Il cdm ha approvato il disegno di Legge della ministra Casellati che secondo la premier Meloni ci porterà alla Terza Repubblica. Ma a cambiare la Carta ci hanno provato in molti, spesso con progetti naufragati

(di Lorenzo Stasi – corriere.it) – Ci prova anche Giorgia Meloni. Con l’ok in Consiglio dei ministri del disegno di legge della ministra Maria Elisabetta Casellati, inizia il lungo viaggio della riforma costituzionale che, nelle intenzioni della premier, porterebbe l’Italia «nella Terza Repubblica». Un testo snello di cinque articoli, una revisione che nei suoi punti più importanti prevede l’elezione diretta del premier e la possibilità per il capo dello Stato in caso di crisi di governo di «conferire l’incarico di formare il governo (solo) al presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare eletto in collegamento al presidente eletto» (tradotto: stop agli esecutivi tecnici). Insieme a una legge elettorale che attribuisca il 55% dei seggi alle liste collegate al presidente del Consiglio e che garantisca in questo modo la «governabilità», in un Paese che ha avuto 68 governi in meno di ottant’anni.
La scommessa
Ma cambiare la costituzione in Italia è una scommessa tutt’altro che semplice: negli anni i diversi tentativi sono tutti più o meno naufragati. Il primo a parlare di revisione istituzionale è stato Bettino Craxi che, dall’autunno del 1979, inizia a far entrare nel dibattito politico il tema della «grande riforma». Non una proposta formale, ma l’indicazione di un percorso che andasse verso il presidenzialismo e che mirasse a rafforzare i poteri del governo nei confronti di un parlamento allora dominante. Ma è qualche anno dopo che la riforma istituzionale inizia a imporsi anche in parlamento e nei documenti ufficiali. Nel 1983 viene istituita, presieduta dal liberale Aldo Bozzi, una commissione bicamerale composta da 20 senatori e altrettanti deputati, sprovvista però di poteri referenti nei confronti dell’assemblea parlamentare. Nel 1985 la commissione partorisce i 44 articoli con cui avrebbe dovuto modificare la costituzione, ma i partiti a cui spettava avanzare i disegni di legge non raggiunsero mai un accordo.
Nel 1992
Un secondo tentativo risale al 1992, con la seconda bicamerale presieduta da Ciriaco De Mita e poi da Nilde Iotti, prima donna presidente della Camera e storica compagna di Togliatti. I 22 articoli di riforma introducevano un sistema molto simile a quello tedesco: elezione del presidente del Consiglio da parte del parlamento, poteri di nomina e soprattutto di revoca dei ministri in capo al premier e sfiducia costruttiva. Ma anche questo tentativo sarebbe naufragato. Presentata a entrambe le Camere nel gennaio del 1994, la riforma sarebbe stata dopo poco accantonata per la conclusione anticipata della legislatura che, spazzata via dalla tempesta di Tangentopoli e dal crollo dei partiti della Prima Repubblica, apriva la strada a un nuovo capitolo della democrazia italiana. Dopo qualche anno di governi ancora instabili, nonostante l’avvicendarsi di nuovi attori politici, ci si riprova con una terza bicamerale. Istituita nel 1997, è presieduta questa volta da Massimo D’Alema, allora segretario del Partito democratico della sinistra. A Palazzo Chigi c’era Romano Prodi. Dopo 71 sedute si arriva a un compromesso tra le forze politiche, stretto a casa di Gianni Letta nel giugno dello stesso anno, ricordato come «patto della crostata»: l’accordo prevedeva un sistema semipresidenziale, con l’elezione diretta del capo dello Stato, e una legge elettorale maggioritaria a doppio turno. Ma le divergenze intervenute tra i partiti e il cambio di posizione di Silvio Berlusconi fanno saltare il banco, e così anche la terza bicamerale – l’ultima – si risolve nel niente. Nel nuovo millennio si abbandona lo strumento delle commissioni bicamerali ma non il progetto di rivedere la forma di governo.
Berlusconi nel 2006
Ci riprova Berlusconi nel 2006. Il progetto prevedeva la devoluzione di ampi poteri alle regioni, la trasformazione del Senato in un organo federale e, soprattutto, l’istituzione di un «premierato forte», con l’attribuzione al premier di poteri di nomina e revoca dei ministri e di scioglimento delle Camere. Dopo il via libera del parlamento, però, nel giugno del 2006 16 milioni di elettori (il 61%) bocciano il referendum confermativo e cestinano anche questo tentativo di riforma istituzionale. Per quasi dieci anni tutto tace.
Il tentativo di Renzi
Fino al 2014, quando l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi decide di mettere nuovamente le mani sulla costituzione, con l’iniziale aiuto di Silvio Berlusconi, in quello che viene ricordato come «patto del Nazareno». E lo prova a fare con un maxi-testo, a prima firma Maria Elena Boschi, che oltre a riscrivere i rapporti tra Stato e regioni superava il bicameralismo paritario, abbinando la riforma a una nuova legge elettorale– l’Italicum, pensata solo per la Camera dei deputati e poi dichiarata parzialmente incostituzionale dalla Consulta – che prevedeva un premio di maggioranza per chi superava la soglia del 37% o, in alternativa, un ballottaggio tra le due liste o coalizioni più votate. Ma anche in questo caso il referendum, il 4 dicembre 2016, dà esito negativo. Ora ci prova anche Giorgia Meloni. Con un testo in parte diverso dallo storico cavallo di battaglia di Fratelli d’Italia – il presidenzialismo – su cui la presidente del Consiglio aveva già presentato nella scorsa legislatura un disegno di legge e che, nelle parole della premier, consoliderebbe «la democrazia dell’alternanza» e accompagnerebbe l’Italia «nella Terza Repubblica».
Ti faremo fare la fine di Renzi……e che il Cielo ci aiuti….!!!!
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… Ed eccoci alla riforma più ipocrita e falsa di senpre:almeno Renzi ci mise la faccia. Lei si nasconde nella ressa come ha fatto sempre, pronta a schizzar fuori dal gruppone al momento giusto. Ma spero che, stavolta, le resti sul groppone.
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Il cosiddetto “premierato” non esiste in nessun paese del globo terracqueo! Ci hanno provato in Israele, ma dopo 3 legislature, decisero di mandarlo in soffitta e di ritornare al sistema parlamentare. In Italia il governo ha già troppi poteri e se c’è una cosa di cui adesso l’Italia non ha bisogno è proprio un governo ancora più forte. Le derive autoritarie con questo “premierato” sono troppo elevate; soprattutto perché non vengono previsti, a fronte del rafforzamento dell’esecutivo, i necessari pesi e contrappesi. Da bocciare in toto!
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Una riforma costituzionale da parte dell’armata di Brancaleone dalla Garbatella non può esistere…
Un NO deciso e speriamo che non venga più in mente in futuro a qualche altro rovina popoli.
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