Lunedì i deputati pentastellati depositeranno il provvedimento su cui chiedere il voto dell’Aula, che punta a ripristinare la proposta originaria, a cominciare dalla soglia minima di retribuzione di 9 euro lordi all’ora da fissare per legge

(NICCOLÒ CARRATELLI – lastampa.it) – Sul salario minimo non si molla. Le legge proposta dalle opposizioni non deve finire su un binario morto. Nonostante un paio di giorni fa, forzando i tempi in commissione Lavoro alla Camera, la maggioranza sia riuscita ad approvare l’emendamento targato Fratelli d’Italia che di fatto affossa il testo a prima firma Conte, sostenuto da M5s, Pd, Azione, +Europa e Sinistra-Verdi. Una legge delle opposizioni rimpiazzata con una delega al governo, che rinvia la questione di almeno altri sei mesi. Un destino che martedì verrà ribadito dall’Aula di Montecitorio, dove il provvedimento è atteso per la ratifica di quanto deciso in commissione. Ma non sarà un passaggio scontato, perché i partiti di opposizione, in particolare il Movimento 5 stelle, si stanno preparando a complicare i piani della maggioranza. Lunedì i deputati M5s depositeranno un contro emendamento, su cui chiedere il voto dell’Aula, che punta a ripristinare la proposta originaria, a cominciare dalla soglia minima di retribuzione di 9 euro lordi all’ora da fissare per legge, cancellata dal blitz in commissione orchestrato da Walter Rizzetto, presidente in quota FdI. L’obiettivo, ovviamente, non è ottenere un’apertura da parte del governo, a questo punto impensabile, ma costringere finalmente la destra “ad assumersi ufficialmente la responsabilità di bocciare il salario minimo”, spiegano dal quartier generale 5 stelle.
Un voto contrario in Parlamento, un atto politico formale di fronte all’opinione pubblica, che Giorgia Meloni fin qui ha chiaramente cercato di evitare, con un occhio ai sondaggi che fotografano un ampio consenso degli italiani (anche degli elettori di destra) rispetto a un salario minimo legale. Anche per questo, negli uffici M5s c’è la consapevolezza di dover formulare l’emendamento con grande attenzione, per evitare che possa venire dichiarato inammissibile e, quindi, escluso dalle votazioni. Vanificando, così, il tentativo di smascherare le vere intenzioni del governo, nascoste dietro rinvii e approfondimenti, pareri del Cnel e deleghe da esercitare con calma, magari dopo le elezioni europee. D’altra parte, i cinque partiti che hanno portato avanti la battaglia, raccogliendo oltre mezzo milione di firme a sostegno della legge nel giro di 4 mesi, sanno di dover sfruttare tutti gli strumenti della dialettica parlamentare per provare a tenerla viva, per riuscire conquistare spazi mediatici mentre Palazzo Chigi punterà a “congelare” la questione. In questo senso, anche se non c’è ancora stato un confronto per definire una strategia comune, resta sullo sfondo l’ipotesi di avviare una seconda raccolta firme (ne basterebbero 50mila) per promuovere una legge di iniziativa popolare e, di fatto, ricominciare da capo, sventolando in modo ancora più forte la bandiera della volontà dei cittadini.