Scegliere la pace ha sempre significato per me tentare di prendere le distanze dalle adesioni immediate, a cui tutti spesso cediamo, per vedere il conflitto a distanza, mettendo a fuoco torti e ragioni […]

(DI DONATELLA DI CESARE – ilfattoquotidiano.it) – Scegliere la pace ha sempre significato per me tentare di prendere le distanze dalle adesioni immediate, a cui tutti spesso cediamo, per vedere il conflitto a distanza, mettendo a fuoco torti e ragioni. È quello che ho cercato di fare sin dall’inizio della guerra tra Russia e Ucraina. E anche oggi, in questo conflitto, persino più scioccante e sconvolgente, mi sforzo di guardare oltre il campo di battaglia, gli schieramenti, le stragi. Dopo quel trauma del 7 ottobre, però, mentre passavano i giorni, ho avuto l’impressione che, a parte una prima blanda solidarietà, montasse un’ondata di antico livore, di irriducibile astio. Israele – uno “Stato terrorista”, una “potenza occupante”, ecc. – Ho atteso perché speravo che giungessero parole chiare sia di distinzione tra il governo di Netanyahu e il resto degli israeliani, sia di analisi politica di Hamas. Così non è stato, a parte rare eccezioni. Nel migliore dei casi girano innocui quanto vuoti slogan, nel peggiore, invece, un terribile odio anti ebraico.

Questo evidentemente riguarda la sinistra, la mia parte. Si sa che il tema “sinistra e antisemitismo” ha una storia ormai decennale. Ma è chiaro che tutto ciò si è acuito enormemente. Così ho sentito dire con nonchalance che Israele ha un “peccato originale” da farsi perdonare. Si usano categorie religiose. È il peccato di stare dove non dovrebbe stare. Gli ebrei, questi abili approfittatori, hanno fatto leva sul senso di colpa degli europei e si sono insediati lì togliendo la terra ai palestinesi. Una bella inversione: da vittime sono diventati carnefici infliggendo agli altri quello che dicevano di aver subito. Vendetta! Il peccato poi, se è originale, resta. Una macchia indelebile che nulla può togliere. A partire da qui – vedi le battaglie delle cartine sui social – Israele è fuori luogo, abusivo, illegittimo. E gli israeliani sono “occupanti”. Qualsiasi cosa facciano.

Inoltre, siccome negli ultimi anni Israele ha il volto di Netanyahu, rappresenta per definizione la destra. Israele = destra. Sinistra = anti Israele. Dal mio punto di vista un’equazione inconcepibile, e tuttavia difficile da scardinare. Un ulteriore fronte bellico. Un grave danno per Israele. Ma un danno forse peggiore per la sinistra che mostra in questo frangente l’inconsistenza, il vuoto di pensiero, la mancanza di analisi politica. Eppure, già Foucault aveva preso un granchio con la rivoluzione iraniana. Hamas non è solo un’organizzazione e ha un peso politico. Ma l’emancipazione del popolo palestinese passerebbe e passa per una terribile islamizzazione. Questa sinistra, rimasta a decenni fa, che prende la difesa di un fronte contro l’altro, non è pacifista. È molto antisemita. Il che è una prova del suo cattivo stato di salute.

Negare la storia del popolo ebraico nella sua continuità è gravissimo. Già prima della Shoah, ondate di ebrei europei sono tornati lì dove erano sempre stati. E sono tornati – sempre più respinti e vomitati dall’Europa – con un grande progetto politico: quello dei kibbutzim, comunità socialiste dove praticare uguaglianza, giustizia, accoglienza. D’altronde, come immaginare la sinistra europea senza l’ebraismo? Non menziono le solite filosofe e filosofi a me cari. Voglio ricordare due nomi di italiani forse dimenticati: Umberto Terracini ed Enzo Sereni. Certo, è vero che la fondazione di uno Stato nazionale ha creato moltissimi problemi. Per me ogni Stato nazionale discrimina, tende alla violenza, a diventare etnico. Basti pensare all’Italia attuale con la sua legge sulla cittadinanza.

Israele, un lembo di terra circondato da Paesi arabi sempre belligeranti, ha commesso moltissimi errori, soprattutto negli ultimi anni sotto la guida gretta e ottusa di Netanyahu che ha favorito numerosi insediamenti che hanno mutato il paesaggio della Cisgiordania – per non parlare delle altre scelte. Ma la condizione di un discorso pacifista è la capacità di distinguere. E non pensare che Israele è l’oppressore, i palestinesi gli oppressi – di nuovo un’equazione puerile e fuorviante. Il protonazionalismo palestinese ha le sue responsabilità, anche quelle di non aver accettato lo Stato quando era il momento.

Mentre cadono le bombe, e da una parte come dall’altra aumenta la volontà di annientare l’altro, credo che il compito di chi è pacifista non sia quello di sfilare urlando antiche parole d’odio contro Israele, bensì quello di chiedere il rilascio degli ostaggi e il cessate il fuoco, indicando vie possibili di pace. Per me il destino di questi due popoli è strettamente intrecciato, più che mai nella tragedia. E in qualche modo sono chiamati a testimoniare che una comunità e una cittadinanza sono possibili oltre gli Stati.