Il sottosegretario alla Giustizia deve lasciare il suo incarico per aver calpestato ogni regola nel passaggio delle carte del caso Cospito a Donzelli

(di Carlo Bonini – repubblica.it) – Le carte che pubblichiamo del procedimento a carico del sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, rinviato a giudizio per rivelazione di segreto di ufficio, fotografano l’impostura politica (quella penale, se tale dovesse essere riconosciuta, è affare dei tribunali) di un uomo non degno di restare un solo minuto di più nell’ufficio che occupa. Documentano la penosa condizione di senile gregarietà di un ministro della Repubblica (Carlo Nordio) costretto alla grottesca difesa di un trafficante di rapporti coperti da segreto per ordine della presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Peggio ancora, queste carte provano, oltre ogni ragionevole dubbio, che il rapporto “riservato” della polizia penitenziaria sulle conversazioni ascoltate in carcere del terrorista anarchico Alfredo Cospito con altri detenuti e con una rappresentanza di parlamentari del Pd in visita nel penitenziario sardo in cui era detenuto al 41 bis, fu richiesto e messo insieme da Delmastro con premeditazione. Con una fretta indiavolata e contro ogni protocollo, criterio di urgenza e ragionevolezza, in una domenica di fine gennaio. E solo perché potesse armare la mano del capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia, Giovanni Donzelli, contro le opposizioni in un discorso atteso per il pomeriggio del lunedì successivo che doveva avere i toni e la sostanza di una pubblica bastonatura.
In un Parlamento non ridotto a simulacro o, se si preferisce, a salmeria, non sarebbe necessario dunque proteggersi dietro l’attesa di alcuna sentenza definitiva (come penosamente ha voluto ricordare ieri Maurizio Lupi, come se la vicenda di cui si discute fosse una questione innanzitutto penale e non innanzitutto politica) per imporre a Delmastro le dimissioni, consegnandolo alla sola dimensione che merita. Che non è quella di novello Dreyfus, ma più banalmente quella da cui politicamente proviene. Di ardito in camicia nera a digiuno non solo e non tanto del galateo istituzionale, ma delle sue regole fondamentali. Soprattutto, in un dibattito pubblico non anestetizzato e monopolizzato da un discorso politico ridotto a soliloquio della maggioranza, a sistematica manipolazione della realtà, qualcuno dovrebbe chiedere conto all’ineffabile presidente del Consiglio e all’altrettanto ineffabile ministro della difesa Guido Crosetto, di cosa cianciano quando parlano o alludono a “un uso politico della giustizia penale”. O, addirittura, a un fantomatico complotto che settori indefiniti della magistratura di sinistra starebbero architettando per disarcionare il governo in carica.
Con quale faccia la presidente del Consiglio e Fratelli d’Italia possono pensare infatti, a valle del caso Delmastro, di avventurarsi sul terreno del rapporto tra politica e giustizia? Con quale considerazione di sé e del ruolo che ricopre, della Costituzione repubblicana su cui ha giurato, il ministro Crosetto andrà in Parlamento ad elaborare ciò che ha farfugliato in un’intervista? E, soprattutto, che fine hanno fatto i “liberali” della maggioranza? Li sentiamo un giorno sì e l’altro ancora strologare della “vergogna” delle intercettazioni telefoniche pubblicate da giornali a loro dire ridotti a buca delle lettere delle Procure. Li vediamo impegnati a riportare l’orologio della discussione sulle riforme della giustizia indietro di vent’anni. E poi, quando di fronte ai loro occhi, si consuma una vicenda semplice semplice – come chiunque avrà modo di constatare leggendo quanto scrivono oggi i nostri Tommaso Ciriaco e Giuliano Foschini – dove l’abuso della politica assume dimensioni macroscopiche, di loro si perde traccia. Semplicemente non pervenuti. Garantisti a giorni alterni.
La verità, ancora una volta, è che questo governo e la classe dirigente (si fa per dire) che ha paracadutato alla guida del Paese dimostrano la loro drammatica inadeguatezza. Pari solo alla loro arroganza e al cinismo con cui maneggiano la cosa pubblica. Per questo, la frequenza degli incidenti di cui ormai sono protagonisti i ministri e gli esponenti di questa maggioranza dovrebbe suggerirgli non fumosi pensum su complotti delle toghe rosse, ma una responsabile riflessione sul modo di interpretare il ruolo di governo e il contegno e la misura con cui stare nelle istituzioni democratiche del Paese. Purtroppo, non accadrà.
La verità, ancora una volta, è che questo governo e la classe dirigente (si fa per dire) che ha paracadutato alla guida del Paese dimostrano la loro drammatica inadeguatezza. Pari solo alla loro arroganza e al cinismo con cui maneggiano la cosa pubblica. Per questo, la frequenza degli incidenti di cui ormai sono protagonisti i ministri e gli esponenti di questa maggioranza
Eeeh l’orgoglio italiano!!
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