Il ministero della Difesa deposita la lista dei desideri con mesi di ritardo. Le risorse crescono soprattutto per i sistemi d’arma. Al centro dei piani di investimento della Difesa ci sono i carri armati Leopard 2 […]

(DI ALESSANDRO MANTOVANI – ilfattoquotidiano.it) – Al centro dei piani di investimento della Difesa ci sono i carri armati Leopard 2 di fabbricazione tedesca e il programma Tempest che vede l’Italia collaborare con Regno Unito, Giappone e Svezia per i futuri caccia di sesta generazione. Per i carri tedeschi, 270 per metà da combattimento e per metà destinati al Genio militare, il nuovo Documento di programmazione pluriennale (2023-2025) della Difesa prevede di spendere 8,2 miliardi in 14 anni, solo per metà già finanziati: non è un modello nuovo, ha già decenni di storia. Se si aggiunge il miliardo già finanziato per ammodernare 125 vecchi Ariete, ci si domanda quali battaglie si prevedano nel futuro dell’Esercito italiano, magari pensano di dover affrontare i tank russi in Ucraina o chissà dove. Quanto alla difesa aerea, la spesa pluriennale per il programma Tempest è passata da 3,8 a 8,8 miliardi di euro, ma parliamo di progetti di lungo periodo e infatti si confermano corposi investimenti anche sui vecchi Typhoon e sugli F-35.

Il Documento di programmazione pluriennale (Dpp) è il libro colorato dei desideri della Difesa, che poi dovrà passare per le forche caudine della legge di Bilancio. Dovrebbe arrivare in Parlamento entro il 30 aprile di ogni anno, così prevede la legge voluta dall’ex ministro Giampaolo Di Paola. È sempre un po’ in ritardo, ma stavolta è arrivato il 12 ottobre e pare sia un record: le Camere lo ricevono quando ormai si discute della legge di Bilancio e della spending review. La spesa richiesta da Palazzo Baracchini aumenta, come previsto, sia pure senza esplodere. Nella relazione che accompagna il Dpp, il ministro della Difesa Guido Crosetto sottolinea con rammarico che “siamo ancora lontani dall’impegno di conseguire una spesa per la Difesa pari al 2% del Pil entro il 2028”, l’obiettivo concordato da anni in ambito Nato che due terzi dei membri dell’Alleanza non ha ancora centrato.

“C’è un aumento di spesa e il Dpp lo certifica, il governo Meloni procede nel solco tracciato dal ministro Guerini e rafforza la tendenza di questi anni”, osserva Francesco Vignarca dell’Osservatorio Milex sulle spese militari. Il bilancio integrato della Difesa, che comprende anche le spese a carico dei ministeri dell’Economia e dello Sviluppo economico (oggi Imprese e Made in Italy), secondo il Dpp dovrebbe salire dai 30,7 miliardi del 2023 ai 31,4 del 2025. Nel 2020 era a 26 miliardi. E l’aumento programmato dalla Difesa va quasi tutto nella quota investimenti, ovvero nei nuovi sistemi d’arma: dai 7,9 miliardi del 2023 agli 8,7 del 2025, con un aumento di poco inferiore al 10%. “Ma la crescita della spesa risulta ben più marcata se sottraiamo la componente carabinieri, che attiene alla sicurezza interna”, sottolinea Vignarca.

Evidentemente dal punto di vista di Crosetto servono molti più soldi. Il ministro della Difesa ha più volte annunciato l’intenzione di promuovere una legge per “blindare” negli anni gli impegni di spesa, sottraendoli al variare delle maggioranze parlamentari. Nelle dichiarazioni programmatiche dello scorso gennaio aveva invocato “una legge triennale sull’investimento che accorpi in un’unica manovra i volumi finanziari relativi a tre provvedimenti successivi, con profondità a 17 anni”, capace di “supportare efficacemente – diceva Crosetto – la posizione nazionale ai tavoli internazionali dei vari programmi cooperativi, con positive ricadute sulle scelte di investimento e occupazionali dell’industria”.

Solo i 5stelle sono intervenuti sul Dpp trasmesso alle Camere. Preannuncia un’interrogazione a Crosetto il senatore Bruno Marton della commissione Difesa: “Nessuno mette in dubbio le esigenze di modernizzazione delle nostre forze armate, vogliamo solo capire dal ministro Crosetto le ragioni che stanno dietro questi clamorosi aumenti previsionali di spesa pluriennale su determinati programmi di riarmo. Ci chiediamo – dice Marton – se veramente il nostro Paese, tanto più in un momento di tagli a sanità, scuola e pensioni, ha bisogno di tutti questi carri armati e nuovi aerei da guerra, e non magari di maggiori investimenti in risorse umane, intelligence e cyber difesa”.