GOVERNO MELONI BILANCIO DEL PRIMO ANNO – Fratelli d’Italia celebra successi inesistenti: restano promesse tradite sui migranti, cieco atlantismo, sfregi gli indigenti e regali a evasori e corrotti […]

(ilfattoquotidiano.it) – Fratelli d’Italia aveva scelto di auto-celebrarsi con eventi in tutta Italia durante questo week-end, a un anno dalle elezioni che hanno portato Giorgia Meloni a Palazzo Chigi. La scomparsa di Giorgio Napolitano ha costretto la premier e il presidente del Senato Ignazio La Russa a rinviare i propri interventi al prossimo fine settimana, ma l’enfasi con cui la destra ha festeggiato il primo anniversario della maggioranza merita comunque un’analisi un po’ più severa di quella che FdI ha fornito in una brochure di 30 pagine distribuita in questi giorni in cui ripercorre le magnifiche gesta di Meloni e ministri. Il tutto, naturalmente, in una versione molto edulcorata della realtà, come dimostrano i riferimenti al “sostegno ai salari”, all’impegno per “la giustizia sociale”, agli aiuti, finora promessi ma rimasti su carta, agli alluvionati dell’Emilia-Romagna.

Per questo, dopo il fact checking sulle principali misure del governo che abbiamo pubblicato ieri (è ancora disponibile su ilfattoquotidiano.it in versione integrale) abbiamo deciso di ripercorrere questi dodici mesi affidandone il commento al direttore del Fatto Marco Travaglio, per quanto riguarda la politica; al magistrato Piercamillo Davigo, per i temi relativi alla Giustizia; al direttore di Limes Lucio Caracciolo, per la politica estera; all’economista della Scuola Sant’Anna Andrea Roventini, per le scelte in ambito economico; e alla firma del nostro giornale Daniela Ranieri, per gli aspetti relativi alla cultura e all’istruzione.

Giustizia Non c’è alcun interesse a punire i reati dei colletti bianchi

Il governo fa la faccia feroce, ma sulla giustizia manca una visione unitaria del problema. L’Italia ha alcuni problemi radicati che determinano la sostanziale inefficacia degli apparati giudiziari. C’è l’idea strampalata che l’automazione basti a risolvere la lentezza dei procedimenti, ma non è così, perché al massimo l’automazione riduce i tempi destinati ad attività ripetitive, ma non aiuta il sistema a prendere una decisione più rapidamente. E pure la depenalizzazione è una soluzione apparente. Prendiamo l’abuso d’ufficio: è vero, porta a pochissime condanne, ma corrisponde alla previsione dell’articolo 19 della Convenzione di Merida voluta dall’Onu contro la corruzione. Capisco che i sindaci si lamentino, ma fanno male a lamentarsi. Ci sono numerose denunce, ma non si tiene mai conto che queste denunce possano essere la spia dell’insoddisfazione di cittadini per come funziona la Pa. E talvolta eliminare un reato porta semplicemente ad avere identico numero di procedimenti per quegli stessi fatti, ma per reati diversi. Allo stesso modo, il governo fa pura demagogia su trojan e intercettazioni. La realtà è che non c’è interesse a punire seriamente i reati contro la Pa. Del trojan puoi fare a meno, se però si dà il via libera alle operazioni sotto copertura, come aveva previsto Alfonso Bonafede quando era ministro. Quanto alle intercettazioni, bisogna ricordare che il segreto serve a tutelare le indagini, non la privacy. Per mettere in dubbio l’utilità delle intercettazioni il governo utilizza l’argomentazione dei costi, ma si tratta di una stupidaggine. Intanto perché oggi i gestori delle concessioni telefoniche vengono pagati per offrire i dati, ma questa è una decisione del legislatore. E poi perché è vero che lo Stato spende soldi per pagare le società che offrono gli strumenti per le captazioni – per esempio le microspie – ma per lo Stato questo è un risparmio perché, se si dotasse di questi apparecchi diventerebbero obsoleti nel giro di un paio d’anni. Non ci sarebbe neanche il tempo di fare la gara. Ci si nasconde dietro al concetto di “garantismo”, come nel caso della prescrizione. Qui il governo si è ritrovato il lavoro della ministra Cartabia, che ha introdotto l’improcedibilità falcidiando i processi dal secondo grado. Il governo Meloni si mette in coda e vuole tornare addirittura alla ex Cirielli: un chiaro incentivo a tirare il più avanti possibile i processi. Ma d’altronde alla Giustizia abbiamo un ministro come Nordio che ha rivelato di voler intervenire persino sul reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Al di là del fatto che, per fortuna, rimarrà soltanto un annuncio, è pericoloso anche soltanto mandare messaggi del genere. Mi viene in mente il conte-duca di Olivares, che nel 600, per spiegare al re di Spagna la crisi del Regno, concluse: “Faltan cabezas”. Mancano le teste.
Piercamillo Davigo

Esteri Al seguito degli Usa, autogol con Pechino e scarsi rapporti in Ue

Va detto innanzitutto che la situazione internazionale pone una difficoltà obiettiva. Viviamo in una fase storica in cui tutti i Paesi tendono all’autarchia, o come dicono i più forbiti, “all’accorciamento delle catene del valore”. Sono così avvantaggiati i Paesi più o meno autosufficienti ed è quel che non abbiamo capito della Russia, Paese difficile da sanzionare, perché in grado di dotarsi, o di rifornirsi, di tutto quel che gli serve. L’Italia è particolarmente svantaggiata perché uno dei Paesi meno autosufficienti e più sensibile ai processi di chiusura delle frontiere, dei traffici e delle comunicazioni. Dovremmo quindi ampliare le interdipendenze strutturali, umane, culturali. Non mi pare di vedere questo indirizzo nella politica del governo.
In Europa siamo interdipendenti con due Paesi in particolare, la Germania e la Francia. La prima è importante per la nostra industria, ma vive una crisi strutturale che, unita a quella energetica e tecnologica, provoca contraccolpi soprattutto alla nostra industria del Nord. Con la Francia la crisi sembra “psico-culturale” con un’intolleranza reciproca che però nasconde la penetrazione dell’industria francese in Italia negli ultimi anni. Sulla crisi migratoria, poi, la narrazione supera ampiamente la realtà. Il trattato del Quirinale funziona al contrario: da quando è stato firmato, nella maggior parte dei dossier le cose vanno peggio di prima. Riguardo agli Usa, si tratta di un Paese che non sa più bene cosa vuole e questo rende abbastanza sterile la nostra “geopolitica del riflesso”, anticipare cioè le linee degli americani salvo poi constatare che sono contraddittorie. La guerra in Ucraina è un classico esempio: l’Italia si è messa al seguito, ma gli americani sono in una fase di riflessione, i repubblicani stanno dicendo basta e lo stesso Biden ha accettato di firmare al G20 un documento che non nomina la Russia. Sulla Cina rischiamo di perdere credibilità: credo che abbiamo sbagliato a firmare il Memorandum sulla Via della Seta nel 2019, ma sbagliamo oggi a sospenderlo. Difficile immaginare che con questi comportamenti qualcuno voglia fare una politica di lungo termine con noi. Il governo Meloni ha una linea rapsodica, passa da un dossier a un altro, non focalizza chiaramente i nostri veri interessi, continua a seguire la logica del riflesso con gli Usa e sulla Cina rischia un altro autogol. Del resto dalla fine della Prima Repubblica ne abbiamo collezionati moltissimi, questo governo è solo l’ultimo a farlo.
Lucio Caracciolo

Economia Crescita indebolita e disuguaglianze aumentate

L’economia italiana va male da decenni. Il Pil è ancora inferiore al livello del 2008 a causa della crescita anemica della produttività. Inoltre, la disuguaglianza è molto aumentata negli ultimi trent’anni. La politica economica del governo Meloni può migliorare questa situazione drammatica? La disuguaglianza dipende dal sistema fiscale, dalla spesa in sanità e istruzione e dal mercato del lavoro. Purtroppo, nella manovra di bilancio ci saranno nuovi tagli alla sanità che si sommano alle misure draconiane degli ultimi anni. Il governo si è fregiato di eliminare il Redditto di Cittadinanza che per l’Istat ha avuto un ruolo chiave nel ridurre la povertà e la disuguaglianza. Con il decreto lavoro, si è favorita la diffusione di voucher e contratti a tempo determinato, che secondo Fmi e Bankitalia aumentano la precarietà ma non l’occupazione. Nonostante gli elevati tassi d’inflazione, il governo si oppone all’introduzione del salario minimo e bloccare il rinnovo dei contratti della Pa scaduti. Dal lato fiscale, la flebile progressività dell’Irpef e la sua base imponibile saranno ulteriormente ridotte dall’applicazione della cedolare secca sugli affitti agli immobili commerciali; dall’estensione dei regimi forfettari per autonomi e piccole imprese; dalla riduzione delle aliquote e dalla detassazione delle tredicesime. La mancata revisione delle rendite catastali mantiene un trattamento iniquo dei contribuenti. Un ulteriore calo di gettito si avrà dagli interventi a favore delle imprese come la cancellazione dell’Irap e le nuove agevolazioni per gli investimenti. Infine, si mina la lotta all’evasione fiscale con nuovi condoni, la riduzione delle sanzioni per gli evasori e l’introduzione del concordato preventivo per le imprese.

Tali politiche aumenteranno le disuguaglianze e indeboliranno ulteriormente la capacità di crescita della nostra economia. La flessibilità del lavoro indebolisce la formazione del capitale umano e disincentiva le imprese a innovare. Le quote forfettarie incentivano le imprese a rimanere piccole e a evadere. I tagli alle imposte delle imprese non stimolano la crescita economica. Il minore gettito fiscale vincola le politiche industriali e d’innovazione. Purtroppo, il governo non ha un piano di politiche industriale verdi che rilancerebbe la crescita sostenibile. Si preferisce trasformare l’Italia nell’hub fossile dell’Ue, ignorando le raccomandazioni dell’Iea, o lanciare iniziative velleitarie per l’energia nucleare, mentre l’Ilva agonizza e perfino la Polonia installa più pannelli solari di noi. La politica economica del governo Meloni è catastrofica, perché esacerberà i problemi dell’economia, indebolendone ulteriormente la sua asfittica capacità di crescita mentre aumenteranno le disuguaglianze.
Andrea Roventini

Politica Guerra ai fragili e bugie: esecutivo più debole di come appare

Reddito di cittadinanza abolito senza nulla al posto. Pnrr in grave ritardo. Bugie e pasticci sul Superbonus (senza sostituirlo con altri investimenti-volàno). Fallimento totale sui migranti. Neppure i soldi del Monopoli per gli alluvionati di Romagna. Scandali e conflitti d’interessi in continuità con B. (da Santanchè agli altri “berluscloni”). Classe dirigente terrificante. 14 condoni e una riforma fiscale pro ricchi ed evasori. Fedeltà canina a Usa e Nato da “sovranisti a sovranità limitata” sul riarmo e l’Ucraina, ora che persino la Polonia si sfila da una causa ormai persa. Tagli a scuola e sanità pubbliche. Manovra senza soldi anche per il peso piuma del governo in Ue e l’appiattimento sugli euro-falchi (“la pacchia è finita”, ma per noi). Indicatori disastrosi su Pil, occupazione, produzione, turismo e stipendi. Vuoto pneumatico sui rincari di alimentari, benzina, voli, mutui e bollette. Schifezzuole assortite contro la giustizia e la legalità in attesa delle schiforme vere e proprie. E – per nascondere i flop, la guerra ai poveri e le promesse tradite – un nuvolone di esternazioni sgangherate per fingere di piantare bandierine “identitarie” o “securitarie” e tener buona la base: sostituzioni etniche, diseredati gourmet, scafisti da inseguire in tutto il globo terracqueo, musei egizi, rave party, carne sintetica, farina di grilli, uteri in affitto, treni Roma-Pompei un sabato al mese sola andata, delinquenti minorenni in galera e maggiorenni in Parlamento, complotti dappertutto, insofferenza per la libera stampa e i poteri di controllo, commissioni parlamentari su tutto, stragi nere riverniciate di rosso, persino chiamate in correità dell’incolpevole Dio. Unica nota positiva: le “grandi riforme” della giustizia, dell’Autonomia e del premierato sono ancora al palo per le liti nella maggioranza. Siccome non siamo prevenuti e giudichiamo anche questo governo sine ira ac studio, riconosciamo anche le cose giuste di Meloni&C. nel primo anno di governo: un paio di norme anti-mafia, sulle intercettazioni (peraltro in contraddizione col Nordio pensiero) e sull’ergastolo ostativo; e la tassa sugli extraprofitti delle banche (quella vera del primo giorno, non la truffa di oggi), che peraltro andrebbe estesa al grasso che cola da assicurazioni, case farmaceutiche e colossi delle armi. Un ben misero bilancio, se si pensa che il governo Conte 1 nei primi 11 mesi della scorsa legislatura aveva già varato dl Dignità, Reddito di cittadinanza, Quota 100, voto di scambio politico-mafioso e Spazzacorrotti. Il governo Meloni è molto più debole di quanto appaia: è bastato che Pd, 5Stelle e Azione lanciassero il salario minimo per mandarlo in tilt. Se le opposizioni insisteranno su altre battaglie comuni, lo metteranno facilmente in difficoltà. Un anno fa pensavamo che la destra avrebbe governato almeno cinque anni: ora non ne siamo più tanto sicuri.
Marco Travaglio

Cultura Aspettavamo D’Annunzio, spopolano Sangiuliano e Vannacci

Quando un anno fa si è insediato il governo dei post(?)fascisti, aspettavamo lo spostamento d’aria provocato dalla bomba culturale che sarebbe esplosa: schiere di geni incompresi, intellettuali scomodi, vati, poeti e profeti avrebbero avanzato a passo romano a dar lustro alla Patria, dopo essere stati ostracizzati da 70 anni di governi di sinistra e censurati dal più recente “politicamente corretto”. Infatti come ministro della Cultura Giorgia è andata a pescare un ignoto e talentuoso direttore di Tg nazionale (stranamente, non suo parente), Gennaro Sangiuliano, il quale ci ha fatto subito sognare. Guerra alle parole straniere (“è snobismo radical chic”, ha comicamente detto), Dante “fondatore del pensiero di destra”, praticamente un precursore di Rampelli e La Russa, e poi a luglio, in diretta Tv, la promessa di leggere con calma i libri che aveva appena votato allo Strega.
Fortuna che all’Istruzione (e Merito!) è stato messo Valditara, un leghista con la faccia da pilota della Luftwaffe: ha subito invocato “umiliazioni” per gli scolari indisciplinati, spiegando poi che voleva dire “umiltà” (è solo ministro della Repubblica, mica è tenuto a padroneggiare l’italiano); poi ha promesso di togliere il Rdc a chi non ha finito le scuole (muoia di fame, così impara); poi ha detto che la scuola deve “avviare al lavoro fin dalle elementari”, il solito pregiudizio di destra che la cultura debba servire a qualcosa (invece, diceva Salvemini, la cultura è il superfluo indispensabile). Indimenticabili le incursioni nella Cultura dal ramo Agricoltura: Lollobrigida, marito della sorella della Meloni, che discetta di razza ed etnia per giustificare le sue idiozie sulla “sostituzione etnica” presumibilmente orecchiate a qualche convegno di fasci. Tutta roba da far venire in mente, a proposito di intellettuali di destra, D’Annunzio su Marinetti: “una nullità tonante”, “un cretino fosforescente”, o anche “un cretino con qualche lampo d’imbecillità”. Intanto il generale Vannacci ha riscattato le masse dalla dominazione del politicamente corretto: insultare i gay e togliere idealmente la cittadinanza ad atlete nere non sufficientemente ariane, si è scoperto, è cultura e fa vendere molte copie.
In un anno, la promessa egemonia culturale di destra si è ridotta al gesto di rimuovere dalla Tv pubblica e dai musei personalità e direttori sgraditi perché vagamente di centrosinistra o non tesserati FdI per sostituirli con gente “loro”, segno inequivocabile che la cosiddetta cultura di destra è in realtà debole, infatti se fosse potente si imporrebbe da sola e i missin-leghisti non avrebbero bisogno di occupare manu militari tutti i gangli del potere. Insomma: noi aspettavamo i nuovi D’Annunzio e Giovanni Gentile; abbiamo rimediato il generale omofobo best-sellerista (ma si depila le sopracciglia?) e Pino Insegno alla conduzione de L’Eredità.
Daniela Ranieri