FINTE SOLUZIONI – Le nostre toghe, metà della media Ue, producono il doppio delle francesi e il quadruplo delle tedesche. Però la Cartabia uccide i processi e Nordio conferma le pagelle coi voti degli avvocati

(DI PIERCAMILLO DAVIGO – ilfattoquotidiano.it) – Il governo, a seguito di legge delega del Parlamento, si accinge a riformare per l’ennesima volta l’ordinamento giudiziario proseguendo, con peggioramenti, sulla linea seguita nelle precedenti riforme, nella dichiarata speranza di rendere efficienti gli apparati giudiziari. Si tratta di una illusione se ci si crede o di una truffa se non ci si crede.

Cominciamo dalla ricognizione dei problemi. È fatto notorio che il sistema giudiziario italiano è caratterizzato da notevole lentezza e dalla difficoltà di tutelare i diritti delle persone, segnatamente di quelli delle vittime di altrui violazioni di leggi.

Una scorsa ai dati statistici rende chiare immediatamente quali sono le cause di questi problemi, ma da molti anni, anziché affrontarle si crede (o si finge di credere) che possano essere risolti i problemi con l’organizzazione o con un maggior controllo sui magistrati.

L’ordine giudiziario ordinario italiano (escluse quindi le magistrature militari, amministrative, contabili e tributarie) ha un organico di 10.638 magistrati, dal quale però ne mancano più di 1.727, con una scopertura pari al 16,23% (oltre a quelli onorari, cioè non di carriera, che hanno un organico di 10.638, di cui scoperti 1727 pari al 16,23%). Rispetto alla media degli Stati dell’Unione europea (con riferimento alle rispettive popolazioni) l’organico dei magistrati italiani è di circa la metà. Inoltre, vi sono spaventose carenze di organico nel personale amministrativo che in alcune sedi raggiungono il 40%.

In compenso, secondo i dati del Consiglio d’Europa, il carico di lavoro è molto più elevato di quello di altri Stati, così come è più alta la produttività. I magistrati italiani producono il doppio dei loro colleghi francesi ed il quadruplo dei loro colleghi tedeschi. La “produzione” giudiziaria è di tale entità da consentire la presenza in Italia di circa 250 mila avvocati (il doppio, rispetto alla popolazione, della media europea).

A fronte di questi dati le conseguenze non possono che essere l’allungamento della durata dei procedimenti e talora lo scadimento della qualità delle decisioni.

Invece di incidere sulle cause reali (con aumento delle risorse e riduzione della domanda di giustizia) da anni si pensa di risolvere il problema con criteri organizzativi e la previsione di termini processuali (la cui utilità ed efficacia assomiglia alla determinazione del prezzo del pane raccontata da Alessandro Manzoni nei Promessi sposi).

Da qui trovate stravaganti come la previsione dell’improcedibilità se nei giudizi penali di appello il processo non si conclude entro due anni dalla sentenza di primo grado (quando le Corti d’appello hanno un arretrato di circa due anni appunto). Sarebbe come se, a fronte dei ritardi dei treni, si stabilisse che, allo scoccare dell’ora di arrivo, il treno si fermasse dove è arrivato facendo scendere i passeggeri in aperta campagna.

Nella riforma di ordinamento giudiziario si ricorre a cure palliative come incidere sulla valutazione dei magistrati (che già oggi sono valutati ogni quattro anni e che con due valutazioni negative consecutive vanno a casa) introducendo nelle valutazioni positive gradazioni “ulteriori valutazioni di ‘discreto’, ‘buono’ o ‘ottimo’ in relazione alla capacità del magistrato di organizzare il proprio lavoro”.

Ma perché è irragionevole irrigidire le valutazioni?

Esistono due forme di gestione di organizzazioni: il primo è l’ordine che parte dall’alto e viene demoltiplicato in discesa lungo la gerarchia fino ad arrivare sul tavolo del funzionario che deve trattare la singola pratica (come fa la pubblica amministrazione); il secondo è raccogliere le domande (contrastanti) dei cittadini e tentare di ricondurle ad unità salendo (come fa la giurisdizione).

Il primo sistema ha dimostrato di non funzionare in realtà complesse: l’Unione Sovietica si è afflosciata come un castello di carte per l’inidoneità di quel modello (l’economia di piano) nel gestire la complessità. Il secondo sistema è quello dell’economia di mercato, a cui assomiglia il sistema giurisdizionale che riceve domande contrastanti dalle parti e cerca di ricondurle a razionalità attraverso i gradi di giudizio. Questo sistema richiede non solo l’indipendenza della magistratura da ogni altro potere, ma anche l’indipendenza dei singoli giudici all’interno dell’ordine giudiziario, altrimenti si riprodurrebbe lo schema della pubblica amministrazione. È infatti inevitabile la tendenza ad ubbidire a chi valuta e l’inasprimento delle valutazioni riduce l’indipendenza interna dei magistrati.

Inoltre, nelle valutazioni si introduce come criterio il diverso esito nei giudizi di impugnazione e ciò indurrà i magistrati ad allinearsi alla giurisprudenza dei giudici dei gradi ulteriori di giudizio.

In anni ormai lontani la Corte suprema di cassazione era ferma nell’escludere la possibilità di riconoscere nelle cause la rivalutazione monetaria pur in presenza di inflazione a due cifre. I giudici di primo grado, che assistevano alla beffa subita dai creditori che vedevano i debitori insolventi guadagnare dall’inflazione, decidevano in modo opposto. Alla fine, fu la Corte di Cassazione a convincersi ed a mutare giurisprudenza.

Se sarà attuata questa riforma ciò non potrà più accadere e il sistema sarà irrigidito fino ad assomigliare alla pubblica amministrazione.

Peraltro, si tratta di un’altra illusione. I militari (che non hanno necessità di indipendenza e per i quali anzi l’obbedienza è una virtù) vengono sottoposti a continue valutazioni che si concludono con giudizi che vanno da inferiore alla media, nella media, superiore alla media, eccellente. Se le parole hanno un senso almeno la metà di loro dovrebbe avere il giudizio: nella media. Invece, almeno per gli ufficiali superiori vi è l’appiattimento verso la qualifica di eccellente (così il Gruppo di Lavoro dell’Istituto Alti studi per la Difesa 71 Sezione di Studio p.29).

È facile immaginarsi cosa accadrà in magistratura dove vi è anche la necessità di tutelare l’indipendenza individuale.

Un’ultima chicca è prevedere che nella valutazione dei magistrati intervengano anche gli avvocati che siedono nei consigli giudiziari (organi di governo autonomo presenti in ogni distretto di corte d’appello).

Ogni paragone con il Consiglio Superiore della Magistratura (dove ciò accade) è improprio: gli avvocati eletti nel Csm dal Parlamento devono chiudere i loro studi durante la permanenza in Consiglio. Ciò non è previsto per gli avvocati eletti nei consigli giudiziari,

In questo Paese è facile intuire cosa accadrà, specie nei distretti più piccoli, perché è facile prevedere che aumenteranno i clienti degli avvocati presenti in consiglio giudiziario in quanto i clienti penseranno che tali avvocati possano condizionare i giudici.

Pietro Calamandrei nel suo Elogio dei giudici scritto da un avvocato aveva scritto riferendo quanto appreso da un vecchio magistrato: “Il vecchio magistrato stette qualche istante in silenzio e poi concluse così: ‘Creda a me: la peggiore sciagura che potrebbe colpire un magistrato sarebbe quella di ammalarsi di quel terribile morbo dei burocrati che si chiama conformismo. È una malattia mentale, simile all’agorafobia: il terrore della propria indipendenza; una specie di ossessione, che non attende le raccomandazioni esterne, me le previene; che non si piega alle pressioni dei superiori, ma se le immagina e le soddisfa in anticipo’”.