “Un attimo, signora”; se lo fa l’uomo che è con me gli viene detto “Prego, dica pure”.
Come Selvaggia, anche io non esprimo punti di vista ma “polemizzo”; se mi difendo, sono stronza; se puntualizzo, non è perché sono precisa, ma perché rompo i coglioni.
Sottoscrivo e applaudo.
In particolare:
“… si appalesò su Twitter un signorino di non so che ente, fan della Nato, il quale mi irrise davanti ai suoi follower quale pivella che non conosceva il significato della parola “metodologia”. Quando feci notare che ciò era improbabile perché ho un Dottorato in Teoria e Ricerca sociale, materia che comprende la Metodologia, replicò che era scorretto appellarsi al principio d’autorità (mentre lui aveva evidentemente problemi col principio di realtà).”
Mi ricorda molto da vicino l’atteggiamento di una new entry di Infosannio, che, dopo aver espresso varie caxxate, dall’alto mi ha fatto notare che avrei dovuto informarmi sul significato di” patriarcato”.
Alla mia risposta che avevo studiato l’argomento in almeno 2 materie di esame (quindi che IO, al contrario di lui, conoscevo esattamente il significato del termine) è ricomparso sotto altro articolo, dopo aver raffazzonato una SUA definizione di comodo, per pontificare genericamente nell’aere, dal basso della sua ignoranza.
Tra l’altro esprime APPARENTE empatia solo verso i poveri mariti separati (un’idea fissa) e il “poveraccio” che ha assassinato a sangue freddo Giulia Cecchettin, senza mostrare invece, per lei, una briciola della sensibilità che destina a coloro con cui evidentemente, in qualche modo, si identifica.
Purtroppo per lui, ha sbattuto nuovamente, e spero definitivamente, il muso contro il caro Jonny…
Ma qua, di elementi retrivi, qualcuno se ne trova… e anche peggiore di quanto fosse finora già prevedibile.
In quest’ottica, l’argomento è stato un test utile, una vera cartina al tornasole.
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Proprio no carissima.
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Caro benzina, poveri in aumento, legge fornero ampliata, giustizia ancora peggio con Nordio e Cartabia, sanità a pezzi, scuola a pezzi, tv spazzatura, pseudofemministe che screditano un movimento che alle origine aveva motivazione da vendere (tipo la misandrica qua sopra), taglio fornero, giovani che emigrano, sbarchi di clandestini raddoppiati, mariti separati rovinati (altro che idea fissa, è una triste realtà cara MISANDRICA).. Ma qual è il problema? IL PATRIARCATO. Tutto perchè uno sfigato con problemi mentali ha fatto un delitto da inetto, oltre che da assassino. Non si sa se ridere o piangere.
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Cioè: quelli raccontati dall’autrice nell’articolo, tutti figli illegittimi di una società ancora palesemente maschilista, non sarebbero dei problemi perché ci sono il caro benzina, i poveri in aumento, la Fornero (citata due volte, ad abundantiam, entrambe con la minuscola: non ci sono più i PhD di una volta), gli sbarchi, la tv spazzatura, eccetera?
Puoi spiegare in base a quale nesso logico, dall’alto del tuo PhD in nonsisacosa (probabilmente in benaltrismo)?
Certo che, per essere un Doctor of Philosophy, esprimi dei concetti che sembrano copiati paro paro da un meme qualunque (e questo risolve anche l’ultimo dubbio, almeno nel tuo caso: fai ridere i polli):
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Ps. @ANAIL Ho un Phd (se sai cos’è) in una disciplina non lontana dall’argomento di cui si parla, prima di dare dell’ignorante sciacquati la bocca, che sembri Sgarbi quando dice CAPRA a chiunque gli porti argomenti contrari
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Magari scrivilo giusto 🙂 PhD
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Confermo la similitudine con l’esperienza fornita da DR.
Prima un elemento ATTACCA dando dell’ignorante in materia “in giro” (ma scrivendo a ME), poi, dopo aver insistito a lanciare strali e aver riSbattuto anche con altri, peraltro con argomentazioni risibili, smentito persino da Wikipedia, rivolta la frittata… come se a SMINUIRE la preparazione altrui non fosse stato LUI!
Buuuuuuuuuhhhhh!!!
Ps Che l’argomento padri separati sia reale è ininfluente ai fini della discussione in atto, anzi… potrei facilmente dimostrarti che deriva esattamente dalla concezione della donna/madre tipica della cultura patriarcale di cui neghi la persistenza, si spera agonizzante, a livello sociale, se non familiare.
Ma, comunque, che una problematica ESISTA non significa che la si debba riproporre ogni 3×2, qualsiasi argomento si stia trattando, denotando un’ossessività e una “vicinanza” sospette.
Quantomeno ciò denota astio MISOGINO che non depone per una serenità di giudizio in merito, anche qualora avessi chiaro e centrato il concetto di patriarcato, cosa che NON è, e un forte vittimismo di fondo, che con me non attacca proprio, caro passivo/aggressivo.
I muri emotivi impediscono di vedere la realtà, anche quando CONVERREBBE prenderne atto, invece che impegnarsi in negazionismi d’accatto controproducenti e patetici.
Ps del PS – a proposito, “misandrica”, rivolto a me, è oltremodo ridicolo, ma vabbè… è TIPICA e conforme all’autore anche quest’accusa.
“Misandrica” is the new “putiniana” per una pacifista.
Ah ah ah. Superpatetico.
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Ovviamente essendo uomo non ho mai avuto le esperienze della Ranieri, ma una cosa posso dirla: in tutte le università è comunissimo che i ragazzi chiedano di fare l’esame direttamente col prof. Anche perché in genere gli assistenti per fare vedere che sono tosti fanno domande perfino più difficili di quelle dei professori.
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Ciò che dici è vero, ma la Ranieri aggiunge un’altra cosa:
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Ora ti pregherei di sciacquarti TU la bocca, oltre che, volendo, qualche altra parte anatomica, che evidentemente usi per “ragionare” e scrivere.
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Rispondevo a Jack h 3:35
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La Ranieri in questo articolo racconta tutto il peggio che può produrre il maschilismo, la prepotenza e l’arroganza del pene.
La sua esperienza spero sia un estremo che non riguardi, o non abbia riguardato tutte le donne. E la mia esperienza di 65enne con tre sorelle, due mogli ( in momenti diversi…), una figlia, e tante amiche mi conforta pensando che tale concentrato di volgarità o nefandezze non sia così diffuso.
Detto ciò, la mia sensibilità è lontana anni luce da questo ambaradan maschile. E conosco tantissimi uomini che non hanno mai praticato nulla di ciò che racconta la Ranieri. O almeno credo. Perciò negare il problema è stupido e scorretto, ma attenzione a non amplificarlo a dismisura.
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Beh, se vogliamo parlare di esperienze personali, che valgono quanto valgono:
1- le uniche persone che mi hanno licenziato sono donne (e notevolmente str..ze)
2- all’università, forse perché c’era gente un pò più seria in giro, non ho mai visto ragazze promosse perché ‘carine’ o ‘disponibili’. Studiavano di brutto e prendevano 30 e lode.
Dove ha fatto l’università la Ranieri forse, è un posto un pò diverso da dove l’ho fatta io. Ma certe cose, generalizzate sono veramente ridicole.
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