Sere fa, a “Piazzapulita”, la professoressa Donatella Di Cesare ha reagito con durezza a chi sosteneva che il “peccato originale” di Israele è stata la risoluzione 181 approvata dalle Nazioni Unite […]

(di Antonio Padellaro – ilfattoquotidiano.it) – “Leggendo i giornali italiani e ascoltando i dibattiti in televisione, mi sono reso conto che tutti parlano di Israele e dei palestinesi, ma pochi ne conoscono la storia”. Marco Travaglio, “Israele e i palestinesi in poche parole”, PaperFirst

Sere fa, a “Piazzapulita”, la professoressa Donatella Di Cesare ha reagito con durezza a chi sosteneva che il “peccato originale” di Israele è stata la risoluzione 181 approvata dalle Nazioni Unite il 29 novembre 1947. Quella che divideva la Cisgiordania in due Stati: uno ebraico, l’altro arabo, con Gerusalemme “zona internazionale” sotto l’egida dell’Onu. Una decisione che scatenò mesi di violenze e massacri incrociati fra ebrei e arabi palestinesi contrari alla spartizione e che rappresentò, in qualche modo, il detonatore delle stragi e delle guerre che si sono trascinate fino ai giorni nostri. Nella storia di quella terra intrisa di sangue, la risoluzione 181 potrebbe essere, come incubatrice della storia, paragonata alla presa della Bastiglia del 1789. Eppure è raro che nei talk televisivi (a parte gli studiosi e qualche giornalista informato) qualcuno citi con cognizione di causa i “fatti” che precedono e accompagnano la carneficina in atto per farne comprendere genesi e conseguenze possibili. Molto più semplice (ed efficace per la resa dello “show”) dare fuoco alle polveri delle curve contrapposte in discussioni del tutto avulse dalla concatenazione degli eventi (perlopiù bellamente ignorati). Utili più che altro (gli scazzi) a regolare i soliti conti nel cortile delle fazioni: un po’ come schierarsi pro o contro Robespierre senza sapere una cippa della Rivoluzione francese. Quando vanno in giro a discettare di Israele, o di Hamas e Palestina, consiglierei perciò a questi “esperti” del ramo di non separarsi dall’agile e documentato libro di Marco. Che si può tenere comodamente in tasca e dunque sbirciato (mentre la telecamera è distratta) onde evitare strafalcioni. Una lettura che, volendo, potrebbe arricchire con un pizzico di sostanza certe opinioni spensierate, ancorché ancorate alla desolante prosopopea del “secondo me”. Un giorno qualcuno ci spiegherà quale meteorite abbia colpito il giornalismo italiano per ridurlo a una tale pigra, ripetitiva e respingente sequela di luoghi comuni spacciata per informazione. Nell’attesa affidiamoci ai testi doc. Naturalmente, le 120 pagine di “Israele e i palestinesi”, oltre alla cronologia ragionata dei fatti, contengono (fin dalla copertina) tali squarci di umano patimento da interrogarci sulla catastrofe morale esplosa con la strage del 7 ottobre. Personalmente continuo a chiedermi come sia possibile ricercare anche l’intesa più urgente con degli esseri che sono stati capaci di stuprare, squartare e infierire festosamente su migliaia di innocenti oltraggiandone perfino i cadaveri. Per simili psicopatici, affetti da evidenti forme di sadismo acuto, perfino essere definiti “terroristi” costituisce un complimento. Mi interrogo anche sul perché le undici o dodicimila vittime dei bombardamenti israeliani non suscitino sempre l’orrore che, in una contabilità della disumanità, andrebbero moltiplicate per dieci in rapporto allo sterminio del 7 ottobre. E mi coglie un pensiero terribile: forse perché, intimamente, quei morti li sento (li sentiamo) diversi da me, da noi?