Elly (Schlein) reticente, Vincenzo (De Luca) cinico, attenti a quei due e al terzo mandato. I rapporti politici tra la segretaria nazionale del Pd e il governatore restano inesistenti. Sullo sfondo Europee, amministrative e Pd in calo

Elly (Schlein) reticente, Vincenzo (De Luca) cinico, attenti a quei due e al terzo mandato

(di Fabrizio Roncone – napoli.corriere.it) – Aggiornamento sui rapporti tra De Luca e Schlein: come procedono? Inutile perdersi in preamboli. Non procedono. E nemmeno si può scrivere che si siano interrotti. Semplicemente: non sono mai — realmente — esistiti. Questo deve essere un punto fermo per comprendere, da adesso in poi, non tanto le mosse di Elly Schlein (sembra ormai chiaro che stia meticolosamente cercando di trasformare il partito in una specie di movimento per i diritti umani). Quanto, piuttosto, quelle del presidente della Regione. Che lì, nel suo ufficio a Palazzo Santa Lucia, vuol restare per scialarsi dentro un terzo mandato, nonostante il progetto gli venga precluso sia dalla legge vigente, sia — soprattutto — dalla feroce antipatia che nutre per lui la segretaria del suo partito: Elly, appunto. Partiamo concreti.

Il primo discorso della segretaria

L’ultima volta che Elly ha parlato in modo comprensibile è stata anche la prima: accadde il giorno in cui fu incaricata di guidare il Pd, eravamo alla Nuvola di Fuksas, a Roma, all’Eur, tra vuoti architettonici voluti e altri che poi si sarebbero rivelati, politicamente, inattesi, e tragici. Comunque: lei andò giù dura, denunciando la malvagia presenza di certi cacicchi all’interno del partito, descrisse la loro attività come un’autentica tigna, e ne annunciò quindi l’imminente, necessaria eliminazione. Tutti pensammo, con assoluta certezza, che si stesse riferendo a Vincenzo De Luca (anche a qualcun altro, in realtà: ma su De Luca nessuno di noi cronisti ebbe alcun dubbio; anzi: alcuni, che l’avevano seguita durante la campagna delle primarie, riferirono che spesso, nei suoi comizietti dentro le sezioni e sotto i gazebo, l’aveva già evocato, con l’aria di una che lo tenesse nel mirino).

Poi avremmo scoperto che la Schlein è sempre sostanzialmente generica, reticente, ossessionata da un linguaggio che vorrebbe apparire sinistroide e modaiolo, e invece sembra solo adolescenziale (come le hanno recentemente fatto osservare, su La7, anche Lilli Gruber e Massimo Giannini: «Guardi che così non la capisce nessuno»). Ma quel giorno, in quel passaggio del suo discorso di insediamento, alla Nuvola, riuscì ad essere invece netta e definitiva. Alcuni cronisti, quando scese dal palco, le chiesero: chissà adesso De Luca, eh? Lei li guardò in un miscuglio di biasimo e fastidio. Poi, dal suo codazzo, confermarono sprezzanti: De Luca può togliersi dalla testa di essere candidato per un terzo giro, De Luca ha chiuso, De Luca anche basta. 

Il Granduca della Campania

E così arriviamo al punto politico della faccenda. Perché Vincenzo De Luca non è un semplice e temibile cacicco dem, uno degli ultimi veri signori del consenso e delle tessere. E non è nemmeno un potente governatore. È molto di più. De Luca è il Granduca di Campania. Parecchi anni dopo la scomparsa dei Borbone, in queste terre, si è insediato lui: spavaldo e simpatico, cinico e furbo, arrogante e dolcissimo, pittoresco e volgare, ferocemente sempre in carriera, notte e giorno, d’estate e d’inverno, un anno dopo l’altro. È il grigio dirigente comunista che inizia la scalata al potere riuscendo a prendersi Salerno per quattro volte, sindaco con effetti speciali, i manganelli ai vigili urbani («Il manganello — disse — è un commovente oggetto di persuasione»), le fontane nelle piazze e poi sempre un ghigno di purissimo scherno per ogni inchiesta giudiziaria, per ogni soprannome che si porta addosso: Fidel, Sceriffo, ’O Faraone. Lo attaccano, e lui gode. Lo denunciano, e lui gode anche di più. Lo sfidano: e lui sente salirgli dentro un’eccitazione brutale. Può, uno così, essere spaventato da Elly Schlein? Francamente, no.

Il faccia a faccia a Napoli

Infatti fu Elly che uscì piuttosto turbata dal primo incontro che ebbe con lui nel giugno scorso, a Napoli, dopo l’assemblea di Articolo 1. Nessuno ha mai saputo cosa le abbia detto, di preciso, De Luca. Ma tutti sappiamo cosa aveva fatto lei prima di presentarsi al colloquio: per cominciare, gli aveva spedito in questa regione addirittura due commissari (l’ex segretaria della Cgil, Susanna Camusso, con il compito di ripulire Caserta, luogo — dicevano — di strepitosi intrallazzi alle ultime primarie; e Antonio Misiani — senatore bergamasco: schiaffo doppio — a controllare l’intero territorio, Napoli compresa). Poi, a Montecitorio, se l’era presa con il figlio Piero, il Piero De Luca che, da vice-capogruppo, un pomeriggio s’era di botto ritrovato retrocesso al ruolo di segretario d’aula. Cosa può aver soffiato De Luca ad Elly quando se l’è finalmente trovata davanti? Sugli appunti resta solo Elly che esce dall’incontro a testa china, livida, con le pupille che girano come se avessero appena messo a fuoco un drago. 

Verso le Europee

De Luca, da quel pomeriggio, ogni volta che può, dice e ripete che lui si candiderà comunque un’altra volta, con il Pd o da solo, poi deciderà (lui, non lei), e lo dice tra allusioni e metafore, le sue metafore piene di zolfo, minacciose, in quel situazionismo magnetico del suo personaggio eccessivo e visionario, intimidatorio e grottesco, meraviglioso e — su questo c’è poco da discutere, sono fatti — di solito vincente. La scena, fotografata in questo momento, è perciò piuttosto nitida.

C’è Elly alle prese con i sondaggi (il Pd, da qualche settimana, inizia ad essere strutturalmente sotto la soglia psicologica del 20%) nel gelo del Nazareno, tra i silenzi preoccupati dei colonnelli dem che l’hanno voluta al comando del partito e con le angosce, le ansie, i dubbi profondi e laceranti della minoranza che sta lentamente diventando maggioranza: tutti ad interrogarsi sul destino crudele di essere ormai condannati ad affrontare le prossime Europee con una segretaria incerta sui temi fondamentali — guerra, economia, lavoro — eppure ancora molto piena di sé, sprezzante delle critiche, e persino di chi, deluso e amareggiato, abbandona il partito. E poi c’è lui, Enzo De Luca: che — a differenza degli altri — da Elly e fino alla Meloni e a Salvini, a Renzi, a Calenda, tutti già in campagna elettorale pensando a giugno e a Bruxelles, osserva e procede invece nella sua, personale campagna di propaganda. Quella per le elezioni regionali. Che arriveranno dopo le Europee. Così, in conclusione, nei mesi che verranno sappiamo di poter contare su due certezze: più Elly si indebolisce e logora, più lui si rafforza. E tanto più si rafforza, tanto più farà quello che gli viene meglio. L’imitazione di Crozza.