Vittimismo e conflitto, la versione di Giorgia che guarda al passato. Nel libro-intervista scritto da Meloni con Alessandro Sallusti la parola che torna più volte nelle prime 100 pagine è “sinistra”, la sua è un’ossessione: soffre della sindrome dell’accerchiamento, degli avversari e dei problemi reali

(di Marco Belpoliti – repubblica.it) – GIORGIA, che ci guardava dritto negli occhi sulla copertina di Io sono Giorgia, era una giovane donna dallo sguardo intenso e seduttivo: mano appoggiata alla guancia, capelli appena scostati, occhi sgranati, labbra ripassate con il rossetto. Il tutto in bianco e nero.
Ora sulla copertina di La versione di Giorgia, intervista firmata con Alessandro Sallusti (Rizzoli), è a colori, la mano appoggiata al mento, guarda verso destra, verso un interlocutore che non c’è: è bionda ed è sicura di sé, compiaciuta. Come darle torto?
La prima donna Presidente del Consiglio, la prima leader di estrema destra – ex missina, la destra neofascista italiana – che arriva alla prima carica dell’esecutivo politico del Paese.
Il titolo più adatto
Il titolo, poi, è una citazione: La versione di Barney, libro Adelphi di sicuro successo. Non ha scelto Giorgia come titolo L’insostenibile leggerezza dell’essere, forse più adatto. “Versione” sta per: “Adesso vi dico io come stanno davvero le cose”.
Peccato che, nonostante il ricorso all’etimologia delle parole – alla Treccani, per specificare “razza” ed “etnia” a favore del cognato pasticcione – “versione” abbia un etimo più scivoloso: dal latino medievale “deterioramento del vino travasato”, ovvero qualcosa di diluito o peggio avariato.
Ma che lingua parla Giorgia in questo nuovo programma-libro? La lingua della lotta. Il tasso di aggressività che attraversa tutto il libro è piuttosto elevato.
Gli ecologisti
La parola che torna più volte nelle prime cento pagine è “sinistra”: un’ossessione. Giorgia pensa il tutto nei termini del conflitto, non della gara, ma proprio dello scontro con la sinistra – si legga la definizione di “ecologisti di sinistra” e “di destra”.
Non è la premier d’un intero Paese, o Nazione come lei preferisce, ma di una parte: la sua. Non c’è alcuna intenzione vera di unire, ma semmai di dividere. Lei, che non ha abiurato il Fascismo, ma solo detto che non la riguarda più, è una partigiana: sostiene una parte.
Se il buon giorno si vede dal mattino, quello che ci attende non è una politica come compromesso, mediazione, soluzione dei problemi nel dialogo, ma nell’urto.
Si sente assediata
La sindrome di cui soffre questa donna ambiziosa, e anche vanitosa – nonostante la negazione che ne fa – è quella dell’accerchiamento. Si sente assediata, prima di tutto dagli avversari, e poi dai problemi, che ovviamente hanno creato gli altri.
Non pensa che essere dei politici veri significa risolvere i problemi, chiunque li abbia creati. No, per lei i problemi sono il lascito degli altri, il che può anche essere vero, ma non basta.
La questione è che l’assedio Giorgia l’ha interiorizzato sotto forma di vittimismo, come si evidenzia dal libro. Interiorizzare vuol dire che è spinta ad assediare lei gli altri. Come? Occupando il potere.
Sicura e insicura
Il suo profilo psicologico che emerge dal libro è quello di una donna sicura di sé, ma al tempo stesso insicura.
L’ambivalenza che mostra verso il suo stare a Palazzo Chigi – le sottrae tempo di vita, di vita privata – o è una finzione – è ben attaccata a quella poltrona –, oppure manifesta una forma di repulsa verso qualcosa che da sempre riguarda chi ha il potere: sacrificio e solitudine.
A un certo punto, evocando l’assassinio di Mattei – una delle vicende oscure della nostra storia patria – evidenzia il timore di essere fatta fuori nello stesso modo. Ride, per scaramanzia, ma evidentemente non conosce le regole del potere.
Moro e Sciascia
Quando Aldo Moro, il più acuto politico italiano del dopoguerra, mediatore e democristiano, essenza stessa del potere in ogni sua forma, fu sequestrato dalle Brigate rosse, Italo Calvino scrisse in un memorabile articolo di critica de L’affaire Moro di Sciascia: “Chi sceglie di fare l’uomo politico lo sa, gli addii alla famiglia li ha fatti nel momento in cui ha scelto questa carriera”.
Il potere significa solitudine. Così non è la vita di questa ex-missina abituata alla vita di gruppo, che ha portato al governo il marito della sorella, che ha posto la stessa in cima al partito che ha fondato, che si circonda di yes-woman e yes-man, che mostra un complesso mai sopito d’inferiorità, che combatte a parole insistendo sull’importanza dei rapporti personali nella politica internazionale e nazionale, cosa indispensabile ma non basta.
Se il buon giorno si vede dal mattino, ci attendono mesi, e forse anni, difficili, perché un Paese complesso, e a suo modo diviso come l’Italia, ha bisogno non di certezze programmatiche – per altro molto difficili da realizzare – come quelle esposte in questo libro, ma di saggezza, sapienza, delicatezza, unione e non certo di scontro.
L’esercizio del potere
Altri potranno ricavare dai due libri di Giorgia, la seduttiva e la potente, vaticini su quello che lei è e rappresenta nella storia complicata della nostra Nazione, ma una cosa è certa, il conflitto è lo stigma della sua personalità, e l’esercizio del potere il destino cui la spinge la sua storia di rivalsa sia in termini personali sia in termini politici, poiché appartiene a un partito e una parte del paese che è stata esclusa, per la sua diretta discendenza dal disastroso e funesto Fascismo storico, dall’esercizio della potere.
Le resta come eredità del suo passato la contesa, la disputa, il dissidio, lo scontro, la battaglia, là dove per governare servirebbe invece mediare e unire. Non credo che accadrà, purtroppo.